Scoperte le basi neurali per riuscire a ballare in coppia
Ballare, soprattutto se in coppia richiede non solo coordinazione, ma previsione dei passi dell'altro. Ora sappiamo quali sono le zone del cervello coinvolte
RICERCA – Come si fa a ballare in coppia? Per i negati non c’è una risposta, anzi. La domanda tipica è semmai: “Come faccio a non pestare i piedi all’altro?” Un team di ricercatori della Sapienza e la Fondazione Santa Lucia di Roma hanno studiato le aree cerebrali coinvolte nel coordinamento e hanno pubblicato i risultati dello studio su Nature Communications.
Vedere una coppia di ballerini esperti è un vero piacere e si nota a prima vista come sia necessaria non solo una grande coordinazione, ma una sincronia perfetta dei movimenti. Non si tratta quindi semplicemente di non pestare i piedi al proprio compagno di ballo, ma prevedere le mosse in base a segnali apparentemente impercettibili.
Ma quali sono i meccanismi cognitivi e neurali alla base di questo mondo così affascinante e complicato?
Il gruppo di ricerca ha cercato una risposta, sottoponendo alcuni volontari a un test, nel quale veniva chiesto loro di coordinarsi con un compagno “virtuale”. Un esercizio molto semplice, che richiedeva semplicemente di afferrare con la stessa sincronia un oggetto simile a una bottiglia, ma che è ideale per ricreare quell’interazione motoria necessaria tra due persone in un ballo.
Ai soggetti venivano inibite delle zone cerebrali con una stimolazione magnetica transcranica non invasiva, per vedere quale potesse essere l’effetto sul coordinamento. Si è così scoperto che l’inibizione specifica del solco intra-parietale anteriore diminuiva sensibilmente il coordinamento con “esterni”.
La cosa interessante è che era diminuita solo la capacità di fare movimenti complementari e non la capacità di imitazione del compagno. Questo dimostra che l’interazione complementare agisce su zone diverse da quelle legate ai processi imitatori.
Con questo studio si è potuto chiarire come l’interazione (in un ballo, ma non solo) non sia semplicemente imitazione e per questo richieda l’attività di zone cerebrali differenti. Inoltre studiare i meccanismi alla base delle interazioni motorie, ha spiegato Matteo candidi, tra gli autori dello studio, “potrebbe permettere di capire le condizioni patologiche legate alla sfera sociale e affettiva”.
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