L’illusione del narcisista
Tra finzione e realtà, Giancarlo Dimaggio descrive il disturbo narcisistico di personalità come la malattia della grande vita.
CULTURA – È snob e insopportabile, e con quella ferrea convinzione “tutti vogliono essere noi” Miranda Priestly, la protagonista del film Il diavolo veste Prada, diventa una delle sintesi di narcisismo meglio riuscite del cinema. Ma non è la sola. Insieme a lei, Tony Stark, l’uomo sotto l’armatura di Iron Man, Frank Underwood, il machiavellico presidente della Casa Bianca in House of Cards, e Tywin Lannister, il capostipite della dinastia più spietata tra le famiglie che si contendono il Trono di Spade. Ostentano superiorità e si rivolgono agli altri con disprezzo. Sono giudicanti e tengono a bada le emozioni. Passano la maggior parte del tempo a sentirsi grandiosi, ma covano la strisciante sensazione che questa magnificenza sia solo un’illusione.
A descrivere con abile ironia il narcisismo di queste icone della finzione è Giancarlo Dimaggio, psichiatra e psicoterapeuta, nel suo libro L’illusione del narcisista. La malattia nella grande vita, edito da Baldini e Castoldi, che verrà presentato venerdì 25 novembre alla libreria Open a Milano.
L’autore estrapola i tratti tipici del narcisismo dalla descrizione dei protagonisti del grande e piccolo schermo. Il filtro della finzione rende plausibile una specie di diagnosi virtuale di questi personaggi, noti al grande pubblico per arroganza, superbia e freddezza. Accanto ai narcisisti delle fiction, Giancarlo Dimaggio racconta questo disturbo attingendo alla sua lunga esperienza sul campo. “Il narcisismo è quel tratto di personalità di cui mi sono occupato più di frequente, e nel mio lavoro rappresenta una sfida molto interessante” racconta a OggiScienza l’autore del libro. “Nell’immaginario collettivo il narcisismo si associa spesso al mito di Narciso, ma, a differenza di questa figura, basata sulla serena contemplazione di sé, il narcisista è una figura a volte febbrilmente attiva, a volte spenta, rabbiosa e tormentata”.
Ritornando al titolo del libro, il narcisista si illude di vivere la “grande vita”, così definisce Dimaggio il mondo superiore che il narcisista sogna di abitare, senza quasi mai riuscirci. “La grande vita ha come immagine il Grande Gatsby, visto dagli occhi di Nick Carraway.”, continua l’autore. “È un parvenu, un uomo dal passato oscuro, che si sottopone a una disciplina ferrea per cercare sempre di migliorarsi, quasi come se partisse dalla sensazione di essere una nullità”. Le feste di Gatsby sono visioni scintillanti, immagini di bellezza e ricchezza, che però poggiano su un vuoto interiore. “Questa è la malattia che mina la grande vita: una sorta di aspirazione perenne che non si realizza mai, perché alla fine prevale la sensazione di essere nulla”.
I narcisisti della fiction sono in genere personaggi interessanti da raccontare, carismatici e affascinanti. Questo può succedere anche nella realtà e, nei casi più fortunati, al fascino si affiancano anche capacità reali. “Avere talento non corrisponde a essere narcisista”, precisa Dimaggio. “Queste persone possono essere affascinanti per la loro spiccata tendenza a proiettarsi in un mondo grandioso in cui tutti quanti si possono identificare, facendo da schermo proiettivo per le fantasie altrui. Spesso, però, dietro a questa facciata nascondono un’inconsistenza reale o albergano loro stessi quella costante sensazione di essere un bluff”. Con un pizzico di sarcasmo l’autore fornisce la ricetta per ottenere un buon narcisista. Gli ingredienti non sembrano molti, ma la dose fa la differenza.
“Il terapeuta si può sbagliare parecchio nell’identificazione di un narcisista” sottolinea Giancarlo Dimaggio “la sua caratteristica è quella di mascherare il dolore: non lo mostra perché non ha fiducia che l’altro provvederà all’accudimento. L’automatismo mentale che si attiva è molto spesso lo stesso: se ho bisogno di aiuto, l’altro sicuramente mi umilia, mi domina, mi controlla, si approfitta di me o mi ostacola. Il risultato è che in terapia raccontano sintomi tangenziali. Se il terapeuta ha una consapevolezza della costellazione del mondo narcisista, allora intravede la diagnosi proprio attraverso i sintomi ingannevoli e lo stile narrativo che tende all’intellettualizzazione (cioè la tendenza a interpretare gli eventi attraverso la razionalità, non badando alla sfera emotiva)”.
Il narcisismo è un disturbo di personalità grave. I sintomi sono intensi e, a differenza dello stereotipo, è pressoché inevitabile il declino delle performance lavorative. A soffrire di questo disturbo è l’1% della popolazione mondiale, di cui il 65% composto da maschi e il 35% da femmine. “Per il disturbo narcisistico non ci sono studi che possano sostanziare la sua eziologia. Nella genesi delle malattie mentali, il dilemma nature versus nurture (cioè natura vs cultura) è irrisolto e – credo – irrisolvibile. Le considerazioni che ho riportato nel libro sono una ricostruzione retrospettiva della mia pratica clinica e dell’analisi della letteratura scientifica in merito”, continua Dimaggio.
Se fin qui sembra che non ci sia spazio per la speranza, non è così: il narcisismo è un disturbo curabile se chi ne soffre decide di entrare in terapia. Spesso la causa scatenante di questa scelta è un attacco di panico o una crisi d’ansia, la classica goccia che scuote il supposto equilibrio. Nel capitolo dedicato alla cura Dimaggio sottolinea che è necessario “portare il paziente a raccontare storie invece che descrivere se stesso e il mondo attraverso teorie e intellettualizzazioni. Capire che è guidato da schemi competitivi, lentamente dismetterli e provare a vivere una vita in contatto con le sue inclinazioni e gusti naturali”. Il narcisista curato smetterà di subire il fascino per la grande vita e si accorgerà del piacere dei dettagli quotidiani, prima invisibili ai suoi occhi, che restituiscono la pienezza dell’esistenza.
Con uno stile frizzante e completamente svincolato dal linguaggio tecnico si arriva velocemente alla fine del libro, dopo aver goduto dell’ironia dell’autore ed essersi commossi per alcune storie di vita. E si arriva alla fine senza avere la sensazione che il narcisismo sia necessariamente la prerogativa della nostra epoca, perché come conclude Giancarlo Dimaggio: “sono molto cauto nel dire che la nostra sia una società narcisistica. Non so come si vivesse in altre epoche quel misto di compiacenza di sé e disprezzo per altri. Mi posso solo immaginare che alla corte di Luigi XVI le cose non fossero troppo diverse rispetto a chi tenta di arrivare alla copertina di Vanity Fair”.
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