I robot multiculturali, tra Europa e Sol Levante
Ovvero, come sviluppare assistenti artificiali in grado di manifestare consapevolezza e competenza multiculturale. Mettendo insieme competenze internazionali in diversi campi, non solo tecnologici.
APPROFONDIMENTO – Secondo la International Federation of Robotics, si tratta un mercato in notevole crescita, con volumi di varie decine di migliaia di unità solo per il periodo 2016-2019, che dovranno avere una presenza sempre più piacevole e rassicurante, in modo da poter essere accolte dagli esseri umani nelle loro case, e accudire gli anziani e i familiari bisognosi. Parliamo dei robot utilizzati come supporto per anziani e disabili, dei veri e propri assistenti artificiali con una elevata capacità di integrazione negli ambienti umani.
E, a quanto pare, c’è già chi sta lavorando affinchè un giorno, ben lungi dall’essere freddi e scostanti gusci di lega con anima in silicio, questi automi saranno muniti persino della notevole facoltà di essere culturalmente consapevoli e competenti.
Infatti, lo sviluppo di una nuova generazione di evoluti robot multiculturali è l’ambizioso obiettivo del progetto CARESSES (Culture-Aware Robots and Environmental Sensor Systems for Elderly Support), che vedrà come capofila l’Università di Genova e la partecipazione di altri otto partner, tra le più prestigiose università Europee e Giapponesi attive nel campo della robotica (Università di Orebro in Svezia, JAIST e Università di Chubu in Giappone) e della salute (Università di Middlesex e Università di Bedfordshire nel Regno Unito, Università di Nagoya in Giappone).
Abbiamo intervistato in proposito Antonio Sgorbissa, responsabile del progetto e docente di Robotica all’Università di Genova: una laurea in ingegneria elettronica, un dottorato in robotica e un’ampia e profonda esperienza nel campo dei robot autonomi e all’Ambient Intelligence (sistemi intelligenti per il riconoscimento automatico di situazioni e context awareness), responsabilità scientifica di vari progetti nazionali e internazionali: una figura poliedrica, che unisce la passione per la ricerca scientifica e tecnologica a quella per il teatro e le arti, ingredienti tutt’altro che esotici nel bagaglio di competenze necessario per affrontare progetti multidisciplinari con obiettivi ambiziosi come CARESSES.
Come è nato il progetto CARESSES e quali sono gli obiettivi principali?
Il mio gruppo di ricerca presso il Dipartimento di Informatica, Bioingegneria, Robotica e Ingegneria dei Sistemi è attivo da anni nella realizzazione di robot autonomi: robot in grado di acquisire informazioni su ciò che li circonda, prendere decisioni, e agire in maniera autonoma al fine di eseguire i compiti che sono stati loro assegnati. In tale contesto, uno dei campi applicativi di cui ci siamo occupati è proprio la realizzazione di robot di assistenza in ambito domestico, ad esempio per aiutare gli anziani a prolungare la propria vita indipendente, e ritardare il momento in cui abbiano bisogno di un assistenza a domicilio o di essere trasferiti in una residenza protetta.
È il problema che molti si trovano ad affrontare con un genitore anziano: sono poche le persone disposte ad accogliere in casa propria un “badante” umano o, situazione ancora più temuta, ad abbandonare la casa in cui hanno sempre vissuto. In questo senso il robot può essere la soluzione ottimale, perché viene interpretato come un super elettrodomestico sotto il controllo della persona, non è percepito come un estraneo che “invade” casa nostra.
CARESSES va però oltre rispetto a qualunque progetto fatto finora: parte infatti dall’assunzione che, se una macchina “intelligente” deve convivere ventiquattro ore al giorno con una persona, deve necessariamente tener conto che ognuno di noi è diverso per cultura e abitudini. Da qui l’idea di trasferire i principi del Transcultural Nursing (l’infermeria transculturale) ai robot. I Robot di CARESSES non saranno solo assistenti capaci, ma assistenti in grado di adattare il loro modo di comportarsi a seconda dell’identità culturale delle persone con cui interagiscono.
Qual è il suo ruolo nel progetto CARESSES?
