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L’Homo dell’anno? Il “naledi”

Fino alla fine dell'anno OggiScienza racconterà le ricerche più importanti del 2015, votate tra tutte le scoperte scientifiche dell'anno dai lettori di Science

F1.mediumSPECIALE DICEMBRE – In molti l’hanno definito il nuovo astro del firmamento dell’evoluzione umana. Parliamo dell’Homo naledi, la specie di ominide scoperta di recente in Sud Africa da un team di ricerca internazionale coordinato da Lee Berger, paleantropologo dell’Università di Witwatersrand, a Johannesburg. Il ritrovamento, annunciato a settembre dalla rivista open access E-life, si piazza al quinto posto nella lista delle dieci notizie scientifiche più importanti del 2015 stilata da Science, e si configura per molti aspetti come una scoperta senza precedenti. In primis, per la quantità di resti fossili rinvenuti, più di 1500, attribuibili almeno a 15 individui differenti tra loro per età e genere. Per questa caratteristica, il sito del ritrovamento, – la “Dinaledi Chamber”, una grotta situata a 40 metri di profondità appartenente al sistema di caverne denominato “Rising Star”, vicino a Johannesburg – costituisce, con molta probabilità, il più ricco deposito di fossili di antenati dell’uomo mai venuto alla luce. Quali sono le peculiarità di questa nuova specie? Homo naledi era alto un metro e mezzo. Minuto, dal peso di circa 45 chilogrammi. Con un cervello delle dimensioni di un’arancia, molto simile a quello degli scimpanzé. In grado di arrampicarsi ma anche di camminare e di correre.

Ciò che rende Homo naledi unico, tuttavia, è il mosaico di caratteri che lo contraddistinguono. Una vera mescolanza di tratti, che per alcuni aspetti lo accomunano alle specie più antiche di austrolopicetine; per altri, lo rendono simile alle specie più evolute del genere Homo. In particolare, il cranio (di dimensioni ridotte, così come il cervello), i denti, le dita ricurve e il busto conservano sembianze più primitive. Di contro, piedi, gambe, polsi e braccia presentano caratteri più moderni.

La mescolanza di queste peculiarità, mai osservate prima in alcun ritrovamento, ha fatto supporre agli scienziati che Homo naledi rappresentasse una nuova specie, la più antica tra quelle di Homo oggi conosciute. Due punti restano ancora da chiarire, uno dei quali riguarda proprio la datazione certa dei resti. Le caratteristiche strutturali dell’Homo naledi, tali da consentirgli di arrampicarsi ancora sugli alberi e di camminare a lungo e, in caso di necessità, di correre, hanno fatto supporre agli scienziati che si trattasse di una forma ibrida, quasi di transizione, tra la le specie tarde di austrolopicetine e le prime specie Homo; fisicamente adatta ad affrontare ambienti di diversa conformazione.

Questi indizi hanno suggerito agli scienziati che la nuova specie potesse risalire a circa 2 milioni e mezzo di anni fa, in un periodo al confine tra il Pilocene e il Pleistocene. Tuttavia mancano le certezze poiché, a causa della struttura del sito di ritrovamento, non si è potuto usufruire dei tradizionali metodi di datazione. Inoltre, data la conformazione della grotta (isolata e raggiungibile solo tramite un varco di circa venti centimetri) anche la datazione tramite analisi di reperti faunistici è venuta meno: nella voragine non vi sono tracce di resti di altri vertebrati. Per saperne di più e stabilire una parentela esatta, occorrerà aspettare l’esito delle analisi sui resti scheletrici umani. Il secondo quesito, ancora in attesa di risposta, riguarda poi la collocazione delle ossa. Perché tutti quegli individui si trovano in un luogo simile? Si tratta di un antro angusto, difficile da raggiungere, di elevata profondità. Dai primi accertamenti, gli scienziati escludono che le persone, forse più di 15 e di diverse età, si trovassero in quel luogo per circostanze fortuite o che fossero state trasportate lì a causa di una calamità naturale. Si suppone, ma è tutto ancora da provare, che gli individui privi di vita fossero deposti lì, lanciati dall’alto nella grotta, seguendo un primordiale rito di sepoltura. Qualora tali circostanze fossero provate, si aprirebbero nuovi scenari sul livello di evoluzione finora studiato delle specie Homo.

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Crediti immagini: elifesciences.org

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Milly Barba
Science Writer e Marketing Communications Director in ambito Informatico e tech. Copywriter e event planner, con oltre dieci anni di esperienza nell'organizzazione e promozione di festival ed eventi quali il Festival della Scienza di Genova. Activist @SingularityU Milan. Laureata in Letteratura Italiana e Linguistica, sono specializzata in Comunicazione della Scienza. Per OggiScienza curo la rubrica #SenzaBarriere dedicata a inclusione, accessibilità e ricerca.