SALUTE

#UnitedWeStand2015: dai malati alla ricerca di nuove cure

Marco Greco, Presidente della European Federation of Chron’s and Ulcerative Colitis associations, e Giovanni Monteleone dell’Università Tor Vergata di Roma ci raccontano le nuove ricerche sulle malattie infiammatorie croniche intestinali

wibd_day_logoSALUTE – La giornata mondiale dedicata alle malattie infiammatorie croniche intestinali si è svolta in tutto il mondo all’insegna del motto #UnitedWeStand2015 con la partecipazione di migliaia di malati che si sono organizzati in molte iniziative di sensibilizzazione. Ma il significato profondo della giornata, racconta Marco Greco, Presidente della EFCCA (European Federation of Crohn’s and Ulcerative Colitis associations) «è che è dedicata agli ammalati. È la celebrazione dei risultati che la persona è riuscita a ottenere nonostante patologia. Come dire: ‘è stato un anno difficile ma ce l’ho fatta’. Tante persone meritavano questo. Molti riescono a raggiungere questa consapevolezza più volte durante l’anno, ma non per tutti è così. Almeno un giorno di allegria e spensieratezza era importante regalarlo a chi non riesce mai a trovare un momento di serenità in questa malattia».

Marco Greco, malato da più di 20 anni di Morbo di Crohn, è diventato testimonial della malattia anche grazie alla pubblicazione nel 2011 di una lunga intervista, Il fuoco dentro, edito da Springer. «Speravo che la mia lunga e travagliata esperienza di malattia potesse aiutare i neo diagnosticati perché molte delle domande a cui ho risposto, assieme a quelle rivolte al mio medico – il Prof. Silvio Danese – sono quelle che tutti i nuovi diagnosticati si potrebbero porre».

Ma che cosa si conosce delle IBD? Purtroppo non si conoscono le cause e per questo non è ancora disponibile una cura definitiva. La ricerca scientifica ha individuato una componente genetica: sono 163 le varianti genetiche associate alle IBD, 23 di queste sono specifiche per la colite ulcerosa, 30 sono specifiche del Morbo di Crohn e le rimanenti 110 sono comuni a entrambe.
Tuttavia, i geni non possono spiegare da soli l’insorgenza della malattia poiché sono l’ambiente e le abitudini di vita della nostra società occidentale, dove malattia di Crohn e la colite ulcerosa sono più diffuse, che fanno la differenza.
Claudio Fiocchi è uno dei massimi esperti a livello internazionale sulle IBD, ha lasciato l’Italia da adolescente, nel 1953, e lavora nel Dipartimento di Gastroenterologia ed Epatologia della Cleveland Foundation in Ohio. Il 23 maggio, a Firenze, al congresso nel Salone dei Cinquecento organizzato dall’associazione A.M.I.CI.  ha tenuto una lectio magistralis. Ecco una sua intervista per conoscere lo stato dell’arte della ricerca.

Per i malati di IBD è anche un momento di grande fermento dal punto di vista dei progressi della ricerca. Giovanni Monteleone, dell’Università Tor Vergata di Roma, ha guidato la sperimentazione clinica della nuova molecola, Mongersen, che ha dato risultati sorprendenti nella malattia di Crohn. I risultati di fase II sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine (NEJM) e presentati a Washington nel più importante congresso mondiale sulle malattie digestive, il DDW 2015 (Digestive disease week 2015), che si è svolto dal 16 al 19 maggio. Abbiamo intervistato Giovanni Monteleone di ritorno da Washington.

Quali impressioni dal congresso?
«La ricerca è stata accolta molto bene non soltanto dal mondo scientifico ma anche da quello degli investitori. La Celgene, multinazionale americana quotata in borsa che ha acquisito i diritti per lo sviluppo del farmaco, ha risentito positivamente dei risultati della pubblicazione sul New England
Quanti e che tipo di pazienti sono stati coinvolti?
È stato uno studio controllato contro placebo. Sono stati arruolati e trattati 166 pazienti, tutti erano resistenti o dipendenti dai corticosteroidi, alcuni non rispondevano ai farmaci immunosoppressori e nemmeno a quelli biologici, quindi erano particolarmente gravi sul piano clinico. Sono stati divisi in quattro gruppi: uno placebo e altri tre trattati con il farmaco a tre diversi dosaggi (10-40-160 mg) stabiliti sulla base dei risultati della fase I. I pazienti sono stati trattati per due settimane. Abbiamo fatto una valutazione puramente clinica, nessun esame endoscopico per valutarne l’efficacia. Al termine dello studio chi prendeva il farmaco, ha eliminato il cortisone che prima invece utilizzava.
Come interpretare i risultati?
Quanto ottenuto nelle fasi I e II è a dir poco eccezionale: in fase I tutti i pazienti sono stati bene dopo 7 giorni di somministrazione del farmaco. In fase II c’è una percentuale di risposta positiva che supera l’80% con una remissione dei sintomi che va oltre il 60% dopo due settimane di terapia. Non è corretto paragonarli ad altri studi clinici fatti in passato perché bisognerebbe fare uno studio in cui due farmaci vengono testati. Ma risultati del genere non sono mai stati ottenuti con nessun farmaco sperimentato nella malattia di Crohn. Lo studio è stato accolto dal mondo scientifico in modo positivo, ma con la giusta cautela. È ancora un farmaco sperimentale i cui studi di fase III verranno condotti a livello internazionale nell’autunno di quest’anno: in America, Australia, in Giappone e in tutta Europa.
Quali sono i vantaggi rispetto alle attuali terapie?
Mongersen si somministra con una compressa al mattino, è quindi estremamente pratico per i pazienti e finora nessuno ha avuto effetti collaterali. Se pensiamo, poi, che la malattia di Crohn colpisce anche l’età pediatrica, poter somministrare ai bambini una compressa con queste caratteristiche sarebbe eccezionale.
Ci sono ammalati che la contattano per sapere quando sarà pronto il farmaco?
Negli ultimi mesi ricevo centinaia di email di pazienti che chiedono di essere coinvolti nello studio clinico, anche quelli già trattati  – perché ne hanno ottenuto beneficio – e molti anche dall’estero: Irlanda, Austria, Germania, Svizzera. Moltissime persone sarebbero pronte a sottoporsi al trattamento. Le richieste sono aumentate soprattutto dopo le notizie apparse sulla stampa alcuni giorni fa. Da qualche parte è stato detto: “questa è la cura definitiva della malattia di Crohn”. È molto importante non trasmettere false speranze agli ammalati. Non conoscendo la causa, non credo che potremo parlare di cura definitiva.

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Federica Lavarini
Dopo aver conseguito la laurea in Lettere moderne, ho frequentato il master in Comunicazione della Scienza "Franco Prattico" alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste (SISSA). Sono giornalista pubblicista e scrivo, o ho scritto, su OggiScienza, Wired, La Lettura del Corriere della Sera, Rivista Micron, Il Bo Live, la Repubblica, Scienza in Rete.