SCOPERTE

I frattali nascosti nelle macchie di Rorschach

L'interpretazione delle macchie di Rorschach sembra essere legata alla complessità frattale delle immagini: quando cresce la complessità, diminuisce il numero di interpretazioni.

La prima immagine del test ideato da Hermann Rorschach. Crediti immagine: Public Domain

SCOPERTE – “È una scena di danza”, “È un insetto pieno di sangue, sezionato”: sono state queste le risposte date da due degli imputati al processo di Norimberga, gli ex ufficiali nazisti Hermann Goring e Rudolph Hesse accusati di crimini contro l’umanità, quando sottoposti a un test psicologico visivo previsto prima di essere giudicati. Si trattava delle celebri macchie di Rorschach, il test proiettivo ideato dallo psichiatra svizzero Hermann Rorschach come strumento per interpretare i caratteri distintivi della psiche umana.

Le macchie furono introdotte per la prima volta nel 1921 con un primo set di 10 differenti immagini, realizzate versando dell’inchiostro in fogli di carta opportunamente piegati. Il loro utilizzo è noto e reso popolare anche dal grande schermo: l’immagine prodotta con questo sistema, per quanto casuale e priva di una forma e un significato precisi, suscita diverse reazioni nei soggetti che le guardano.
Le risposte di Goering e Hesse, per esempio, riguardavano una stessa macchia (la seconda del set di 10), ma tradivano diversi tratti della personalità dei due. Questo almeno secondo gli psicologi, che hanno fatto affidamento per decenni su questo test – con picchi durante gli anni Sessanta – raffinando col tempo i criteri per interpretare correttamente le risposte. Tuttavia, il metodo si è poi rivelato debole in quanto ad affidabilità della valutazione e validità e il vero meccanismo di funzionamento di queste immagini, il perchè riescono a ispirare così tante immagini diverse, è rimasto sostanzialmente un mistero fino a quando è arrivata la matematica computazionale a darne una lettura alternativa e meno emotiva. In uno studio pubblicato di recente su PLOS ONE, ricercatori dell’Università dell’Oregon descrivono una nuova, forse definitiva, risposta al dilemma. La soluzione ha a che fare con un vecchio tormentone delle scienze naturali.

Dalla pareidolia ai frattali

Un primo passo per capire la tecnica d’indagine psicologica introdotta da Rorschach è fare riferimento al fenomeno della pareidolia, ovvero il meccanismo che induce a intravedere in immagini non ben definite forme e oggetti riconoscibili o a sentire in suoni casuali una sequenza sonora coerente: insomma, vedere o sentire ciò che in realtà non c’è.

La “Faccia su Marte” è uno dei più celebri esempi di pareidolia. Crediti immagine: NASA

Tra gli esempi più celebri e popolari di pareidolia c’è la “Faccia su Marte (o Volto di Cydonia)”, dettaglio di una foto scattata dalla sonda Viking 1 in orbita attorno al Pianeta Rosso nel 1976, interpretato con un presunto reperto di un’antica civiltà marziana, ma in realtà frutto di un gioco di ombre generate dalle alture marziane che riproducevano tratti dalle sembianze quasi umane. Oppure il Monte Circeo, che da alcune angolazioni può sembrare una faccia rivolta verso l’alto. Il mondo dell’arte e dello spettacolo ha sfruttato in diverse occasioni il fenomeno, per mascherare nelle opere dettagli suggestivi e misteriosi: lo conoscevano bene Leonardo Da Vinci, Arcimboldo, Salvador Dali. Edgar Allan Poe ha inserito la pareidolia nel racconto Gli Assassini della Roue Morge, e una una forma di pareidolia acustica è alla base di una leggenda nata su alcuni dischi dei Beatles (il mito di “Paul is Dead“, secondo cui il bassista del gruppo è in realtà morto nel 1966, poi sostituito da un sosia).

Carl Sagan sosteneva che la pareidolia altro non è che un retaggio evolutivo, uno degli strumenti sviluppati dal nostro cervello per riconoscere i tratti di un altro essere vivente, fondamentalmente a scopi di sopravvivenza, mentre in psichiatria questa tendenza a rielaborare singoli particolari di un’immagine è stata interpretata a lungo come un sintomo di psicosi. Rintracciare i lineamenti di un volto in figure insospettabili è in realtà un’inclinazione non solo umana: in determinate circostanze infatti anche i computer sono in grado di ricostruire una faccia con pochi punti di riferimento.

Con un procedimento analogo, ma in direzione inversa, il gruppo di ricercatori guidato da Richard Taylor, direttore dell’Istituto di scienza dei materiali dell’Università dell’Oregon, ha cercato di decriptare lo schema che costituisce le 10 macchie di Rorschach. Secondo lo studio, a trarre in inganno, o meglio a fornire diverse chiavi di lettura delle immagini è la complessità frattale.

I frattali sono forme geometriche si ripetono nello stesso modo a diverse scale di grandezza. La natura pullula di forme frattaliche, dalle radici ai rami e alle foglie di un albero, dai cristalli di ghiaccio alle montagne, fino al broccolo romanesco. In immagini come quelle usate da Rorschach, la complessità frattale è definita dal rapporto tra i dettagli a grana fine e quelli più grossolani. Quello che i ricercatori hanno scoperto, facendo uso di un metodo di misura di box-counting, è che all’aumentare della complessità frattalica diminuisce il numero di interpretazioni visive. Per esempio, la macchia numero 1 del set originario, che presenta la minore densità frattalica, ha un record di circa 300 immagini evocate, mentre la più complessa induce a individuare meno della metà di immagini, circa 170. Secondo Taylor e i suoi ricercatori, questo risultato fornisce innanzitutto una nuova chiave di lettura del test: più che spiegare i tratti della psiche umana, individua il livello di creatività del soggetto, facilitata o meno dalla trama di frattali nascosta nell’immagine.

Questa particolare relazione tra struttura interna dell’immagine e visione potrà inoltre essere d’aiuto per mettere a punto nuovi biomateriali per retine artificiali, facilitando o meno la visione, regolando proprio il tasso di complessità frattalica.

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Marco Milano
Dopo gli studi in Scienza dei Materiali si è specializzato in diagnostica, fonti rinnovabili e comunicazione della scienza. Da diversi anni si occupa di editoria scolastica e divulgazione scientifica. Ha collaborato, tra gli altri, con l’Ufficio Stampa Cnr e l’agenzia Zadig.