ATTUALITÀ – La prevenzione è meglio della cura. Nulla di più vero quando si parla di cancro. E infatti la frase è uno degli slogan più gettonati durante il World Cancer Day.
La giornata dedicata al cancro viene celebrata ogni anno il 4 febbraio, con il fine di aumentare conoscenza e consapevolezza e per invitare i governi a sostenere prevenzione, ricerca e cura.
Nel mondo muoiono per tumore 8,2 milioni di persone all’anno. La giornata di oggi vuole dunque essere un invito a fare prevenzione, ma anche a fare il punto su alcune delle novità introdotte dalla ricerca scientifica.
Come avevamo già scritto nel precedente articolo, i tumori più frequenti in Italia sono quello alla mammella (14%) seguito dal cancro al colon (13%).
Le novità nel campo della ricerca per il tumore al seno del 2016 riguardano un nuovo modello già utilizzato per predire la progressione del tumore sulla base delle interazioni geniche. Il modello Gene Interaction Regularized Elastic Net (GIREN), basato sui dati raccolti dal Cancer Genome Atlas, è già stato in grado di dare risultati più promettenti nella predizione rispetto ai modelli messi a punto in precedenza.
Novità arrivano anche per le interazioni che riguardano i geni BRCA1 e BRCA 2, diventati famosi per la discussa scelta di Angelina Jolie. La ricerca, effettuata dai ricercatori del Berkeley Lab e pubblicata su Molecular Cell, ha portato a una nuova definizione del ruolo di una proteina già nota agli scienziati. XPG, questo il nome della proteina, sarebbe in grado di interagire con BRCA, i geni implicati in alcune forme di tumore al seno, per realizzare la ricombinazione omologa, un sistema di riparazione del DNA. L’interazione con BRCA e la grande instabilità del DNA che si manifesta quando XPG è carente, farebbero pensare che la proteina possa aiutare a prevenire i tumori legati a difetti dei geni BRCA.
Nel caso del tumore al colon, secondo un articolo pubblicato a gennaio 2016 su The New England Journal of Medicine, ci sarebbero buone possibilità di previsione della prognosi della malattia andando a misurare l’espressione del fattore di trascrizione CDX2. La mancata espressione del gene farebbe presagire un’alta possibilità di recidiva nei successivi cinque anni per il paziente, cosa che permetterebbe al medico di scegliere terapie più severe.
Per numero di casi in Italia, seguono il tumore alla prostata (11%) e alla vescica (7%).
Per il cancro alla prostata, i ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine, hanno identificato tempi e modi più efficaci di effettuare l’attuale terapia. Se ora la cura consiste nella deprivazione degli androgeni seguita dalla radioterapia, l’articolo apparso nel 2016 su Clinical Cancer Research, propone invece di stimolare con androgeni le cellule deprivate dell’ormone e di colpirle in seguito con radioterapia. La rottura della doppia elica del DNA, indotta dal trattamento con androgeni, rafforzerebbe infatti l’azione delle radiazioni ionizzanti contribuendo a ritardare la crescita della massa tumorale.
Nel caso del tumore alla vescica, nuove conoscenze deriverebbero dalla ricerca svolta presso l’Università della British Columbia. Con un elegante esperimento di sovra-espressione e repressione genica, i ricercatori hanno dimostrato che NOTCH2 potrebbe essere responsabile della crescita e delle metastasi del tumore alla vescica. L’inibizione dell’espressione di questo gene potrebbe rappresentare una futura terapia.
Per guardare al futuro occorre tenere d’occhio le sfide lanciate alla ricerca scientifica. Le frontiere della lotta contro i tumori si rivolgono oggi al potenziamento dell’immunoterapia. Come riportato dall’articolo apparso su Nature Medicine, l’uso di cellule del sistema immunitario ingegnerizzate per colpire ad esempio linfomi e leucemie ha dato risultati promettenti. Ora la sfida è quella di superare i problemi riscontrati nel trasferire una terapia analoga per i tumori solidi e per estenderla al maggior numero possibile di pazienti.
Un’altra sfida per il futuro è lanciata da un articolo di Lancet Oncology, che reclama la ricerca di cure per i tumori rari, le forme di tumore meno comuni che colpirebbero il 20-25% dei pazienti oncologici.
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