I diritti dei malati di Alzheimer in italiano
Arriva anche in Italia la possibilità di firmare la Dichiarazione di Glasgow che ribadisce i diritti delle persone affetta da demenza
SALUTE – Anche chi non conosce l’inglese potrà finalmente leggere e sottoscrivere la Dichiarazione di Glasgow, impegnandosi così ad aiutare i malati di Alzheimer e le loro famiglie.
La Federazione Italiana Alzheimer ha infatti tradotto in italiano il documento originale, che era stato siglato lo scorso ottobre nella città da cui prende il nome. “Lo scopo è di farlo conoscere e magari firmare al maggior numero di persone” racconta il presidente della Federazione Gabriella Salvini Porro.
Il documento ribadisce i diritti delle persone affetta da demenza, come un’assistenza centrata sulla persona e cure coordinate e di qualità per tutta la durata della malattia, e invita l’Europa e i singoli Paesi a farsi carico del problema, attraverso il sostegno alle famiglie, associazioni e ricercatori.
Porro è all’interno dell’associazione da più di venti anni e ha vissuto in prima persona come è cambiata la percezione della malattia negli ultimi tempi. Se dal punto di vista farmacologico ancora non si è arrivati a una cura risolutiva, scienziati e cittadini hanno fatto sicuramente passi avanti nella conoscenza della malattia e di chi ne è affetto.
“Quando mia madre aveva contratto l’Alzheimer negli anni ’80 in pochi sapevano di che cosa si trattasse, io stessa non l’avevo mai sentito nominare. Persino i libri universitari di medicina liquidavano l’argomento in una paginetta”, prosegue Porro.
Oggi sappiamo che la malattia ha dimensioni enormi e in continuo aumento a causa dell’allungamento della vita media della popolazione. Secondo L’Adi (Alzheimer Diseas International), nel 2013 le persone affette da demenza in tutto il mondo erano 44 milioni, con un nuovo caso di demenza ogni 4 secondi. Il costo della demenza a livello mondiale è stimato in 604 miliardi di dollari, circa l’1% del PIL mondiale.
Preso atto della gravità della situazione, era stata l’Organizzazione Mondiale della Sanità ad avviare il percorso per arrivare alla stesura del Documento di Glasgow, con l’approvazione nel 2012 di un rapporto in cui si definisce l’Alzheimer “una priorità nazionale”. Poi alla fine del 2013, durante il semestre di presidenza al G8, il leader britannico Cameron ha dedicato una giornata per fare il punto della situazione, il G8 Summit on Dementia. “In quell’occasione l’Italia era presente ma era l’unica nazione a non avere il Ministro della Salute”, ricorda Porro. Durante il G8 tutti i Paesi partecipanti si sono accordati per la stesura di un documento con l’obiettivo di distribuire le conoscenze delle singole nazioni in tutto il mondo.
Da quel primo passo ci sono state diverse conferenze fino ad arrivare, nell’ottobre scorso, alla versione in inglese del documento. Un atto importante e un segnale forte per i malati e le famiglie. Sono trascorsi più di cento anni da quando il medico tedesco Alois Alzheimer ha descritto per la prima volta la malattia, tuttavia un punto cruciale, sottolinea Porro, è “lo stigma dell’Alzheimer”. Una priorità è proprio quella di “far capire una volta per tutte che non si tratta del normale invecchiamento, ma siamo di fronte a una malattia. Dovremmo riuscire a creare una dementia-friendly-community, in cui sono tutte le persone ad aiutare chi ne è affetto, in modo da ridare dignità al malato”.
Chiunque può sottoscrivere la Dichiarazione a questo link, dal politico al semplice cittadino proprio perché è a tutti che si chiede di impegnarsi, seppur in forme diverse. “I politici devono farsi carico del problema approvando leggi e stanziando fondi per la ricerca e l’assistenza ai malati, tuttavia anche le persone comuni possono fare molto”. Porro si riferisce, per esempio, all’aiuto che si può dare vedendo una persona vagare per strada disorientata. Nelle prime fasi della malattia, infatti, si perde il senso dell’orientamento e un aiuto a trovare la strada di casa può essere fondamentale.
Al momento, l’assistenza del malato ricade quasi completamente sulla famiglia, specialmente in Italia, dove si tende ad attendere a lungo prima del ricovero in strutture specializzate. Un fatto culturale e non necessariamente negativo secondo Porro, che sottolinea come sia importante non lasciare sole le famiglie che hanno un malato in casa.
Anche nel nostro Paese, infatti, la malattia raggiunge dimensioni considerevoli. Secondo le ultime stime in Italia la demenza colpisce 1.200.000 persone, e di queste circa 700 mila soffrono della malattia di Alzheimer. Dal 1993, anno in cui è stato istituito, il centralino telefonico dell’Associazione Nazionale Alzheimer ha ricevuto più di 139 mila richieste di aiuto da parte dei familiari di malati. Le domande più frequenti, raccontano i volontari dell’associazione, riguardano la gestione del malato in casa nelle varie fasi della malattia e in ogni momento della vita quotidiana.
Purtroppo, nonostante le notizie incoraggianti, si parla di tempi ancora lunghi prima di trovare una cura risolutiva. Durante il summit del G8 sull’Alzheimer si è parlato di una cura entro il 2025 e questo significa che per almeno altri dieci anni la situazione dovrà essere gestita al meglio dei mezzi attuali, per questo sarebbe cruciale la creazione di percorsi assistenziali ad hoc.
“Abbiamo già migliaia di sottoscrizioni e faremo il punto il prossimo settembre, in occasione della conferenza di Alzheimer Europe”, conclude Porro.
Leggi anche: Terapia con ultrasuoni per combattere l’Alzheimer
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.
Crediti immagine: _annamo, Flickr