Modellare la sorgente sismica
Per il grande pubblico studiare i terremoti significa stabilirne la magnitudo e l’epicentro, ma la sismologia è molto di più: ce lo racconta Angela Saraò, ricercatrice all'OGS di Trieste
TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA – Dopo una laurea in fisica all’Università di Messina e un Dottorato di ricerca in geofisica della litosfera e geodinamica condiviso tra l’Università di Trieste e l’Università di Oxford, Angela Saraò lavora oggi come ricercatrice all’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS) di Trieste.
“Sono una sismologa e mi occupo di terremoti. Per il grande pubblico, studiare i terremoti significa stabilirne la magnitudo e l’epicentro. La sismologia è molto di più: studiare i terremoti e le onde sismiche ci ha consentito di capire com’è fatto l’interno della Terra, di capire quali sono i meccanismi per cui si originano gli eventi sismici, di individuare quali sono le zone dove è maggiore la probabilità che questi si verifichino, di capire quali sono le misure che possiamo adottare per limitarne gli effetti. E’ uno studio che richiede un approccio multidisciplinare con competenze scientifiche, tecniche ma anche umanistiche ”, racconta Saraò.
Nome: Angela Saraò
Nata a: Roma
Lavoro a: OGS
Formazione: Laurea in Fisica e Dottorato di ricerca in Geofisica della Litosfera e Geodinamica
Gruppo di ricerca: Centro di Ricerche Sismologiche dell’ Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS). Siamo circa 40 tra ricercatori, tecnologi, tecnici, assegnisti e borsisti
Cosa amo di più del mio lavoro: La possibilità di conoscere e confrontarmi con persone di tutto il mondo
La sfida principale del mio ambito di ricerca: Affinare sempre più le conoscenze sui terremoti e riuscire a mitigarne gli effetti, anche contribuendo ad accrescere la cultura della prevenzione nella popolazione.
Nello specifico, Saraò si occupa di modellare la sorgente sismica, ovvero comprendere come avviene il rilascio dell’energia sismica. “Le caratteristiche della sorgente, intesa come il volume di roccia dove avviene il rilascio dell’energia sismica, sono diverse a seconda delle forze che hanno innescato il rilasciato energetico e quindi varieranno, ad esempio, a seconda che il terremoto avvenga in ambito tettonico o vulcanico”, continua la ricercatrice. Ma in un sistema complesso, qual è la superficie terrestre, diventa difficile comprendere esattamente quali sono le forze in gioco e identificare il punto in cui si verificherà la rottura delle superfici sotto sforzo.
“Noi conosciamo il movimento delle placche e ipotizziamo, a livello macroscopico, l’accumulo di sforzi che da questo deriva. Non è però possibile, allo stato delle conoscenze attuali, prevedere con precisione il momento in cui si verificherà il terremoto né la quantità di energia che verrà rilasciata”, spiega. Grazie ai terremoti registrati in passato, i ricercatori conoscono le zone in cui queste fratture possono avvenire con buona probabilità; oggi si punta molto anche sulla tecnologia satellitare, che sta rivoluzionando gli studi in questo settore. “Nella sismologia, a differenza di altre scienze, non possiamo riprodurre esattamente il fenomeno terremoto in laboratorio per verificare le nostre ipotesi, per quanto si possano realizzare dei modellini in scala che pur ci hanno aiutato in questi anni a capire molto di più. Ci avvaliamo molto della modellistica fisico-matematica che risulta però inevitabilmente approssimata e relativa a una specifica situazione, e della statistica che però si basa su osservazioni molto limitate nel tempo rispetto ai tempi della scala geologica. Però oggi, con l’aiuto delle moderne tecnologie, disponiamo di molti più dati di buona qualità su cui validare i nostri modelli teorici, grazie ai sismometri digitali e grazie alle osservazioni satellitari; possiamo ad esempio osservare in che direzione e con che velocità si muovono le placche e grazie all’interferometria, possiamo capire meglio come si sono mosse le faglie durante un terremoto”, spiega Saraò.
Le ricerche della sismologa si concentrano su analisi in tempo reale della sismicità, e in particolare nel ricavare dai sismogrammi il meccanismo di faglia associato al terremoto. “Al Centro di Ricerche Sismologiche di OGS abbiamo iniziato a lavorare, in fase del tutto sperimentale, sulle procedure di early warning, l’allerta precoce che consente di diramare l’allarme alcuni secondi prima che il terremoto raggiunga un certo sito di interesse: tuttavia, prima che se ne possano sfruttare i vantaggi, l’Italia dovrà lavorare ancora molto sulla cultura delle prevenzione, su cui siamo molto indietro rispetto a paesi come il Giappone”, precisa la ricercatrice.
La prevenzione è strettamente connessa alla consapevolezza di vivere in un territorio sismico, consapevolezza che viene accresciuta anche dalla memoria e da come gli eventi sismici del passato vengono tramandati alle nuove generazioni: “Nel 2016, in occasione dei 40 anni del terremoto in Friuli, abbiamo condotto uno studio su un campione rappresentativo di studenti del Friuli Venezia Giulia. Con il questionario volevamo capire quanto i ragazzi delle scuole sapessero su questo disastro naturale, che ha cambiato la storia della regione: è emerso che la maggior parte sa poco o niente dell’evento. La memoria del terremoto è stata persa in una sola generazione. È quindi chiaro quanto sia importante sviluppare la cultura della memoria e della conoscenza”, spiega Saraò. Di terremoti, infatti, si parla solo fino a pochi giorni dopo l’evento; lo dimostrano anche i trend su Google, in cui la ricerca di informazioni su un certo evento sismico crolla, mediamente, dopo poco più di una settimana dall’accaduto dipendendo dai danni e quindi dall’impatto emotivo suscitato. Durante la fase di emergenza la comunicazione sui terremoti diventa tanto importante quanto delicata, come spiega la ricercatrice: “Bisogna spiegare il fenomeno in atto soppesando le parole che si usano per non creare allarmismi o, di contro, rassicurazioni poco realistiche nella popolazione”.
La mancanza di cultura della prevenzione si esprime anche in altri modi: “In Italia, si continua a costruire abitazioni in zone ad alta pericolosità sismica spesso ignorando la normativa antisismica vigente” continua la ricercatrice. Quello a cui bisogna puntare è arrivare a una società informata, proprio come accade in Giappone, dove i terremoti della stessa magnitudo di quelli che si registrano in Italia non causano i danni e le vittime che purtroppo in Italia contiamo. La mancanza di cultura della prevenzione non riguarda solo l’Italia, ma anche altri paesi in Europa: “tra le altre zone ad elevato rischio sismico figurano anche la Grecia, i Balcani, la Turchia. Buona parte degli edifici sono stati costruiti precedentemente alle vigenti normative in materia di edilizia antisismica e andrebbero adeguati”. In Italia, esistono delle agevolazioni fiscali per l’adeguamento e il miglioramento antisismico della propria abitazione, ma pochi sembrano conoscerne l’esistenza. Noi dobbiamo lavorare per accrescere e diffondere la cultura della prevenzione, prevenzione che passa anche attraverso semplici regole di comportamento e piccoli accorgimenti a basso costo che ciascuno di noi può attuare nella propria abitazione”, conclude.
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