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Clima: senza vincoli precisi, gli Stati si impegnano poco

Ogni settimana le principali notizie dal mondo della cooperazione scientifica internazionale

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SCIENCE DIPLOMACY – L’ultimo a presentarlo in ordine di tempo è stato il Sudan. Prima della nazione africana, circa 100 di Paesi avevano presentato il proprio INDC, Intended Nationally Determined Contribution. Chi lo ha presentato non ha dato gran prova di sé, ma forse gli INDC sono l’unica cosa concreta che finora è venuta fuori dall’attività preparatoria per la prossima Conferenza sul Clima di Parigi, che si terrà tra pochi giorni. Ma, quindi, cos’è un INDC?

L’Intended Nationally Determined Contribution è la proposta che ogni Stato presenta prima di una Conferenza sul Clima per ridurre le emissioni di gas serra nei prossimi 10 o 15 anni. In altre parole è ciò che uno Stato impone a se stesso di rispettare, una sorta di politica green nazionale presentata al pubblico. Gelosi delle loro prerogative, in costante ritardo rispetto agli obiettivi che si sono dati, ma soprattutto senza una metodologia comune, gli Stati non hanno dato gran prova di loro stessi nel presentare gli INDC.

A partire dalla deadline per la presentazione: lo scorso 31 marzo, solo l’Unione Europea e altri 4 Paesi avevano presentato un piano di riduzione delle emissioni inquinanti. Gli altri si sono affrettati a presentare un qualche tipo di documento solo nelle ultime settimane, con il risultato che i vari INDC non erano per niente omogenei tra loro. C’è chi si è assunto l’impegno di ridurre le emissioni di una certa percentuale entro una data (solitamente il 2030). Altri invece, hanno assunto come logica la diminuizione delle emissioni in rapporto alle unità di PIL, per evitare che una cifra assoluta possa in qualche modo bloccare la loro crescita.

C’è infine chi si è limitato a indicare una riduzione sul business as usual, ovvero le previsioni in caso non prendesse alcuna misura di contenimento (addirittura l’Indonesia ha adottato questo metodo, ma non ha voluto dichiarare quanto sia il suo business as usual). Alcuni (impavidi) ricercatori hanno cercato di omologare i dati, e il quadro che ne è emerso è sconfortante: questi singoli provvedimenti, se applicati, implicherebbero un aumento della temperatura di 5 °C, quando un aumento di 3 °C è già considerato fuori limite massimo.

Non solo: guardando dentro ai documenti, trova un po’ di tutto. Sostanzialmente, per la Russia, le foreste da sole basterebbero a contenere tutte le emissioni. L’Australia va contro se stessa: ha presentato un documento che non riprende minimamente le indicazioni della propria autorità governativa sul clima. Il Canada (4 paginette, nemmeno formattate decentemente) ha addirittura dichiarato di voler tagliare gli incentivi green (perché ha un’industria petrolifera in espansione grazie alle sabbie bituminose).

Il paradosso è che la pratica di presentare gli INDC era stata adottata proprio dagli stessi Stati per evitare il caos completo che si era creato durante la Conferenza sul Clima di Varsavia (COP 19) del 2013. Al momento 153 Paesi, che coprono quasi il 90% delle emissioni, hanno presentato un INDC: è un primo passo, non è proprio quel caos polacco, ma poco ci manca.

Dall’Europa

UE – Sono stati finalmente resi noti i nomi dei componenti del Comitato per la Consulenza scientifica della Commissione Europea. In tutto sono sette, tre donne e quattro uomini: Rolf Dieter-Heuer, 15esimo direttore generale del CERN (che dal primo gennaio cederà tali funzioni all’italiana Fabiola Giannotti); il matematico francese Cèdric Villani, Direttore dell’Henri Poincaré Institute di Parigi; Julia Slingo, climatologa inglese dal 2009 Chief Scientist del MET Office britannico; l’epidemiologo danese Henrik Wegener; Elvira Fortunato, professoressa in scienza dei materiali all’Università NOVA di Lisbona; Janusz Bujnicki, ricercatore di bioinformatica polacco; la sociologa olandese Pearl Dykstra.

Dal Mondo

IRAN – Le tradizionali buone relazioni di Teheran con Mosca si arricchiscono, e si ampliano. Pochi giorni fa, i rettori delle principali università iraniane e russe hanno dichiarato pubblicamente di voler approfondire ancora di più i loro rapporto, mentre gli iraniani stabilivano con gli ungheresi (l’Ungheria, pur all’interno dell’Unione Europea, sta sempre più manifestando il proprio interesse per la sfera di influenza russa) un fondo congiunto per la ricerca.

THAILANDIA – Pichet Durongkaveroj, Ministro thailandese per la Scienza e la Tecnologia, ha rivelato che il suo Paese vuole stabilire una cooperazione scientifica con la Russia in 5 aree prioritarie: nanotecnologie, meteorologia, ricerca in campo nucleare, esplorazione spaziale, information technology ed elettronica.

@gia_destro

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Crediti immagine: The Shopping Sherpa, Flickr

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