RUBRICHESTRANIMONDI

Dobbiamo avere paura delle piante?

Due storie di fantascienza molto diverse tra loro hanno per protagoniste le piante. Buona scusa per una chiacchierata con Renato Bruni sul tema "piante assassine"

STRANIMONDI – Nel nostro immaginario collettivo, raramente le piante vengono percepite come pericolose. Certo, la storia del giallo è sempre lì a ricordarci che una buona dose di veleni deriva da qualche pianta, a cominciare da quella cicuta che Socrate beve dopo la sentenza del tribunale e che Platone trasforma in uno dei primi casi letterari di avvelenamento: in fondo, chi ha davvero ucciso il “tafano” di Atene? Per il resto, solo raramente il cinema – e quasi esclusivamente quello di serie B – si è occupato del tema. Si ricordano, tra quelli che per un motivo o un altro sono diventati (più o meno) famosi, Il giorno dei trifidi (1951) di John Wyndham; un Attacco dei pomodori assassini (1978) e qualche suo seguito; L’albero del male (1990), dove però è lo spirito maligno che vive nell’albero a essere il cattivo del caso; ma forse gli unici veri casi di film con piante assassine sono The Happening diretto nel 2008 da M. Night Shyamalan e un episodio del Doctor Who, The Seeds of Doom, del 1976.

Pochi esempi, forse perché “tendiamo a vedere le piante come agenti passivi: sei tu che ti avveleni perché entri in contatto con me, non io che attivamente mi avvicino a te”. Lo dice Renato Bruni, del Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Parma, ma per questa rubrica soprattutto blogger e autore di Erba Volant. Imparare l’innovazione dalle piante (Codice editore, 2015). Eppure “le piante sono quanto di più vicino a un alieno che possiamo incontrare, visto che la loro vicenda evolutiva e la nostra si sono così diversificate nel corso della storia”. A pensarci bene, infatti, raggiungono i loro obiettivi nutritivi e riproduttivi in modo completamente diverso da come fanno gli animali come noi.

Due recenti uscite, però, cercano di dare vita a incubi alla clorofilla con i mezzi del fumetto e del romanzo. Il primo si intitola semplicemente Trees, un fumetto firmato dallo sceneggiatore di culto Warren Ellis (uno che ha dato tantissimo sia alla DC sia alla Marvel, oltre che a molte altre produzioni meno mainstream) e disegnato da Jason Howard, di cui Saldapress ha appena pubblicato il primo (mezzo) volume in italiano. La storia è davvero agli inizi, ma da qualche tempo sul pianeta sono arrivati dei giganteschi alberi, alti chilometri e dal fusto gigantesco. Si sono piantati, è il caso di dirlo, nei più disparati angoli del pianeta, ma nessuno sa che cosa siano davvero. Si sa solamente che vengono dallo spazio, ma paiono disinteressati a qualsiasi attività umana.

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Gli enormi alberi immaginati da Warren Ellison che hanno messo radici a Rio de Janeiro

Renato Bruni ricorda, tra le differenze tra animali e piante, anche la sostanziale immobilità di queste ultime. Un elemento che Ellis sembra intenzionato a sfruttare: gli alberi sono inquietanti quasi esclusivamente per la loro presenza sinistra, senza che abbiano bisogno di fare niente. Le licenze narrative, invece, hanno fatto immaginare a Ellis che queste piante giganti, ciclicamente, rilascino fiumi di liquidi di scarto, distruggendo tutto quello che incontrano. “È completamente diverso da quello che avviene nella realtà”, spiega Bruni, “in cui le piante non sono dotate di un apparato escretore, ma riciclano praticamente tutto”. Le storie che si intrecciano in Trees sono molte, comprese quelle di un gruppo di ricercatori che stanno lavorando in una base antartica, dove, tra le altre cose, si studiano degli stranissimi papaveri neri. Siamo davvero all’inizio, e difficile dire dove andrà a parare la penna di Ellis. Per il momento l’impressione è quella di un grande racconto collettivo che rimanda alle atmosfere di Independence Day ma senza che si arrivi (ancora) allo scontro armato. Vedremo come proseguirà.

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La seconda “storia botanica” è intitolata Clorofilia ed è un romanzo dello scrittore russo Andrej Rubanov. Qui, lo scenario messo sulla pagina è quello di una distopia allucinata. Ambientato in una Mosca del XXII secolo, Clorofilia racconta di una Russia ricchissima dopo aver dato in concessione  la Siberia alla Cina: nessuno lavora più, ma tutti consumano la droga derivata dall’erba. Nessuno sa da dove sia arrivata, ma ricopre praticamente ogni angolo libero, con fusti di diverse centinaia di metri che hanno spinto i moscoviti a costruire palazzi sempre più alti (oltre i cento piani) per arrivare a ricevere irraggiamento solare. Rubanov, diventato famoso per il suo romanzo autobiografico sui suoi anni di carcere, è un autore prolifico e molto attento a usare il genere (ha scritto anche polizieschi e fa anche il giornalista) per analizzare la società contemporanea. In questo romanzo, il secondo pubblicato in Italia da Meridiano Zero, i toni del thriller urbano sfociano presto in una critica sociale irriverente.

Uno degli elementi inquietanti è che il tronco delle piante è ricoperto di squame, un elemento che appartiene al mondo animale, ai rettili. “Fa pensare che la pianta, in questo caso, debba attingere a un elemento animale per essere spaventosa”, dice Bruni. E in effetti, uno dei protagonisti di Clorofilia li definisce come degli “enormi serpenti che escono dalla terra”. “Le piante”, prosegue Bruni, “di solito non fanno scattare l’allarme come lo fanno invece i modi di comunicare degli animali: mostrano i denti, ringhiano, rizzano il pelo e così via. E, a pensarci bene, nelle storie di fantascienza con piante assassine, queste uccidono comportandosi come esseri umani o animali, non propriamente come piante”. Basti pensare a due altri personaggi dei fumetti, in questo caso sostanzialmente buoni, come Swamp Thing, lo spirito della palude reso celebre dal ciclo di storie scritte da Alan Moore all’inizio della sua carriera, e Groot, uno dei membri dei Guardiani della Galassia: sono entrambi piante antropomorfizzate.

Altro elemento inquietante delle piante invasive di Clorofilia è la velocità irreale con cui ricrescono se tagliate. I moscoviti, ci racconta Rubanov, hanno provato a estirparle, ma ricrescevano con una velocità tale per cui hanno deciso di lasciare perdere. “Questo è uno degli aspetti per certi versi più inquietanti delle piante, che le possono addirittura far sembrare magiche,” racconta Bruni, “perché se io mi taglio un braccio, non mi ricresce; ma a molte piante, se tagliate un ramo, questo può ricrescere uguale a prima”. Un elemento che Rubanov utilizza, ma che potrebbe essere alla base di qualche altra storia inquietante ancora da scrivere.

@ogdabaum

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Marco Boscolo
Science writer, datajournalist, music lover e divoratore di libri e fumetti datajournalism.it