Come comunicano i cavalli?
Le loro espressioni del volto sono molte e molto simili a quelle umane. Sempre più studi confermano che i cavalli comunicano con noi più di quanto pensassimo. Il nostro compito è ascoltarli, anche (ma non solo) quando sono compagni di sport
APPROFONDIMENTO – Se vi è capitato di montare a cavallo almeno qualche volta, di fronte agli studi sulle capacità cognitive di questi animali la vostra reazione sarà “potevo dirvelo anche io”. Un po’ come quando chi ha un cane legge che i cani capiscono le espressioni del nostro viso o chi ha un gatto che i gatti sanno come stiamo (ma non gli interessa).
Rispetto alle altre specie che ci sono vicine, il cavallo ha anche una data di domesticazione più recente, stimata intorno ai 5.500 anni fa contro i circa 30.000 dei cani e gli oltre 9.000 dei gatti, nonché “quantificata” in almeno 125 geni legati a caratteristiche sia fisiche che comportamentali. Il processo che li ha portati a vivere insieme a noi è considerato anche, insieme alle particolarità dei singoli animali, uno dei motivi per i quali i cavalli comunicano con gli umani decisamente più di quanto credessimo un tempo. Pensando per aneddoti, la notizia non genera alcuno stupore: un cavallo può attirare la vostra attenzione e indicarvi con i movimenti di corpo e testa che vorrebbe prendeste qualcosa per lui (ad esempio uno spuntino) o guardarvi spazientito mentre lo pulite per dirvi che state facendo qualcosa di maldestro.
Ma nelle scienze cognitive l’aneddoto non può essere che il punto di partenza, il “la” che stuzzica la curiosità dello scienziato e che incoraggia a fare studi controllati. Tutto ciò che di nuovo scopriamo in ambito di “scienza equina”, peraltro, va a nutrire il recente approccio dell’equitazione etica (approccio cognitivo-relazionale), che si propone di dare precedenza alla creazione di un rapporto con il cavallo e di ricreare per gli animali delle condizioni il più simili possibile a quelle naturali per la loro specie. Vita in branco riducendo il tempo trascorso da soli nei box, ambiente ricco di stimoli e frequente interazione sociale con i propri simili.
Il che non significa che i classici ambiti equestri siano ambienti di deprivazione per i cavalli, che -forti di studi scientifici possiamo dirlo– proprio come i cani hanno sviluppato un’associazione positiva rispetto alle interazioni con gli esseri umani e se le ricordano nel tempo. Si sono evoluti per la vita in branco e comunicano tra loro in modo molto sofisticato (lunghezza e intensità del nitrito di un cavallo parlano delle sue emozioni, dimensioni, dicono agli altri cavalli di che sesso è e lo identificano) ma la domesticazione da parte nostra, oltre a rivoluzionare la società umana -dall’ambito agricolo a quelli bellico e commerciale- ha cambiato anche loro e favorito la nascita di una comunicazione intra-specie.
Tra gli elementi che l’hanno plasmata c’è il fatto che noi, ma anche gli scimpanzé, condividiamo con i cavalli una straordinaria quantità di espressioni del viso veicolate dai movimenti di narici, bocca e occhi. Al punto da suggerire che diverse specie, più o meno in parallelo, abbiano evoluto le espressioni del volto come elementi di comunicazione. Combinando una gran mole di dati video e dettagliati studi sui muscoli facciali dei cavalli, gli scienziati dell’Università del Sussex hanno elaborato un vero e proprio sistema per codificare le loro espressioni, EquiFACS, identificandone 17 nei cavalli contro il repertorio delle 27 umane, le 13 degli scimpanzé e le 16 dei cani. Un numero simile ha provocato un certo stupore, visto che in passato regnava l’assunto che più una specie era lontana dalla nostra più il suo utilizzo delle espressioni facciali sarebbe stato rudimentale. È meno chiaro se queste espressioni siano poi collegate a precisi stati emotivi anche nei cavalli, ma sembra più che plausibile visto che loro sono in grado di interpretare i nostri, valutando il volto umano in termini di positivo (quando ad esempio esprimiamo gioia) o negativo (se siamo arrabbiati).
Se avete avuto modo di osservare un cavallo da vicino, infatti, vi sarete accorti che per osservare quanto lo circonda usa gli occhi in modo diverso, girando evidentemente la testa in una o nell’altra direzione. Nello specifico usano l’occhio sinistro -le cui informazioni vengono codificate dall’emisfero destro del cervello- per gli stimoli considerati potenzialmente pericolosi, come un predatore. Come hanno confermato gli studi, di fronte a una fotografia che ritrae un volto umano arrabbiato il battito cardiaco dei cavalli tende a diventare più veloce e l’occhio preferito per osservare è il sinistro. Anche i cani reagiscono coerentemente all’espressione del nostro volto (soprattutto guardando gli occhi), il che fa supporre che la domesticazione abbia giocato un ruolo importante: gli animali che vivono a stretto contatto con noi, in pratica, hanno imparato a “leggerci”.
Appena un anno prima di EquiFACS, le ricercatrici Jennifer Wathan e Karen McComb avevano smentito un’altra idea legata alla comunicazione tra animali, ovvero che in quelli con occhi laterali la direzione dello sguardo non fosse un elemento importante per il “dialogo” con i conspecifici. Le scienziate hanno mostrato a dei cavalli immagini a grandezza reale di loro simili che prestavano attenzione a uno di due secchi colmi di cibo presenti sulla scena. I cavalli sfruttavano l’indicazione data dalla postura del corpo scegliendo poi il secchio giusto, un indizio che diventava però molto meno efficace nel momento in cui Wathan e McComb coprivano nelle sagome gli occhi e le orecchie. Anche quando comunicano con noi gli occhi svolgono un ruolo molto importante e una conferma è arrivata pochi mesi fa, da uno studio condotto dall’italiana Rachele Malavasi (consulente scientifica del primo centro di Equitazione Etica italiano, dove si è svolto il lavoro) e da Ludwig Huber.
I due scienziati sono riusciti a dimostrare che non solo i cavalli ci “leggono” e capiscono quando hanno la nostra attenzione e quando no, ma che sfruttano tutta una serie di movimenti e azioni per comunicare quello che vogliono. Nell’esperimento due secchi pieni di cibo sono stati posizionati dove i cavalli potevano vederli ma non raggiungerli, mentre un operatore rimaneva presente sulla scena ma senza fare nulla. Come comunicargli “voglio quello che c’è nel secchio”? I cavalli, che nella scuola di equitazione di Moncigoli Di Fivizzano (MS) sono incoraggiati a essere creativi e sperimentare, non hanno deluso le aspettative. Spostavano più volte lo sguardo dall’operatore al secchio, attiravano la sua attenzione toccandolo quando non riuscivano a stabilire il contatto visivo e con il capo “indicavano” l’ambito premio. Si servivano di svariate strategie per manipolare l’attenzione di un animale di un’altra specie (la nostra), un ricevente, per ottenere un oggetto altrimenti irraggiungibile. È una comunicazione documentata per la prima volta in un ungulato. Malavasi, intervistata da Animal Cognition, ha detto che il prossimo obiettivo sarà ripetere l’esperimento in un centro di equitazione classico, dove i cavalli sono meno incoraggiati a innovare al di fuori dei comandi del cavaliere dunque si aspetta di ottenere risultati diversi.
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