Prima il dovere e poi il piacere? Dipende dall’umore
Un bilanciamento tra sollievo immediato e benessere a lungo termine: così i nostri stati d'animo sembrano aiutarci nella scelta delle attività da svolgere.
SCOPERTE – Tra le diverse attività che occupano le nostre giornate, non tutte sono fonte di grande piacere. Ognuno ha le sue personali bestie nere: c’è chi detesta rifare i letti, chi rimanderebbe in eterno il momento di fare la spesa, chi mal sopporta le grandi riunioni di famiglia. Eppure nell’organizzazione del nostro tempo trovano spazio anche gli impegni che ci mettono di malumore. È un’osservazione banale, che però contrasta con la maggior parte delle teorie psicologiche sulla motivazione. Secondo molti studi del comportamento umano, le nostre scelte sarebbero guidate dal principio del piacere: massimizzare i sentimenti positivi e minimizzare quelli negativi. Ma come conciliare questo principio con le richieste della vita quotidiana? Monitorando le attività e lo stato d’animo di un ampio gruppo di persone, uno studio pubblicato sulla rivista PNAS suggerisce che i nostri comportamenti siano guidati dalla ricerca di un bilancio di costi e benefici, facendo leva sui nostri cambiamenti di umore.
Molte ricerche condotte in laboratorio sembravano supportare il principio del piacere: quando le persone sono tristi, cercano di migliorare il proprio stato d’animo scegliendo attività che le fanno sentire meglio; quando stanno bene, si attivano per mantenere o addirittura migliorare i propri sentimenti positivi. In questo semplice schema di comportamento non trovano spazio le molte attività noiose o spiacevoli che costellano le nostre giornate, dalle code in posta alla spazzatura da buttare.
Qualcosa, nella vita reale fuori dal laboratorio, chiaramente funziona in modo diverso.
Una possibilità è che il nostro stato d’animo non influenzi per nulla la scelta delle attività: il dovere è dovere, tristi o felici che siamo. Un’altra teoria suggerisce invece che il principio del piacere si attivi soltanto in alcune condizioni, quando i nostri sentimenti sono più forti. In questi casi cercheremmo di evitare le attività sgradevoli a favore di altre più attraenti, mentre quando ci sentiamo più neutrali saremmo pronti anche ai compiti più gravosi. Una terza possibilità è che gli stati d’animo ci aiutino a bilanciare il piacere immediato e il benessere a lungo termine: nei momenti di tristezza cercheremmo un rapido sollievo in attività piacevoli, mentre quando stiamo meglio saremmo pronti a sobbarcarci anche i doveri più noiosi.
Per testare le tre ipotesi, un gruppo di ricerca, guidato da scienziati dell’Harvard Medical School e dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona, ha realizzato un’applicazione per monitorare in tempo reale la scelta di attività e gli stati d’animo di 28 000 persone. Per un periodo di circa un mese, i partecipanti dovevano compilare questionari in diversi momenti della giornata, indicando il proprio stato di umore e l’attività che stavano compiendo. I ricercatori hanno quindi studiato la relazione tra lo stato d’animo e la probabilità di compiere una certa azione alcune ore più tardi, così come i cambiamenti nell’umore indotti dalle diverse attività.
I risultati dell’analisi indicano che lo stato d’animo è certamente coinvolto nella scelta di molte azioni future, anche se le norme sociali hanno un’influenza: raramente possiamo decidere in quale momento andare a lavorare, o aspettare in coda. Il rapporto tra l’umore e la scelta dell’attività, suggeriscono i ricercatori, sembra indicare che il principio del piacere sia flessibile, e che ci porti a utilizzare il nostro stato d’animo per bilanciare la soddisfazione immediata e il benessere a lungo termine.
Gli autori propongono un esempio per illustrare il concetto: possiamo prevedere che cosa farà una persona una domenica pomeriggio? Se nella mattina era particolarmente triste, è più probabile che alcune ore dopo decida di fare una passeggiata in un parco, mentre se era felice la probabilità che si dedichi alle pulizie di casa è maggiore.
Attenzione, specificano i ricercatori: i dati raccolti possono dirci qualcosa a livello medio, ma potrebbero esistere molte differenze individuali e culturali nella scelta delle attività quotidiane, che dovrebbero essere considerate in ricerche future.
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