Falcon 9 è rientrato alla base. E Marte si fa sempre più vicino
Lo scorso 21 dicembre il razzo vettore Falcon 9 della Space X, una compagnia privata, è rientrato alla base senza danni, per la prima volta dei viaggi spaziali. Aprendo le porte ad un nuovo tipo di missioni spaziali.
APPROFONDIMENTO – Pensate a un normale volo di linea. Parte da un aeroporto, compie il suo viaggio, atterra senza danni in un altro aeroporto, avviene un rapido check del velivolo, e riparte. Tutto normale, talmente economico che ogni giorno decollano mediamente 100.000 voli (tra turistici, cargo e militari). Perché lo stesso non potrebbe accadere per i voli in orbita? Finora i lanci verso l’orbita bassa della Terra, quella, per intenderci, dove si trova la ISS (la Stazione Spaziale Internazionale) avvengono con grande spreco di materiali e tecnologie. Finora. Il 21 dicembre scorso, infatti, è avvenuto il primo rientro di un vettore del primo stadio, chiamato Falcon 9, proprio dalla base da cui era partito. Senza danni né problemi, pronto ad essere riutilizzato in tempi ragionevoli. Non solo: Falcon 9 non è di proprietà della NASA (che è un ente pubblico), ma di una compagnia privata, che – dovendo sempre tener d’occhio i profitti – è riuscita a ridurre in maniera significativa i costi di produzione.
Ma come ha fatto a tornare indietro integro? Falcon 9, similmente ad altri vettori, è costruito da due stadi. Il primo stadio, che è il Falcon 9 vero e proprio, può trasportare un carico di circa 13.000 kg fino ad un orbita terrestre bassa (chiamata LEO), mentre il secondo stadio, chiamato Dragon, si spinge più in alto, verso l’orbita di trasferimento geostazionaria (GTO) ma può trasportare un carico più leggero, di circa 5000 kg. Questa missione (preceduta, a maggio, da un tentativo fallito) aveva il compito di far trasportare dallo stadio due alcune attrezzature e rifornimenti alla Stazione Spaziale Internazionale. Anche Dragon è progettato per rientrare sulla terra e poter essere riutilizzato. Intanto, però, il Falcon 9, dopo aver sganciato Dragon affinchè continuasse il suo cammino verso la ISS, ha iniziato a ridiscendere verso la Terra: nei primi istanti è andato in caduta libera, ma poi ha acceso nuovamente i motori per frenare la caduta e, attraverso quattro strutture simili a “zampe” è atterrato perfettamente in verticale a Cape Canaveral, la base NASA da cui era partito. L’impresa sarà ripetuta fra pochi giorni, il 17 gennaio, stavolta con una difficoltà in più: Falcon 9 dovrà atterrare su una piattaforma galleggiante super-tecnologica, posta in mare. Se ci riuscirà, Space X sarà capace di diminuire ulteriormente i costi, non dovendo più pagare l'”affitto” della rampa di lancio.
Atterraggio del Falcon 9
La missione di Falcon 9 è sicuramente un fatto storico, e non solo per via della sua “riusabilità”. La Space X, infatti, è una compagnia totalmente privata, di proprietà del magnate sudafricano Elon Musk, noto per essere il co-creatore del sistema di pagamenti on-line “PayPal”. Finora, infatti, per i lanci in orbita veniva utilizzato un vettore russo, Soyuz, che sebbene molto antiquato (e dunque economico) era sostanzialmente affidabile. Tuttavia, utilizzare l’economicità “per vecchiaia” della Soyuz non può reggere a lungo. Il fatto che la Space X sia una compagnia privata ha spinto gli ingegneri a dover seguire in maniera ferrea la regola dell’abbattimento dei costi, pur garantendo la tecnologia più avanzata. Da questo principio deriva, in prima istanza, la riusabilità del Falcon 9, sebbene non sia, in sè, un parametro particolarmente nuovo, poichè anche lo Space Shuttle della NASA era riutilizzabile e aveva capacità di carico paragonabili (sebbene leggermente inferiori), ma ogni lancio era 5 volte più costoso (tanto che il programma è stato terminato nel 2011). L’economicità di Falcon 9 deriva più che altro da una serie di accorgimenti tecnici che hanno fatto risparmiare migliaia di dollari ai costruttori: ad esempio, gli ingegneri della Space X sono riusciti a portare il prezzo di un particolare tipo di bulloni da 15 dollari al pezzo a 0,30 centesimi di dollaro.
Falcon 9 dunque ha fatto vincere alla Space X una decina di appalti della NASA per il rifornimento di materiali per la ISS, con prezzi competitivi, 100 milioni di dollari a lancio, ovvero lo stesso prezzo della Soyuz ma con tecnologie superiori. I piani della compagnia aerospaziale privata non si fermano qui. L’obiettivo per cui Elon Musk ha creato Space X, infatti, è quello della colonizzazione di Marte, in un futuro non lontano. Il prossimo passo, infatti, è già in costruzione: il fratello di Falcon 9, chiamato Falcon Heavy e attualmente in fase di assemblaggio, sarà molto più potente, e permetterà di trasportare 21.000 kg in GTO, abbattendo ulteriormente i costi sempre in una ottica di riusabilità. Queste missioni, e il fatto che dovranno essere sempre più economicamente competitive, hanno definito il primo macro-obiettivo di Space X, ovvero creare un vettore il cui costo sia inferiore ai 1000 dollari per libbra. Un traguardo ancora lontano, ma non poi così tanto, perché i prezzi delle missioni spaziali si stanno facendo realistici. Il capitalismo, insomma, sta entrando in orbita.
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Crediti immagine: NASA Johnson, Flickr