Napoli e “l’ultimo episodio di dissesto idrogeologico”
Dalla crepa sulla facciata dell'edificio di Veterinaria dell’Università di Napoli alla città sotterranea: Napoli e il dissesto idrogeologico
APPROFONDIMENTO – I primi scricchiolii intorno alle 5 del mattino, poi la comparsa di una grossa crepa che spacca in due l’edificio di Veterinaria dell’Università di Napoli. Infine, qualche ora più tardi, il crollo di un’ala del palazzo, ormai del tutto evacuata da persone e animali.
Questa è la cronaca della mattinata del 9 dicembre scorso in via Santa Maria degli Angeli a Napoli, riportata da diversi giornali locali e nazionali. In quel momento in tanti hanno cominciato a interrogarsi sulle cause dell’episodio che, vista la funzione della palazzina, oltre ai danni economici (stimati attorno ai 10 milioni di euro) avrebbe potuto anche provocare vittime.
Dissesto idrogeologico – Francesco Peduto è stato eletto presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi solo poche settimane fa. Il geologo campano, che in passato ha ricoperto anche la carica di presidente dell’ordine regionale, ha diramato un comunicato stampa in cui ha definito il crollo solo “L’ultimo episodio di dissesto idrogeologico”. Peduto punta il dito contro la mancanza di pianificazione di difesa del suolo e gestione delle emergenze.
L’Italia è uno dei paesi europei maggiormente interessati da fenomeni di dissesto idrogeologico. Secondo il Dipartimento Difesa del Suolo dell’Ispra, ogni anno oltre un migliaio di frane colpiscono il territorio nazionale. Sempre lo stesso rapporto stima che negli ultimi 50 anni le frane e le inondazioni abbiano causato complessivamente 2007 morti, 87 dispersi e almeno 2578 feriti. Avevamo già parlato dei costi legati al dissesto idrogeologico qui e qui.
Geologi e ingegneri stanno eseguendo le indagini per stabilire la causa della voragine che si è aperta sul terreno delle fondazioni dell’edificio partenopeo e ne ha provocato il cedimento strutturale. Quanto abbia pesato la componente antropica è ancora da verificare e i tecnici dovranno indagare un quadro complesso, dove ai vuoti fisici delle rocce su cui è costruita la città si sommano quelli legislativi e dei controlli.
L’Italia sotterranea – Il capoluogo campano è costruito in buona parte sul tufo vulcanico. I tour operator organizzano suggestivi percorsi turistici che si snodano nella “Napoli sotterranea”, una vera e propria città sotto alla città, fatta di cunicoli, fori, catacombe e cavità. Vuoti, che negli ultimi anni attirano l’attenzione di studiosi non solo di archeologia ma anche di geoingegneria, perché potenzialmente pericolosi per le strutture che si trovano in superficie.
L’Ispra monitora i fenomeno degli sprofondamenti del sottosuolo per cause antropiche nelle aree urbane dal 2009. In cima alla classifica delle città esposte, oltre a Roma e Napoli, anche Cagliari, Palermo e Messina. A Napoli i tecnici del comune hanno contato oltre 900 cavità sotterranee, per una superficie complessiva di oltre 60 ettari. Tutte queste cavità, se interessate da piogge copiose, eventi sismici o attività umane non adeguate alla situazione geologica, possono innescare il collasso degli strati più superficiali del terreno, con la formazione di voragini di dimensioni metriche.
Libretto del fabbricato – Per contrastare i dissesti, i geologi avanzano ormai da qualche anno la proposta di istituire il Libretto del fabbricato, un documento che attesti le caratteristiche dell’edificio e il suo stato di manutenzione. Un supporto dove si possano annotare i dati delle indagini e tutti gli interventi strutturali che i vari proprietari fanno nei decenni e che con il tempo potrebbero andare persi o dimenticati. In un paese con un alto rischio geologico come l’Italia, questo strumento potrebbe rivelarsi prezioso perché permetterebbe di acquisire una maggiore consapevolezza sullo stato delle case in cui viviamo o degli uffici in cui trascorriamo gran parte delle nostre giornate lavorative. E potrebbe suggerire se fosse il caso di intervenire per renderli più sicuri.
In altri stati europei esiste già qualcosa di simile: in Francia c’è il Libretto per la gestione manutentiva, in Germania il Diario edilizio, in Spagna il Libro per il controllo della qualità dell’opera.
Al momento in Italia c’è una forte opposizione riguardo l’introduzione dell’obbligo di un libretto del fabbricato, legata soprattutto alle preoccupazioni da parte dei cittadini sugli eventuali costi da sostenere per l’ennesimo certificato da far redigere. Nel nostro Paese, infatti, ogni edificio già possiede una serie di documenti, tra cui per esempio la certificazione energetica o il piano di manutenzione. Tuttavia, oggi tutti questi dati rimangono slegati tra loro, rendendone difficile l’utilizzo ai fini della pianificazione territoriale e quindi della prevenzione.
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