Sono stato uno degli ideatori e promotori del progetto, e ora sono il coordinatore di un consorzio che comprende sei partner europei e tre partner giapponesi. Nei prossimi tre anni, sarà mio compito favorire le interazioni tra i partner, tenere traccia delle scadenze secondo cui fornire risultati di ricerca e mettere i partner nelle condizioni di rispettarle, controllare la qualità di ciò che viene fatto, e garantire che il progetto nel suo complesso raggiunga gli obiettivi prefissati. Oltre a questo, il mio gruppo di ricerca si occuperà della realizzazione di una base di conoscenza culturale, ovvero un database di tipo evoluto che contenga informazioni su quali sono le specificità delle diverse culture, che possa poi essere utilizzato dai robot per “capire” la situazione e adattare il proprio comportamento a seconda delle esigenze.
Il progetto prevede una forte cooperazione tra paesi EU, Regno Unito e Giappone. Come saranno organizzate le attività?
Abbiamo stabilito un piano di lavoro molto intenso e in cui le interazioni tra i partner europei e giapponesi sono fondamentali per la buona riuscita del progetto e la realizzazione degli obiettivi. Abbiamo già cominciato gli incontri mensili in videoconferenza, e avremo – a partire da gennaio – incontri periodici di persona in Europa o in Giappone (almeno due all’anno) in cui valutare i risultati dei mesi precedenti e preparare il piano di lavoro per quelli successivi.
I partner europei e giapponesi di CARESSES hanno caratteristiche uniche e complementari, che verranno sfruttate. Ad esempio, tra i partner Europei, abbiamo la Middlesex University, tra le più prestigiose a livello mondiale e prima a livello Europeo nel Transcultural Nursing, e la rete di case di cure Advinia Health Care, dove verrà condotta la sperimentazione nell’ultimo anno. Coordinatore dei partner Giapponesi sarà il JAIST, che fornirà un prototipo unico al mondo di casa a due piani completamente automatizzata (iHouse), dove i robot potranno interagire con gli automatismi dell’appartamento per fornire servizi sempre più evoluti agli abitanti.
Il ponte ideale tra i partner europei e giapponesi è l’azienda Softbank Robotics, che produce il robot Pepper usato in CARESSES come piattaforma di partenza per lo sviluppo di robot “culturalmente consapevoli”. Softbank Robotics è estremamente attiva sia in Europa sia in Giappone.
L’interdisciplinarità del progetto è molto ampia. Quali sono le principali competenze per portarlo avanti?
Le competenze necessarie non sono solo di tipo tecnologico, ma anche legate alle scienze della salute e all’assistenza sanitaria. Contribuiranno al successo di CARESSES esperti in Robotica e Intelligenza Artificiale (con attenzione particolare ad aspetti di rappresentazione della conoscenza, interazione uomo-robot, pianificazione automatica di azioni e comportamenti), esperti in Transcultural Nursing, esperti nella valutazione delle tecnologie per la salute e l’assistenza, psicologi.
Che cosa si intende con robot “culturalmente consapevoli” o “culturalmente competenti” in questo ambito?
Nel campo dell’Intelligenza Artificiale c’è la tendenza a usare gli stessi termini che comunemente usiamo per descrivere la “mente” umana, qualunque cosa si voglia intendere con questa parola. Nel nostro caso, il termine “consapevole” è la traduzione del termine inglese “aware” molto usato nel termine composto “context-aware”, ovvero consapevole del contesto, di ciò che sta attorno al robot. In CARESSES non facciamo alcuna assunzione sul fatto che il robot sia “cosciente”, altro termine che avrebbe bisogno di una definizione più precisa prima di essere utilizzato. Con il termine “consapevole” vogliamo intendere che il robot è in grado di acquisire informazioni su ciò che lo circonda tramite sensori, crearne dei modelli computazionali, e usare tali modelli e la conoscenza di cui è già in possesso per prendere decisioni e adattare il proprio comportamento. Nel caso di CARESSES, il robot avrà consapevolezza delle specificità delle varie culture, saprà cogliere le caratteristiche individuali dei suoi utenti per evitare un’interpretazione stereotipata dei tratti culturali e produrrà, speriamo, un comportamento culturalmente competente e – di conseguenza – più facilmente accettabile.
Si parla di consapevolezza in una macchina. Tale consapevolezza viene “mimata” dall’automa, o nell’ambito del progetto si stanno approfondendo tecniche di intelligenza artificiale che vanno nella direzione di sviluppare robot effettivamente senzienti?
