Gli occhi discreti dei chitoni: una nuova ispirazione per tecnologie future
La corazza protettiva di un mollusco rivela la presenza di "occhi di roccia", strutture che potrebbero ispirare la costruzione di nuovi materiali
SCOPERTE – Possiamo attingere ai segreti dalla natura per inventare nuove tecnologie? I casi di imitazione di processi naturali, biologici o chimico-fisici sono sempre meno rari; per esempio, una certa attenzione è stata riservata alle caratteristiche dei ragni, alle proprietà di alcune farfalle o a plastiche alternative. Soprattutto per chi studia e implementa nuove tecnologie, conviene perciò stare ben attenti a quello che ci circonda e imparare a sfruttare al massimo i dati di ricerche apparentemente lontane da un’immediata applicazione.
È di pochi giorni fa uno studio pubblicato su Science che in questo senso stuzzica molto la fantasia di nanotecnologi e ingegneri dei materiali, e che intanto arricchisce molto, con sorpresa, la conoscenza dei biologi che studiano un particolare tipo di molluschi: i chitoni.
Il chitone è un mollusco marino, riconoscibile per il suo guscio corazzato da placche. Queste placche sono ricoperte da moltissime piccole protuberanze, che non sono in realtà (solo) quello che sembrano: sono infatti gli occhi degli animali. Al posto di materiale organico, questi molluschi hanno apparati visivi fatti di un minerale, lo stesso di cui è composto il guscio, l’aragonite. Si tratta di un minerale a base di carbonato di calcio (CaCO3) con proprietà strutturali che garantiscono eccellenti performance ottiche come la fluorescenza, la fosforescenza e la birifrangenza. I chitoni, cioè, vedono il mondo che li circonda attraverso lenti fatte di roccia.
Già da tempo i biologi conoscevano una certa sensibilità a stimoli luminosi esterni dei chitoni, senza però distinguere bene forma e sostanza di questo apparato nascosto. E prima di questo lavoro, Daniel Speiser del Dipartimento di Biologia dell’Università del Sud Caroline è stato già autore della prima pubblicazione in cui descriveva la composizione di aragonite degli occhi dei chitoni. In quel primo studio era già evidente che i chitoni reagiscono in modo particolare alla luce: per ogni stimolo luminoso, anche se immobili e apparentemente dormienti, i molluschi tendono ad accovacciarsi e a cercare riparo, mentre i loro scudi-sensori sembrano avere la capacità di formare delle immagini grossolane.
Tuttavia, quello studio non rispondeva ancora ad alcune domande, lasciando incompleta la descrizione dell’apparato. In particolare, la domanda rimasta aperta riguarda numero e distribuzione di questi occhi di aragonite. Perché così tanti – diverse centinaia – in otto placche diverse?
Il passo successivo di routine in questo tipo di ricerca è fare della diagnostica accurata sui campioni in analisi, in questo caso per osservare e conoscere meglio le superfici così insolite di questi molluschi. Il gruppo di ricerca del nuovo studio, condotto da Daniel Speiser questa volta aiutato da due studenti del MIT di Boston, ha passato al setaccio la corazza dei chitoni con la spettroscopia SEM, per poi ricostruire la morfologia delle lenti e della corazza circostante, e la sezione interna dei primissimi strati (poche decine di micrometri) utilizzando una tecnica stereografica.
Da quest’analisi arrivano le novità: ogni singolo micro-occhio è più grande dei cristalli di aragonite che lo circondano, è strettamente allineato agli altri cluster fotosensibili e nasconde una struttura sottostante più complessa, che comprende delle vere e proprie celle fotoricettive. L’allineamento regolare delle celle consente di non disperdere per scattering la luce che colpisce il bordo degli occhi di aragonite, e quindi di massimizzare il segnale luminoso. La luce raccolta passa poi attraverso un sistema del tutto simile a un occhio organico, con tanto di lente, cornea e cavità per raggiungere il sistema nervoso del mollusco. Simulando il passaggio di un corpo esterno, sia con modelli di calcolo che sperimentalmente, i ricercatori hanno confermato le ipotesi del primo lavoro, constatando che i chitoni riescono in effetti e costruire il profilo – non proprio un’immagine completa – di un pesce predatore di una lunghezza media di 20 cm a una distanza di circa 2 metri.
La qualità della visione dipende certo dalla luce raccolta e quindi dalla grandezza delle lenti, molto più piccole di quelle presenti in un occhio più sofisticato. Secondo gli autori, la ragione della presenza di centinaia di queste microscopiche lenti, di risoluzione però più scarsa, va cercata nella loro posizione strategica sul dorso.
In sostanza, l’evoluzione ha dotato i chitoni di corazze in grado di difenderli fisicamente, abbinando un sistema di vigilanza vero e proprio.
Un modello a cui ispirarsi, con prudenza
È questa caratteristica naturale che intriga biologi, scienziati e ingegneri dei materiali, e costituisce l’ispirazione per immaginare dispositivi “intelligenti”. Si può pensare di replicare tali strutture? Del resto questa domanda se la sono posta gli autori – tra cui Ling Li del team del South Carolina – di una ricerca analoga, per capire se si può costruire artificialmente le armature di un particolare tipo di ostrica.
In questo caso si potrebbe pensare a una nuova applicazione di materiali attivi e fotovoltaici per costruire case smart – un po’ come per le vetrate fotovoltaiche – dotate di muri capaci di sorvegliare l’ambiente circostante, accorgersi di crepe o fratture, oppure da utilizzare in medicina e bioingegneria.
Intanto rimane però da capire meglio come l’informazione viene trasmessa e conservata nell’apparato visivo dei chitoni, e fare i conti con un modello non proprio perfetto.
Gli stessi autori sono rimasti sorpresi dalla finezza di questa struttura, che rischiano di minacciare la sopravvivenza dei chitoni. Per garantire la presenza degli occhi di aragonite, infatti, le corazze risultano meno spesse e più fragili: dove si guadagna in visione, si perde in resistenza meccanica, anche se le lenti di aragonite sono allocate in rientranze che le proteggono da pressioni meccaniche esterne.
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