Modelli animali per lo studio del cancro
Lo sviluppo dei tumori è associato a un insieme di anomali genetiche, alcune delle quali colpiscono le proteine coinvolte nel ciclo cellulare. L’uso di modelli animali che imitano la malattia umana è uno degli strumenti utilizzati per individuare i meccanismi di progressione tumorale e testare nuovi farmaci.
RICERCANDO ALL’ESTERO – “Se vogliamo curare una patologia, dobbiamo capire come questa funziona a livello molecolare e dove possiamo intervenire per impedire che insorga o si sviluppi. Quando si parla di cancro, ci sono ancora troppe domande e poche risposte. E io sono una persona curiosa che cerca risposte, facendo ricerca di base ma tenendo sempre un occhio sulla ricerca applicata. Penso che chiunque faccia ricerca di base debba avere come obiettivo finale la cura del tumore o evitare che le persone si ammalino, altrimenti si va poco lontano”.
Nome: Silvia Boffo
Età: 31 anni
Nata a: San Donà di Piave (VE)
Vivo a: Filadelfia (Stati Uniti)
Dottorato in: Scienze farmacologiche (Padova)
Ricerca: Alterazione del ciclo cellulare e sviluppo tumorale.
Istituto: Sbarro Health Research Organization (Temple University)
Interessi: viaggiare, ballare la salsa, fare danza classica, cinema, teatro.
Di Filadelfia mi piace: è la città dell’amore fraterno.
Di Filadelfia non mi piace: è tutto finto e grande, ti illudi facilmente.
Pensiero: Volere è potere.
Che tipi di tumori studi?
La mia ricerca si concentra su tre forme tumorali, al polmone, prostata e mammella e per ciascuna di queste abbiamo sviluppato un modello animale per riprodurre la malattia. Si tratta di topi cosiddetti knock out, perché presentano uno o più geni inattivati. Nel nostro caso, si tratta di geni coinvolti nel ciclo cellulare che, una volta soppressi, inducono la perdita del controllo della divisione cellulare, la replicazione incontrollata e infine la formazione del tumore.
Il fatto di avere un modello animale che permette di rappresentare dinamiche complesse e di ottenere risposte articolate, rispetto alle teorie molecolari studiate nelle linee cellulari o con test biochimici, è una cosa molto importante per la ricerca, soprattutto quando si studia il cancro dove l’uomo non può essere usato come cavia.
Dal punto di vista genetico, nei modelli di prostata e mammella viene eliminato un gene chiamato Rb, il cui nome deriva dalla proteina del retinoblastoma, coinvolta nel cancro alla retina. Per il polmone, viene inattivato il gene di p53 e aggiunto quello di un enzima chiamato Pin1, sia nella forma normale che con una mutazione genetica.
Qual è il ruolo di queste proteine?
Rb controlla un checkpoint del ciclo cellulare, cioè un punto di controllo in cui si verifica se sono presenti errori che potrebbero compromettere la vitalità della cellula. Rb è presente in tre isoforme: Rb1 o semplicemente Rb, Rb2 o p130, scoperta dal mio capo Antonio Giordano, e Rb3 o p107. Le forme più espresse fisiologicamente, quelle che hanno ruoli più determinanti, sono Rb1 e Rb2.
Si è visto che il deficit di tutte e tre queste isoforme porta a carcinogenesi mentre l’inattivazione di Rb da solo determina sì un aumento della proliferazione cellulare ma non predispone alla formazione di un tumore. Partendo da queste conoscenze, il nostro obiettivo era capire il ruolo di p130 nel cancro alla prostata e mammella.
Per fare ciò, abbiamo cercato di caratterizzare i topi privi sia di Rb1 che di p130, quello che chiamiamo doppio knock out, andando a valutare la metilazione del DNA e l’espressione delle proteine coinvolte nel controllo del ciclo cellulare. Grazie alla collaborazione con l’Ospedale oncologico di Filadelfia, il Fox Chase, sono state fatte anche analisi immunoistochimiche e immunoistologiche. Quello che è emerso da tutti i dati raccolti è che in questi topi il tumore c’è, ma si sviluppa tardi. Quindi siamo riusciti a dimostrare e a confermare in vivo che p130 non ha un ruolo poi così silente come si credeva ma che la sua perdita è critica per il processo di carcinogenesi.
