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In Africa la straordinaria collaborazione tra uomini e uccelli

Con un richiamo specifico i cercatori di miele attirano gli indicatori, che li conducono agli alveari più nascosti. Un rapporto di mutualismo più unico che raro, osservato per la prima volta alla fine del 1500

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Gli indicatori non sono mai stati addestrati a portare i cacciatori di miele agli alveari: la relazione di mutualismo si è instaurata nel corso dei secoli. Fotografia di Claire Spottiswoode

SCOPERTE – In Mozambico i cercatori di miele possono contare su dei piccoli preziosissimi aiutanti: gli indicatori golanera. Sono piccoli uccelli dell’Africa subsahariana imparentati con i picchi, e il loro nome inglese, “greater honeyguide” (letteralmente “grande guida del miele”), svela subito come si rendono utili. Indirizzano i cercatori di miele verso gli alveari più nascosti, dove grazie al loro aiuto possono accedere alla deliziosa cera di cui sono ghiotti -e che a differenza della maggior parte degli uccelli riescono a digerire-. Si tratta di una rara relazione di mutualismo tra umani e animali selvatici, probabilmente la prima così strutturata e nota alla scienza dalla fine del 1500. Oggi, su Science, un gruppo di scienziati aggiunge un ulteriore intrigante dettaglio.

La novità, descritta per la prima volta dalla biologa Claire N. Spottiswoode e dai colleghi dell’Università di Cambridge, è che gli indicatori golanera hanno imparato ad associare un significato specifico al richiamo degli esseri umani. Quando i cercatori di miele emettono un suono simile a “brrrr brrr”, un vero e proprio richiamo specializzato, i loro piccoli compagni piumati non tardano ad avvicinarsi e dare inizio alla “caccia”. Svolazzando velocemente di albero in albero alla ricerca dei preziosi alveari.

Per definizione, un rapporto di mutualismo deve portare un beneficio a entrambe le parti. Per gli umani si tratta di trovare il miele dove da soli non ne sarebbero in grado (nelle parti più alte degli alberi), mentre gli indicatori sfruttano la forza bruta dei loro aiutanti, capaci di allontanare le api sfruttando il fumo e di rompere l’alveare, per arrivare alla cera custodita all’interno e alle uova.

“La cosa più impressionante della relazione tra indicatori e umani è che coinvolge animali selvatici che vivono in natura, le cui interazioni con gli esseri umani probabilmente si sono evolute per selezione naturale, magari nel corso di centinaia o migliaia di anni”, spiega Spottiswoode, che è specializzata nell’ecologia del comportamento degli uccelli africani, alla pubblicazione dello studio. “[…] sappiamo da tempo che è possibile aumentare le probabilità di trovare alveari collaborando con gli indicatori, a volte seguendoli per più di un chilometro. Sono stati Keith e Colleen Begg, che fanno uno straordinario lavoro con la conservazione nel Mozambico settentrionale, a informarmi che gli Yao avevano questa pratica tradizionale di sfruttare un richiamo specifico, che sembrava aiutarli a reclutare gli indicatori. L’idea mi ha intrigata subito. Questi richiami potevano essere un modo per comunicare tra animali selvatici e umani?”.

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Claire Spottiswoode intervista i cacciatori di miele in Mozambico. Fotografia di Romina Gaona

Spottiswoode ha osservato queste scene nella vita quotidiana della tribù Yao nella Niassa National Reserve, dove i cacciatori di miele alternano una sorta di grugnito al richiamo (qui per ascoltarlo). Insieme ai colleghi Keith e Colleen Begg, ha raccolto le testimonianze di 20 autoctoni che sfruttano il verso “brrr-hm”, per capire come fossero arrivati a scoprirlo e usarlo in modo tanto efficace. Ognuno di loro l’aveva imparato dal padre, che probabilmente a sua volta l’aveva appreso dal suo. Un richiamo, dunque un rapporto con gli indicatori, che continua di generazione in generazione. Si tratta del modo migliore per attirare gli indicatori, hanno confermato tutti, ma la prova del nove è arrivata quando i tre scienziati hanno partecipato in prima persona alle spedizioni. Il 75% delle ricerche di miele guidate da un indicatore sono andate a buon fine, permettendo ai cercatori di procurarsi almeno un alveare.

Ma siamo sicuri che il “brr-hm” sia così importante, e che il risultato non sarebbe lo stesso con suoni e richiami diversi? Spottiswoode ha indagato anche questa possibilità, riproducendo per intervalli di 15 minuti il richiamo specializzato e altri due suoni di controllo. Il “brr-hm” aumentava sensibilmente la possibilità di attrarre un indicatore, portandola dal 33% al 66%, nonché quella di riuscire a identificare un alveare, che balzava dal 17% al 54%.

Nel prossimo futuro Spottiswoode vorrebbe indagare questa relazione ancora più a fondo, scoprendo ad esempio come variano i richiami attraverso l’Africa subsahariana. Nelle tribù della Tanzania, ad esempio, i cercatori di miele chiamano gli indicatori con un suono del tutto diverso. Tramandato molto probabilmente anche là di padre in figlio, nel corso dei secoli.

@Eleonoraseeing

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".