A livello di pura speculazione, riflettere su cosa voglia dire essere senzienti o coscienti è per me un argomento di grandissimo interesse. Credo che gli interrogativi più affascinanti della filosofia della mente siano molto lontani da ricevere una vera risposta dalle Neuroscienze, e dubito (come altri dubitano) che potrà mai essere il contrario. Il filosofo David Chalmers, che è uno degli autori più controversi, è molto chiaro quando divide il problema della coscienza in un “problema difficile” della coscienza e un “problema facile”. Il problema “difficile” cerca di capire come e perché abbiamo esperienze fenomeniche, ovvero perché le sensazioni abbiano caratteristiche soggettive come colore e gusto, che non sono necessarie per una spiegazione materialistica dei fenomeni naturali: se tutto si può spiegare tramite interazioni fisiche, da dove ha origine la coscienza? Il problema “facile” vuole spiegare l’abilità di discriminare e integrare informazione (ad esempio per il riconoscimento visivo) focalizzare l’attenzione, formulare piani di azione, ecc. Il problema facile si pone “solo” come il problema di specificare quale sia il meccanismo in grado di eseguire la funzione, non il problema dell’esperienza soggettiva che ne abbiamo.
Ora, io non sono sicuro che il problema “difficile” abbia un senso o se, come sostengono altri autori (tra cui il suo più fiero oppositore Daniel Dennett) tale problema in realtà non esista e sia da ultimo solamente linguistico. Ma quel che è certo è che le Neuroscienze si pongono di affrontare solo il problema facile, mentre il problema difficile sembra allo stato attuale impossibile da esplorare usando un metodo scientifico: come esplorare oggettivamente l’esperienza fenomenica la cui natura è solo soggettiva?
Nella progettazione dei robot “culturalmente consapevoli” di CARESSES ci limiteremo ad affrontare il problema “facile”, ovvero emulare i meccanismi che permettano ai robot di eseguire le funzioni. Sul problema difficile, che – lo confesso – continua a darmi un senso di vertigine inebriante, mi limito a giocare: sono autore e uno degli attori di uno spettacolo teatrale (Ududu-za-thora) che affronta proprio questi temi e andrà in scena i giorni 31 marzo e 1 aprile 2017 al Teatro dell’Ortica di Genova.
In che modo si otterrà il matching tra le esigenze del paziente e il comportamento dell’automa?
I robot avranno accesso a una base di conoscenza che rappresenta i tratti principali delle diverse culture. Tuttavia, è necessario stare attenti a non cadere negli stereotipi: fatto più che ovvio, ma spesso dimenticato, non tutti coloro che appartengono a una stessa nazione o a una stessa area geografica hanno caratteristiche culturali identiche, o le stesse preferenze. Altrimenti si rischia di cadere in rappresentazioni stereotipate che vedono tutti gli Italiani appassionati di calcio e mammoni, tutti i genovesi avari, tutti i Tedeschi privi di senso dell’umorismo, tutti i Giapponesi fedeli fino alla morte alla propria azienda. Da un lato è senz’altro vero che tali rappresentazioni stereotipate hanno un’origine che non può essere ignorata, dall’altro è necessario saper riconoscere le specificità dei singoli, e saper individuare l’identità culturale in cui ognuno si riconosce, non le etichette che ci vengono appiccicate in base alla nostra area geografica di appartenenza. Il robot dovranno essere in grado di apprendere, tramite l’interazione con gli umani, le caratteristiche di ognuno, e adattare il proprio comportamento di conseguenza formulando i piani di azione opportuni.
In che cosa consisterà la sperimentazione? Quali saranno le sue fasi?
CARESSES prevede una fase di sperimentazione molto intensa, a partire dalla seconda metà del progetto. La sperimentazione verrà effettuata in UK, presso le case di cura del nostro partner Advinia Health Care, e in Giappone, presso la casa di cura HUISUISUI, che ha forti legami di collaborazione con il coordinatore giapponese JAIST.
Seguiremo un protocollo di sperimentazione rigoroso, che tiene conto delle problematiche etiche necessariamente implicate da un progetto di questo tipo: la privacy dei dati, ma anche l’applicazione delle linee guide opportune per la sperimentazione con persone che hanno bisogno – più di altre – di una speciale attenzione. A questo scopo, è coinvolto nel progetto un consulente etico, che ci aiuterà ad affrontare tali problematiche nella maniera migliore.