E per quanto riguarda Pin1?
Nel polmone le proteine coinvolte sono altre. P53 è il guardiano delle nostre cellule, un soppressore tumorale che svolge un ruolo fondamentale nel controllo del ciclo cellulare. Pin1 è un enzima che modifica la conformazione tridimensionale di proteine fosforilate come p53 e Rb, attivando la loro funzione.
Ci sono modelli animali privi di p53, già descritti e caratterizzati in letteratura, a cui noi abbiamo aggiunto il gene di Pin1, sia nella forma normale che mutata. I risultati preliminari dimostrano che nei topi p53 knock out con una sovra espressione di Pin1, il carcinoma polmonare non a piccole cellule si sviluppa più rapidamente ed è più aggressivo. Con questi dati abbiamo perciò confermato che Pin1 controlla l’espressione di proteine coinvolte nell’avanzamento del ciclo cellulare, come Rb, e attiva altre proteine a funzione inibitoria, come p53.
Conclusioni simili si ottengono anche se introduciamo una mutazione nel gene di Pin1 e siccome ultimamente si è visto che tante persone hanno questa alterazione genica, si può pensare di utilizzarla sia a livello diagnostico che terapeutico. Da un lato, la Pin1 mutata potrebbe funzionare come marcatore per l’evoluzione della malattia e quindi associata a un rischio maggiore di progressione tumorale; dall’altro come bersaglio per nuovi farmaci antitumorali.
Sebbene abbiamo caratterizzato il fenotipo di questi topi ed evidenziato che il tumore è più aggressivo, a livello molecolare ancora non sappiamo cosa avviene. Pin1 è una proteina antipatica che si studia tanto e questo perché la sua azione cambia in base al meccanismo in cui è coinvolta. Nel nostro caso, per esempio, ancora non sappiamo se attiva o inibisce qualche pathway o se contribuisce a impedire il blocco del ciclo cellulare.
Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Innanzitutto fare delle analisi di imaging in vivo per studiare la progressione e lo sviluppo tumorale senza sacrificare gli animali. Poi combinare i modelli knock out che già abbiamo con quelli di altri geni che dalle nostre analisi risultano essere particolarmente importanti e che potrebbero diventare target terapeutici. Infine, testare in vivo alcune molecole già sintetizzate da un laboratorio italiano con cui collaboriamo, il cui bersaglio terapeutico potrebbe essere proprio Rb.
Oltre alla ricerca in laboratorio, però, sto facendo un master in Bioinnovation all’Università di Temple con l’obiettivo di sfruttare le mie conoscenze, ma anche tutte le mie idee, in un campo diverso, forse più concreto. Tutto è partito da un corso intensivo sulla comunicazione della scienza a cui ho partecipato un po’ di tempo fa: era nella Silicon Valley a San Francisco e là ho incontrato un sacco di giovani impegnati in progetti anche molto diversi tra loro, Google, Facebook, aziende farmacologiche e biotecnologiche. Quando sono tornata a Filadelfia, ho deciso che volevo fare qualcosa di simile e mi sono iscritta a questo master. Si tratta di un progetto partito due anni fa, quindi non c’è ancora molta competizione, con l’idea di creare delle figure professionali in grado di occuparsi di scienza, biotecnologie e farmacologia all’interno del settore industriale. Negli Stati Uniti il mondo delle start up è la rivoluzione economica-industriale degli ultimi anni e necessita di avere persone che abbiano sia basi scientifiche valide sia la preparazione giusta per entrare nel mondo del business. Attualmente già collaboro come consulente con un incubatore di start up mediche e con il master mi si sta aprendo un mondo.
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Crediti immagine: Silvia Boffo