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Sarcoma: nuove speranze dall’eribulina

Ggli effetti collaterali sono da valutare ma i dati dello Studio 309 mostrano un prolungamento della sopravvivenza di due mesi

sarcoma

SALUTE – “È la prima volta da molto tempo che uno studio clinico approdato alla fase III dimostra di prolungare la sopravvivenza dei pazienti affetti da sarcoma rispetto alle cure standard in circolazione”. Sono le parole di Patrick Schöffski, ricercatore all’ospedale universitario di Leuven, in Belgio, alla presentazione dei dati durante l’edizione numero 51 del meeting annuale dell’American Society for Clinical Oncology (ASCO) che si tiene a Chicago (29 maggio – 2 giugno).

Con l’etichetta sarcoma, in realtà, si intende una famiglia eterogenea di tumori che colpiscono i tessuti molli del corpo umano. Possono, per esempio, colpire i muscoli o le cartilagini. Il trattamento standard prevede l’asportazione chirurgica e la radioterapia, ma la possibilità di una recrudescenza non sono piccole. I casi stimati di sarcoma sono circa 29 mila in Europa, 12 mila negli Stati Uniti e 4 mila in Giappone.

Nello Studio 309 presentato a Chicago i risultati positivi si sono ottenuti sul leiomiosarcoma (tessuto muscolari lisci) e alcune forme di sarcoma che colpiscono il tessuto adiposo (adipocytic sarcoma). I 452 pazienti coinvolti erano affetti dall’uno o dall’altro tipo in una fase avanzata della malattia. “Si tratta di una situazione in cui le possibilità terapeutiche sono davvero limitate”, ha specificato Patrick Schöffski: “si tratta davvero di un pugno di alternative che si esaurisce velocemente quando i pazienti mostrano di non sopportare più la tossicità dei farmaci”.

I dati presentati assieme all’azienda che sintetizza la molecola, Eisai, indicano che rispetto al trattamento con la chemioterapia standard, a base di dacarbazina, la sopravvivenza dei pazienti trattati con l’eribulina è maggior di due mesi: 13,5 mesi contro 11,5. “In malattie così notoriamente difficili da trattare anche un piccolo passo avanti come questo è importante”, commenta Gary K. Schwartz del Memorial Slona Kettering Cancer Center di New York ed esperto del settore per ASCO.

L’eribulina è una molecola derivata dalla spugna marina Halichondria okadai ed è stata messa sotto i riflettori della ricerca oncologica da quando si è scoperto che è in grado di inibire la produzione dei microtubuli, limitando così la capacità di crescita delle cellule tumorale.

Quello che rimane aperto è il fronte di gestione degli effetti collaterali, che si sono dimostrati importanti durante lo studio clinico. “Il guadagno in termini di sopravvivenza”, ha detto Gary K. Schwartz, “va considerato in relazione al peso degli effetti collaterali”. Per Patrick Schöffski si tratta di un livello di sicurezza che è paragonabile a quello di altri farmaci, ma lo stesso ricercatore ed Eisai hanno dichiarato che si stanno effettuando ulteriori ricerche su questo aspetto.

@ogdabaum

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Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   Crediti immagine: Pixabay

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Marco Boscolo
Science writer, datajournalist, music lover e divoratore di libri e fumetti datajournalism.it