La stratigrafia della nostra storia
Viviamo nell'Antropocene? Il dibattito sull'attuale era geologica va avanti da 15 anni, ora 9 proposte cercano di mettere ordine
APPROFONDIMENTO – In Italia si parla poco della discussione sul definire o meno l’attuale era geologica Antropocene, che da 15 anni rimbalza tra conferenze e riviste scientifiche. Una commissione dell’International Union of Geological Sciences (IUGS) sta considerando le proposte fatte finora e deciderà se adottarne una o meno nel 2018. I tempi sembrano lunghi, ma c’è voluto più di un secolo per decidere, nel 2008, che l’era iniziata 11.765 anni fa si chiama Olocene, e la sua cronostratigrafia va ancora completata.
L’idea di basare un’era su tracce umane o “innaturali” non è nuova (l’Olocene stesso tiene conto del carbone prodotto dall’uso del fuoco). Nell’Ottocento Antonio Stoppani aveva proposto Antropozoico e negli anni Trenta del secolo scorso i geologi sovietici parlavano di Antropocene perché a loro avviso iniziava a brillare il Sol dell’avvenir.
Nel 2000, il geochimico Paul Crutzen e il biologo Eugene Stoemer rilanciano l’idea nella Global Change Newsletter, e da allora il nome si fa strada nell’uso comune e accademico, tant’è che esistono varie riviste dedicate al tema. Niente di scandaloso: persino il Neolitico non è mai stato approvato formalmente.
Però la nomenclatura ufficiale deve rispettare le regole. I periodi sono nominati per la posterità, e nei millenni futuri – i geologi sono degli ottimisti – gli scienziati dovranno poter identificare anch’essi il “picco dorato”, l’impronta nitida e incontestabile detto marcatore stratigrafico primario, e se possibile anche le prove circostanziali che contribuiscono a datarla. L’ideale sarebbe una bella linea nella roccia, come il limite K-T che divide il Cretacico dal Cenozoico.
Per ora le proposte sono nove, e tutte affascinanti. Raccontano a grandi tappe l’evoluzione culturale dell’Homo sapiens e la sua accelerazione. In ordine cronostratigrafico, tra parentesi i marcatori:
- Estinzione della megafauna tra 50 e 10 000 anni fa (reperti fossili)
- Origini dell’agricoltura 11 000 anni fa (pollini e fitoliti)
- Agricoltura estensiva da 8000 anni fa a oggi (CO2 nelle carote di ghiaccio)
- Produzione del riso da 6500 anni fa a oggi (CH4 nelle carote di ghiaccio)
- Suoli antropogenici da 5000 a 2500 anni fa (più scuri e ad alto contenuto organico)
- Collisione tra vecchio e nuovo mondo 1492-1800 (minimo nel 1610 della CO2 nelle carote di ghiaccio)
- Rivoluzione industriale dal 1760 a oggi (ceneri da combustibili fossili)
- Esplosioni di armi nucleari dal 1945 a oggi (C-14 negli anelli degli alberi)
- Prodotti chimici industriali persistenti dal 1950 a oggi (per esempio SF 6 nelle carote di ghiaccio)
Le proposte meglio documentate sono la terza, avanzata da Bill Ruddiman, l’ottava (dal 1964 l’impronta dei radionuclidi è globale), e la sesta, la più sorprendente perché è la più disumana. In un secolo, la colonizzazione dell’America stermina il 90% della popolazione: sulle terre abbandonate, le foreste ricrescono assorbendo CO2; il “registro fossile” diventa globale e il polline di granoturco, per esempio, si ritrova nei sedimenti lacustri degli altri continenti in un “picco dorato” chiamato Orbis.
Orbis è stato proposto da Simon Lewis, dello University College di Londra e segretario della commissione stratigrafica. Sa benissimo che datare un’era geologica dal peggior genocidio mai compiuto o dalla bomba atomica, due “conquiste” dell’Occidente, ha una portata simbolica che supera la cerchia dei geologi. Il mese scorso su Nature, insieme a Mark Maslin, dell’Università di Leeds, Lewis scriveva
La scelta del 1610 o del 1964 influirebbe probabilmente sulla percezione delle azioni umane sull’ambiente. Il picco Orbis implica che il colonialismo, il commercio globale e il carbone hanno generato l’Antropocene. Sottolinea aspetti sociali, i rapporti disuguali di potere, fra diversi gruppi, la crescita economica, l’impatto della globalizzazione, la pendenza attuale da combustibili fossili. (…) Il picco della bomba racconta la storia di uno sviluppo tecnologico deciso da un’élite e che fa planare la minaccia di una distruzione planetaria. (…) Eppure il Trattato sulla messa al bando parziale dei test, nel 1963, e gli accordi successivi sottolineano la nostra capacità di gestire quella minaccia.
L’eliocentrismo ci ha tolto l’illusione di essere il centro dell’universo, l’evoluzione ha fatto di noi un ramo dell’albero della vita, la nostra specie non pare così eccezionale, dopotutto. Ma adottare l’Antropocene potrebbe ribaltare la percezione che siamo “osservatori passivi”, concludono gli autori:
Gli esseri umani hanno un potere diverso da ogni altra forza della natura, perché è riflessivo e può essere usato, sospeso o cambiato. Nei prossimi decenni, la consapevolezza che le nostre azioni cambiano a lungo termine l’infrastruttura vitale della Terra potrebbe avere crescenti implicazioni filosofiche, sociali, economiche e politiche.
Forse non cresceranno, ma siamo quasi otto miliardi in “collisione” permanente, pensarci potrebbe utile lo stesso.
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