SALUTE

Una buona notizia per il carcinoma duttale del seno

A 10 anni dalla diagnosi, le donne trattate hanno una minore probabilità di morire per altre cause rispetto alla popolazione generale.

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Le donne che sono state trattate per carcinoma duttale al seno sembrano avere una minore probabilità di morire per altre cause, come problemi circolatori o respiratori. Crediti immagine: James Palinsad, Flickr

SALUTE – Si è parlato molto di cancro al seno al Congresso Europeo di Oncologia che si è tenuto a inizio 2017 ad Amsterdam. Dallo screening alla terapia fino alle frontiere ancora ricche di caveat legate alla medicina personalizzata basata sulla genomica, passando per la gestione delle pazienti in post-intervento.

Carcinoma duttale in situ

Una prima buona notizia riguarda tutte quelle donne che si trovano davanti a una diagnosi di carcinoma duttale in situ (DCIS), una forma di tumore al seno poco invasiva, dove le cellule cancerose si sviluppano all’interno dei dotti senza espandersi nel tessuto circostante o verso altri organi.

La prognosi per questo tipo di tumore è generalmente più positiva rispetto ad altre tipologie di cancro al seno, e secondo uno studio condotto dal Netherlands Cancer Institute reso noto proprio in occasione del congresso le donne che sono state trattate per questo tipo di cancro morirebbero meno per altre cause (problemi circolatori, respiratori e via dicendo) nei 10 anni successivi rispetto alla popolazione generale, anche se mostrano una probabilità maggiore di morire di cancro al seno.

I ricercatori hanno studiato circa 10 000 donne olandesi che hanno ricevuto una diagnosi di DCIS fra il 1989 e il 2004, con un follow up di 10 anni dall’intervento , confrontando i loro tassi di mortalità con la mortalità attesa nella popolazione generale. Ebbene, le donne trattate hanno mostrato una probabilità del 10% più bassa per altre cause rispetto alla popolazione generale.

In particolare, queste donne avrebbero un minor rischio di morire di malattie dell’apparato circolatorio, respiratorio, digerente e di altri tumori. Un risultato dunque assume particolare rilevanza se consideriamo che il trattamento del carcinoma duttale in situ con la radioterapia potrebbe causare effetti collaterali, tra cui danni agli organi vicini come il cuore.

Si tratta di risultati ottenuti su donne che nei 10 anni dopo la diagnosi si sono sottoposte a controlli regolari, che hanno permesso di individuare eventuali recidive o altre patologie in uno stadio precoce e quindi agire per tempo. In questo senso vanno letti questi risultati, che non misurano la probabilità di ammalarsi di altre patologie, ma la mortalità dovuta a queste patologie, che dipende in buona misura anche dal sottoporsi a controlli nel tempo.

Lo screening è fondamentale

“La diagnosi di carcinoma duttale in situ può essere estremamente dolorosa, e la ricerca indica che molte donne sovrastimano i rischi e sono confuse circa il trattamento da seguire. Questo studio fornisce una rassicurazione per queste donne che una diagnosi di carcinoma duttale in situ non significa una maggiore probabilità di morire in giovane età”, spiega durante la presentazione dello studio Lotte Elshof, epidemiologa presso il Netherlands Cancer Institute.

“Tuttavia – prosegue Elshof – la stragrande maggioranza di queste donne è stata diagnosticata tramite screening del seno, che ha reso possibile un’intervento tempestivo. È fondamentale ricordarlo, perché altrimenti anche il DCIS può portare a prognosi più infauste.”

Un quinto delle morti a 10 anni dalla diagnosi di DCIS infatti è dovuta al cancro al seno, che con tutta probabilità, spiegano i ricercatori, è il risultato della progressione non diagnosticata del tumore. Questa buona notizia non deve dunque offuscare la necessità di proseguire con lo screening negli anni successivi, concludono gli esperti, dal momento che dieci anni dopo il trattamento il rischio di sviluppare il cancro al seno invasivo nella stessa mammella è di circa l’1% dopo la mastectomia, il 10% dopo un intervento di chirurgia conservativa del seno, e il 5% dopo la chirurgia conservativa del seno seguita da radioterapia.

L’obiettivo nel prossimo futuro è di estendere questa ricerca anche ad altri Paesi, aumentando quindi le dimensioni dello studio, e in questo senso il gruppo ha appena iniziato una collaborazione internazionale fra Regno Unito e  Stati Uniti per capire i meccanismi alla base di questi risultati osservati e per cercare di capire il motivo per cui in alcuni casi si assiste a un’evoluzione negativa, mentre in altri casi questo non accade.

Sarà importante inoltre identificare il ruolo di altri fattori, fra cui l’età, che contribuiscono a costituire il rischio individuale di recidiva e di progressione della malattia.

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.