Dai batteri il gelato che si scioglie più lentamente
La proteina BsIA partecipa alla formazione del biofilm batterico e potrebbe trovare un nuovo ruolo nella produzione di gelati, riducendo la quantità di grassi senza modificare il sapore
WHAAAT? Il venerdì casual della scienza – Il gelato, se temporeggiate nei mesi più caldi, si scioglie. Se è buono, dicono alcuni, si scioglie ancora più velocemente. Chi non ha almeno un ricordo del fatidico crollo del cono, sulle mani o peggio in una rovinosa caduta a terra? Un ricordo che potrebbe restare solo nel passato, dice Cait MacPhee, professoressa della School of Physics and Astronomy dell’Università di Edimburgo, che ha di recente guidato un gruppo di colleghi alla scoperta di un nuovo ingrediente alimentare, la proteina BsIA. O meglio, della sorprendente e inaspettata funzione di una nota proteina batterica, con il potenziale di rendere i gelati più resistenti e meno inclini a sciogliersi.
Insieme ai colleghi con i quali ha lavorato, MacPhee si dice estremamente entusiasta all’idea del potenziale della scoperta, che dalle materia prime utilizzate fino alla produzione potrebbe portare un’importante novità nei gelati come li conosciamo ora. “Non si tratta di un ‘Frankenstein food’”, ha commentato MacPhee ai microfoni della BBC Radio 5 Live (potete ascoltarla qui), ben consapevole del tipo di reazioni che scatena l’idea di aggiungere nel cibo che si consuma qualcosa uscito da un laboratorio, anche se stavolta in realtà è uscito dai batteri e non è di origine artificiale.
“La proteina è già naturalmente presente nella catena alimentare”, continua a spiegare la scienziata, “viene usata per far fermentare alcuni cibi. Utilizzandola possiamo sostituire alcuni dei grassi utilizzati per stabilizzare le miscele di acqua e olii”, e per mantenere l’aria intrappolata più a lungo nel gelato. Il gusto, aggiunge, non dovrebbe cambiare affatto.
La proteina contribuisce a unire aria, grassi e acqua contenuti nel gelato, conferendogli una consistenza molto morbida e aiutando allo stesso tempo a prevenire la formazione di cristalli di ghiaccio. Quegli stessi cristalli che, se sono piccoli e dispersi in modo “omogeneo” nel gelato, ci permettono di gustarlo apprezzandone il gusto appieno, senza quella spiacevole sensazione di lingua anestetizzata e freddo estremo, che rovinano l’esperienza oltre a procurarci dolorose fitte alla testa. Il famoso mal di testa da gelato.
Tra quanto potremmo veder arrivare sul mercato gelati di questo tipo? Dai tre ai cinque anni, stimano i ricercatori (e su questo staremo a vedere), che hanno sviluppato un metodo per produrre la proteina sfruttando i batteri. Nei batteri della specie Bacillus subtilis, ad esempio, questa idrofobina partecipa alla formazione del biofilm, l’aggregato di cellule batteriche che aderiscono a una superficie e producono, a scopo protettivo, una matrice polimerica.
Un altro aspetto interessante, soprattutto per quei mesi dell’anno in cui spesso per fronteggiare il caldo ci si sente suggerire di “sostituire un pasto ogni tanto con una coppa di gelato”, è che BsIa permetterebbe di produrre gelati con livelli inferiori di grassi saturi. E meno calorie. Secondo MacPhee queste caratteristiche la rendono un’ottima candidata per entrare a far parte degli ingredienti di altri prodotti alimentari come salse (per esempio la maionese) e mousse, intervenendo sul contenuto di grassi ma non sul sapore cui siamo abituati.
I benefici nello scegliere di utilizzarla per la produzione riguarderebbero non solo il risultato finale ma tutta la filiera che porta il gelato da dove lo si produce a dove noi andiamo ad acquistarci il cono durante l’estate: verrebbe ridotta la necessità di mantenere il prodotto congelato a temperature molto basse (tagliando così anche i consumi energetici) sia per conservarlo in loco sia per trasportarlo fino ai punti vendita. A tra tre/cinque anni dunque, con il gelato-biofilm.
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