Con le temperature aumenta anche il mercurio nel plancton
Grazie ai mesocosmi gli scienziati hanno potuto stimare le conseguenze sulle reti trofiche del riscaldamento globale: il metilmercurio nello zooplancton potrebbe aumentare fino a sette volte
AMBIENTE – Molte conseguenze del cambiamento climatico sono sotto gli occhi di tutti: sbiancamento dei coralli, aumento del livello dei mari, scioglimento dei ghiacci, eventi climatici “estremi” sempre più numerosi e tante altre. Allo stesso tempo il riscaldamento globale ha anche effetti più subdoli, che non vediamo o ci sembrano meno eclatanti, ma non per questo sono meno gravi.
Per esempio il fatto che potrebbe modificare la quantità di sostanze organiche che dalla terraferma raggiungono gli ecosistemi acquatici, una conseguenza ancora poco esplorata ma più che plausibile. Tramite una “simulazione” in ambiente controllato, un gruppo scienziati svedesi ha dimostrato che potrebbe verificarsi un aumento di fino a sette volte della quantità di metilmercurio presente nello zooplancton.
Il mercurio, che si diffonde nell’ambiente sia tramite processi naturali sia causati dalle attività umane (come la combustione dei combustibili fossili) è noto per i rischi che comporta per la salute umana e animale. Ognuna delle sue forme ha effetti nocivi diversi, con conseguenze sul sistema nervoso, sulle difese immunitarie, su polmoni, reni, pelle e occhi. Il metilmercurio (come l’etilmercurio) è una forma organica e ha l’effetto di una potente neurotossina: si accumula nella rete trofica marina ma anche in quella dei laghi.
Il bioaccumulo quantificato dagli scienziati è la conseguenza di un’alterazione delle reti trofiche, che passano da essere dominate dal fitoplancton a una maggioranza di batteri, con numerosi livelli formati da un’enorme varietà di organismi, dunque più opportunità per il metilmercurio di concentrarsi, fino a raggiungere lo zooplancton e poi risalire la rete fino ai pesci (che noi mangiamo).
“Lo studio ha rivelato un fenomeno che non era mai stato descritto prima. I risultati sono critici per prevedere come i cambiamenti climatici globali possano influenzare l’esposizione degli ecosistemi e degli umani al metilmercurio”, spiega in un comunicato Erik Björn, professore associato alla Umeå University, leader della ricerca.
L’equilibrio negli ecosistemi è dato dalle specie che li occupano, dalla biodiversità e da complessi processi ecologici e chimici. Le temperature sempre più alte e tutti i processi e gli squilibri da queste messi in moto stanno turbando questo equilibrio in molti modi. Per il loro esperimento, Björn e colleghi si sono serviti dei mesocosmi dell’Umeå Marine Sciences Centre, modelli di laboratorio che riproducono le condizioni naturali degli ecosistemi il più fedelmente possibile e sono molto usati in ecologia applicata.
I mesocosmi svedesi sono 12 cisterne di polietilene altre cinque metri e piene d’acqua (filtrata o non) proveniente dal mar Baltico, in cui è possibile regolare temperatura e luce. È così che gli scienziati hanno avuto la conferma che un aumento del 15-20% nell’apporto di sostanze organiche nelle acque del pianeta può trasformare le reti trofiche a base autotrofa in reti trofiche a base eterotrofa, con conseguenze come l’importante aumento nell’accumulo di metilmercurio.
Perché 15-20%? Non si tratta di una percentuale casuale, ma un aumento in linea con le previsioni sulle regioni dell’emisfero settentrionale (mar Baltico compreso). L’incremento di metilmercurio, tra le due e le sette volte, è anche coerente con l’aumento stimato del mercurio presente negli ecosistemi a causa delle emissioni di gas serra antropiche dal 1850 a oggi. Il risultato è importante perché mostra un ulteriore elemento che potrebbe giocare un ruolo se inserito nei modelli di previsione sul cambiamento climatico. Quegli stessi modelli che secondo molti scienziati sono ancora lacunosi, proprio perché per mancanza di dati non riescono a includere molti aspetti la cui influenza potrebbe rivelarsi niente affatto marginale.
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