L’editing genetico migliora la vista dei ratti con retinite pigmentosa
Inviando negli occhi una copia funzionante del gene Merktz, i ricercatori sono riusciti a indurre un miglioramento delle cellule della retina. Una tecnologia promettente, perché permette di lavorare sulle cellule che non si dividono
SCOPERTE – Al Salk Institute di La Jolla gli scienziati sono riusciti a restituire una parte della visione a dei roditori praticamente ciechi, sfruttando una nuova tecnica di editing genetico di loro invenzione che sarebbe “dieci volte più efficace degli altri metodi nell’incorporare nuovo DNA nelle colture di cellule”. Si tratta di qualcosa di completamente nuovo, spiega Juan Carlos Izpisua Belmonte del Salk’s Gene Expression Laboratory in un comunicato, perché “per la prima volta possiamo entrare nelle cellule che non si dividono e modificare il DNA a piacimento. Le possibili applicazioni sono numerose”. Lo studio è stato appena pubblicato su Nature.
La differenza rispetto al solo “taglia e cuci” della famosa CRISPR-Cas9 sta proprio nelle cellule prese di mira. La maggior prate delle tecniche note che modificano il DNA si applicano infatti a cellule che si moltiplicano come quelle epiteliali, sfruttando il meccanismo cellulare stesso. Per CRISPR, per esempio, si progetta un RNA guida corrispondente alla sequenza del gene d’interesse. Il RNA vi porta Cas9, un enzima, che taglia il DNA a guisa di forbice e permette di aggiustarlo inserendovi la sequenza corretta di DNA. Ma la nuova tecnologia del Salk Institute è rivolta ad altri tipi cellulari, quelli che non si dividono, come le cellule della retina, le cellule cardiache e quelle del pancreas, con possibili applicazioni anche in ambito neurologico.
I ricercatori hanno sfruttato un meccanismo cellulare chiamato NHEJ (non-homologous end-joining) che ha il compito di riparare le rotture del DNA “riattaccando” le due estremità dei filamenti. La riparazione del DNA è un normale meccanismo che avviene continuamente nelle cellule, per rispondere a mutazioni e danni causati, per esempio, dalle radiazioni ultraviolette o dall’esposizione a sostanze nocive – e proprio l’anno scorso il premio Nobel per la chimica è stato conferito a Tomas Lindahl, Aziz Sancar e Paul Modrich per aver mappato come le cellule monitorino l’integrità del DNA e lo riparino quando necessario.
Izpisua e colleghi hanno accoppiato CRISPR-Cas9 al meccanismo NHEJ, in modo da poter posizionare il DNA in un punto preciso. Ne è risultato un “pacchetto” che hanno chiamato HITI (homology-independent targeted integration) e che è stato spedito a una coltura di neuroni derivata da cellule staminali embrionali umane. Il postino era in questo caso un virus inerte, opportunamente modificato per trasportare HITI e le istruzioni genetiche in esso custodite verso le cellule bersaglio, ma senza causare un’infezione.
Quando gli scienziati sono riusciti a fare arrivare HITI fino al cervello dei topi adulti, hanno avuto conferma del suo potenziale anche nelle cellule che non si dividono. Così l’hanno testato su un modello murino di retinite pigmentosa, una malattia genetica che causa la degenerazione della retina in entrambi gli occhi e può portare alla cecità. Secondo le statistiche internazionali, oggi la malattia colpisce circa una persona su 4000 e si ritiene che i geni coinvolti siano circa cinquanta.
Così hanno inviato negli occhi degli animali una copia funzionante di Merktz, uno dei geni danneggiati nella retinite pigmentosa: nel giro di cinque settimane erano di nuovo in grado di rispondere agli stimoli luminosi, e hanno superato vari test della visione, a conferma del fatto che le cellule della retina stavano guarendo. “Siamo riusciti a migliorare la vista in questi ratti ciechi”, racconta Reyna Hernandez-Benitez, tra gli autori dello studio. “Questo primo successo ci fa pensare che la tecnologia sia molto promettente”.
Il prossimo passo nella ricerca di base su HITI sarà migliorare l’efficienza nella sua “consegna”. Tra le maggiori potenzialità, la nuova tecnologia ha senz’altro quella di adattarsi a qualsiasi sistema di editing del genoma, non solo a CRISPR-Cas9. “Ora abbiamo una tecnologia che ci permette di modificare il DNA di cellule non in divisione, di aggiustare geni danneggiati nel cervello, nel cuore e nel fegato”, conclude Izpisua. “Per la prima volta ci permette di sognare di curare malattie che finora non era possibile curare, il che è straordinario”.
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