La sperimentazione prevede che persone appartenenti a diversi gruppi culturali interagiscano con il robot tre volte alla settimana per due settimane. Le persone saranno divise in un gruppo di test e un gruppo di controllo: quello che vogliamo verificare è se un robot di assistenza domestica culturalmente competente ha più possibilità di essere accettato favorevolmente di un robot che non tenga conto delle differenze culturali.
Molto importante, in questa prima sperimentazione i volontari saranno scelti con una fase di recruitment e screening finalizzata a selezionare solo persone con capacità cognitive sufficienti per interagire con il sistema (e di conseguenza escluderemo dalla sperimentazione, ad esempio, pazienti con il morbo di Alzheimer o altra forma di demenza in fase tale da precludere le capacità cognitive necessarie alla sperimentazione).
Per quel che riguarda le ricadute occupazionali, quali sono i possibili impatti sul ruolo tradizionale del caregiver?
Nel breve termine, il progetto potrà avere un impatto enorme sulla qualità della vita delle persone assistite e dei loro familiari (i cosiddetti “caregiver informali”), ma avrà un impatto quasi nullo sul ruolo dei caregiver professionali. Infatti, i robot che ci proponiamo di costruire non sono in grado di sostituire ciò che può fare un caregiver professionale umano, ma possono invece essere molto utili in quella fase della vita in cui una persona comincia a “perdere qualche colpo”, e aiutare i caregiver informali (figli, nipoti) nel loro compito: i robot possono notare se la persona non si sente bene o è caduta, e suggerire di contattare i figli o il dottore (o informarli lui stesso, ma questo solleva etici di privacy che devono essere affrontati); i robot possono stimolare la persona a uscire a fare due passi, leggere un libro, o telefonare a un figlio o a un amico che non vedono da tempo; possono memorizzare gli ingredienti necessari per una ricetta, e ricordarli alla persona che magari comincia ad avere qualche vuoto di memoria, è in grado di cucinare, ma non di organizzare il proprio lavoro; possono ricordare alla persona di prendere una medicina, o stimolarlo a seguire una dieta prescritta dal medico.
Tutte queste cose, dopo CARESSES, verranno fatte con una sensibilità speciale alle differenze tra le diverse culture.
Come si misurerà il successo del progetto?
Nella fase di sperimentazione, i volontari saranno divisi in un gruppo di test e un gruppo di controllo: tramite strumenti quantitativi, verificheremo se i pazienti hanno percezione o meno della competenza culturale del robot, verificheremo se il carico sulle spalle dei caregiver è ridotto grazie al robot, se la qualità della vita viene percepita come migliorata.
In particolare, verificheremo se ci sono differenze significative tra il gruppo di test e di controllo, ovvero se un robot di assistenza domestica culturalmente competente viene valutato come “superiore” rispetto a un robot che non tenga conto delle differenze culturali.
In un senso più allargato, il progetto avrà successo se riusciremo a rendere il pubblico consapevole dell’importanza dei fattori culturali in tutte le attività che hanno a che fare con gli esseri umani, e contribuire alla formalizzazione del problema in maniera rigorosa. Per contribuire alla realizzazione di sistemi intelligenti culturalmente consapevoli, certo, ma anche per migliorare la gestione della salute, l’amministrazione locale, la politica del lavoro. In Italia abbiamo difficoltà a capire che un’altissima parte dei conflitti che nascono nelle nostre città sono dovuti a motivazioni culturali e potrebbero essere in parte mitigati con una maggior consapevolezza. Io vivo nel centro storico di Genova, in un quartiere che ha enormi problemi legati anche all’immigrazione, ma che ci ha reso più consapevoli e in costante ricerca di nuove forme di socialità multiculturale. Ma non è ovunque così. A Genova sono vent’anni che si parla di costruire una moschea, ma nessuno la vuole: not in my backyard.
È prevista una cooperazione con aziende o partner industriali nel settore dell’healthcare?
È parte del consorzio Softbank Robotics, l’azienda leader nel settore che produce il robot Pepper, finalizzato proprio all’assistenza domestica. Grazie a CARESSES, Pepper acquisirà nuove funzionalità e capacità di adattamento culturale, superando uno dei problemi principali alla commercializzazione della tecnologia in diversi paesi. Questo però non è tutto: altri produttori potranno, almeno in linea di principio, collegarsi alla base di conoscenza culturale di CARESSES, e utilizzare le informazioni qui contenute per adattare il comportamento e le funzionalità dei propri sistemi. È la Rivoluzione Culturale robotica: non bisogna averne paura, ci aiuterà a vivere meglio.
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