Allevamento: la lunga vita degli ormoni della crescita
Quando arrivano negli ecosistemi acquatici, come letame o sotto forma di concimi, possono compromettere l'intera rete trofica
AMBIENTE – L’utilizzo di ormoni della crescita nell’allevamento dei bovini potrebbe avere più effetti negativi del previsto. Gli ormoni rimangono nell’ambiente a concentrazioni elevate e per molto più tempo di quanto pensassimo finora, dando inizio a una complessa serie di reazioni chimiche e alle relative conseguenze inaspettate. Lo spiega un nuovo studio guidato da Adam Ward dell’Indiana University, pubblicato da poco su Nature Communications.
“Una volta che i composti reagiscono in un modo che non avevamo previsto -si convertono tra specie chimiche e persistono quando in base ai nostri calcoli dovrebbero non esserci più- allora il nostro sistema di regolamentazione va messo in discussione”, spiega Ward, che nel lavoro con il suo team si è concentrato su un ormone in particolare, il trenbolone acetato, uno steroide ampiamente usato in veterinaria (analogo sintetico del testosterone) per incrementare l’aumento di peso nei bovini.
Il trenbolone acetato e i suoi sottoprodotti, come il 17-alfa-trenbolone, sono un tipico esempio di una categoria di contaminanti che al giorno d’oggi preoccupa sempre di più, gli interferenti indocrini (tra i più famosi il bisfenolo A, BPA, la cui regolamentazione –qui la sezione EFSA- si è fatta più severa negli ultimi anni specialmente per le conseguenze a livello fetale e sui bambini). Quando dispersi nell’ambiente, ad esempio nell’acqua quando vi arriva il letame prodotto dal bestiame oppure sotto forma di concime, questi contaminanti possono interferire con i processi riproduttivi e modificare il comportamento di svariate specie di pesci e organismi acquatici.
In base a studi passati si pensava che alla luce del sole il 17-alfa-trenbolone fosse rapidamente degradato, riducendo il rischio ambientale di molto. Ma una scoperta più recente, uno studio del 2013, ha mostrato che una volta tornato il buio i sottoprodotti si convertono nuovamente a 17-alfa-trembolone e arrivano fino alla zona iporreica, un importante ambiente di transizione dove l’acqua degli alvei si mescola con quella di falda.
Tramite dei modelli matematici, Ward e i colleghi hanno dimostrato che la concentrazione dei metaboliti del trenbolone acetato è di circa il 35% più elevata di quanto ci aspettassimo, proprio a livello dei corsi d’acqua. Composti che rimangono in circolazione decisamente più a lungo del previsto, con un’esposizione biologica del 50% maggiore. “È un problema”, commenta Ward, perché persino a concentrazioni molto basse questi interferenti endocrini hanno conseguenze importanti sulla vita acquatica. “Possono compromettere interi ecosistemi alterando i cicli riproduttivi di varie specie, compresi i pesci. Le conseguenze che ci aspettiamo riguardano l’intera rete trofica”.
Secondo Ward le modalità di diffusione di questi interferenti endocrini sono un campanello d’allarme anche per gli altri che arrivano nell’ambiente in modi simili; a partire dalle ultime scoperte scientifiche, tutti andrebbero regolamentati con estrema attenzione badando alla strada che prendono una volta raggiunto l’ambiente. “Il passaggio successivo è ragionare sulle reazioni inaspettate che possono verificarsi e a come possiamo gestire i diversi gruppi di sottoprodotti che potrebbero derivarne. Oltre che i loro effetti negativi non solo sugli ecosistemi ma anche sulla salute umana”.
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