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La chimica nei Girasoli di Van Gogh

L'incontro tra chimica e arte permette di studiare i dettagli dei dipinti e capire come proteggerli dall'azione del tempo.

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Un approfondito studio chimico delle opere d’arte può rivelarsi la chiave per proteggerle dall’azione del tempo. Un ambito di studio che è valso alla ricercatrice Letizia Monico il Premio Levi 2015, assegnato dalla Società Chimica Italiana. Fotografia di Letizia Monico

Nei periodi impressionista e post-impressionista i pigmenti a base di cromato di piombo, più comunemente noti con il nome di “gialli di cromo”, erano tra i più usati dagli artisti. Nonché i prediletti del pittore olandese Vincent van Gogh, che ne apprezzava le diverse tonalità, dal giallo-arancio al giallo-brillante, al punto da averli scelti per dipingere molte delle sue opere. In particolare i famosi girasoli (protagonisti di due “serie” di dipinti, la serie di Parigi e la serie di Arles). Ma molti di quei pigmenti stanno cambiando colore e hanno fatto sì che nelle sale museali entrassero professionalità piuttosto nuove per l’ambiente: i chimici.

È proprio quest’ambito di ricerca a essere stato premiato dalla Società Chimica Italiana, che ha da poco conferito il Premio Levi 2015 – Sezione Giovani alla ricercatrice Letizia Monico, per i suoi studi sulla degradazione dei gialli di cromo nei Girasoli di Van Gogh conservati al Van Gogh Museum di Amsterdam (Rijksmuseum Vincent Van Gogh). Il paper premiato è stato pubblicato sulla rivista  Angewandte Chemie.

La chimica nell’arte

“I chimici lavorano nell’arte da una ventina d’anni, dunque questo tipo di misurazione è recente”, racconta a OggiScienza Monico, che all’intreccio tra arte e chimica ha dedicato anni di ricerca tra il Dipartimento di Chimica, Biologia e Biotecnologie dell’Università degli Studi di Perugia e il CNR-ISTM. “Mi sono servita di tecniche spettroscopiche nuove che, mostrandoci i diversi stati di ossidazione del cromo, ci consentono di capire perché il giallo di cromo diventi più scuro. In passato non potevamo spiegare l’alterazione fino in fondo, anche perché ovviamente non abbiamo a disposizione immagini di come si presentavano queste opere al tempo. Dunque non sappiamo quanto sia variato il colore”.

Anche per questo motivo comprendere l’inscurimento dei gialli di cromo è da sempre una questione complessa, oggetto di dibattiti tra conservatori, storici dell’arte e scienziati per decenni. Quali di quei gialli più scuri, quasi ocra, sono il segno del tempo che ha cambiato il colore delle opere? Quali invece sono esattamente come li ha voluti l’artista, a fine ‘800, quando scriveva al fratello Theo che per fare cose belle serve una certa dose di ispirazione, “un raggio dall’alto [a ray from on high] che non ci appartiene”?

“Gli studi precedenti hanno permesso di scoprire che esistono varie tipologie di giallo di cromo e che, ad esempio, la tonalità che va dal giallo-arancio al giallo-pallido riflette la diversa composizione chimica. Questi gialli possono essere presenti sia come cromato di piombo vario che come precipitati con cromato di piombo e solfato di piombo. Quelli con maggior contenuto in solfato, i più giallo-pallidi, sono anche i più sensibili alla luce”, prosegue Monico. Anche fattori come l’umidità dell’ambiente giocano un ruolo, ma in un ambiente museale la luce resta il principale driver di degradazione del pigmento.

“La luce è fondamentale per la conservazione delle opere d’arte e individuare queste forme più delicate ci aiuta a capire quali sono le condizioni migliori per farlo. Dal punto di vista chimico cerchiamo di capire la composizione dei gialli e verifichiamo se il degrado è avvenuto, ma allo stesso tempo forniamo informazioni preziose ai conservatori che devono mettere a punto condizioni di illuminazione opportune”.

Le luci giuste per l’arte

Scegliere le luci giuste non è un’impresa semplice. Da un lato il dipinto va protetto, illuminato in modo che i suoi pigmenti subiscano l’azione della luce il meno possibile, ma dall’altro bisogna anche valorizzarlo. “È complicato e ogni dipinto ha pigmenti diversi, quindi una diversa risposta alla luce. Ci sono i rosa, i rossi, per ogni tipologia va scelta l’illuminazione giusta. Che dia rilievo al dipinto nell’interesse di chi va a vederlo in un museo, ma che riesca anche a proteggerlo. Tra le possibilità più interessanti ci sono  i led, che hanno un’emissione modulabile e ci permettono di favorire l’emissione di luce rossa a quella blu. Da un certo punto di vista contribuiamo anche a stimolare i produttori di illuminazioni a progettare sistemi sempre più modulabili”.

La stabilità di alcuni pigmenti è legata proprio alla loro struttura cristallina e alla composizione chimica. Se un pigmento non contiene zolfo nella sua struttura, ad esempio, è più stabile. Per studiare quelli dei Girasoli, Monico e i colleghi si sono mossi su due fronti. “Prima abbiamo condotto delle analisi non invasive sulla superficie del dipinto, sfruttando le tecniche di spettroscopia convenzionale. Così abbiamo potuto differenziare i vari tipi di di giallo di cromo e creare una mappatura delle zone più fotosensibili, quelle che andranno monitorate più attentamente, e di quelle più ‘fotostabili’, che ci aspettiamo rimangano intatte più a lungo”.

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Alla “mappatura” delle aree più e meno fotosensibili è seguita l’analisi al sincrotrone, basata su campioni del dipinto in possesso dei restauratori. Fotografia di Letizia Monico

La seconda parte del lavoro è stata svolta in collaborazione con l’Università di Anversa e le facilities di sincrotrone ESRF (Grenoble) e DESY (Amburgo). Grazie alle tecniche di spettroscopia di assorbimento a raggi X ricercatori hanno analizzato dei micro-prelievi del dipinto forniti loro dai restauratori del museo e individuato gli stati di ossidazione del giallo di cromo. “Queste tecniche ci hanno permesso di individuare la presenza di cromo ridotto”, spiega Monico, “e di attribuire l’inscurimento dei gialli alla riduzione del cromo 6, quello originale color giallo-arancio, a cromo 3, che ha un colore ‘verdastro’”.

Nello studio premiato dalla Società Chimica Italiana ci sono i risultati applicati di 10 diversi lavori (in nove dei quali Monico è prima autrice) che hanno permesso, per gradi, di scoprire tutta la chimica dei girasoli. “Negli studi precedenti ho descritto tutta la parte laboratoriale, condotta su pigmenti simili a quelli dei dipinti ma che ho riprodotto come modelli. Creare un modello più semplice ti consente di ‘giocare con la chimica’, diciamo: su un dipinto originale trovi un sacco di cose, mentre in laboratorio sintetizzi la polvere, la unisci all’olio e ottieni un modello semplice di cui conosci tutte le proprietà, perché l’hai creato tu. E che ti consente di mimare tutto ciò che può essere accaduto al dipinto reale nel corso degli anni”.


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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".