Volpi di città
Più aumenta l'urbanizzazione meno la fauna selvatica rimane...selvatica. Le volpi nel Regno Unito sono un esempio, osservate sempre più spesso ma difficili da quantificare.
SPECIALE MARZO – Sempre più persone scelgono la vita in città per godere di servizi, attività culturali, per rimanere più vicine al luogo di lavoro. Ma la city life non riguarda solo la nostra specie: sempre più censimenti, studi e progetti di citizen science mostrano come gli animali si avvicinano e si stabiliscono nei centri abitati. Non solo pipistrelli, roditori e ricci, ma falchi pellegrini (come quelli che abitano a Manhattan) e creature ancor più grandi come le volpi (Vulpes vulpes), che anche in città continuano comunque a condurre una vita “riservata” e a evitare, quando possibile, i contatti con noi.
Disboscamento e attività minerarie non sono infatti le uniche modalità con le quali modifichiamo l’ambiente; anche l’urbanizzazione gioca un ruolo sempre più importante e spesso ha effetti negativi sugli animali selvatici, perché porta a una degradazione o a una frammentazione dell’habitat. Così sempre più specie sono costrette a spostarsi dalla loro casa, bloccate da grandi strade e infrastrutture, assordate dal traffico o esposte a fonti di cibo alternative (come le discariche) che finiscono per alterarne il comportamento e la biologia.
Altre, come la volpe, se la cavano invece piuttosto bene: essendo predatrici generaliste hanno accesso a nuove possibilità alimentari, non solo rifiuti e scarti di cibo umani ma un gran numero di piccioni e ratti. Allo stesso tempo possono trovare rifugio nei giardini e, a conti fatti, sopravvivere con meno fatica rispetto a quella che richiederebbe sostentarsi con la sola caccia in natura. Niente attività industriali o agricole a disturbarle, niente (o quasi) pesticidi a ridurre il numero di lombrichi nel terreno e temperature tendenzialmente più calde rispetto al resto del territorio. Ma quante sono le volpi cittadine?
Mentre nuove città si attrezzano per tenere d’occhio la propria popolazione di volpi – come ha fatto di recente anche Vienna – la più studiata è probabilmente quella inglese.
Nel 2013 un gruppo di ricercatori guidati da Dawn Scott, biologa ed esperta di conservazione dell’Università di Brighton, ha sfruttato l’approccio della citizen science per quantificare il numero di volpi urbane. Attraverso annunci televisivi, hanno chiesto ai cittadini di diventare “avvistatori di volpi” e raccolto così i dati. Oltre a farsi un’idea della popolazione di questi mammiferi nelle aree di città, il loro obiettivo era anche identificare eventuali legami tra determinate caratteristiche urbane e la presenza e densità delle volpi. Nel giro di un paio di settimane hanno ricevuto quasi 17 500 segnalazioni. Il risultato? Sorprendente, nonché fotografia di un grosso cambiamento in corso, ma iniziato negli anni 1930, con i primi avvistamenti di volpi in città.
La distribuzione delle volpi tra Inghilterra e Galles è cambiata sensibilmente nel corso di poco più di un ventennio, con oltre il 90% delle aree un tempo senza o quasi senza volpi, circa 65 città e dintorni, che ormai erano tappa abituale dei piccoli canidi. Più parchi e zone verdi c’erano in una determinata porzione di territorio, maggiore era la densità di volpi avvistate. In mancanza di dati davvero aggiornati sulla presenza di questa specie in qualsiasi città britannica, scrivevano i ricercatori, è necessario elaborare metodi per un monitoraggio più preciso.
Tra il 2013 e il 2015 Scott e colleghi hanno portato avanti il loro lavoro sulle volpi urbane e a dicembre dell’anno scorso, a un incontro della British Ecological Society, la scienziata ha presentato i dati preliminari delle ultime indagini. Sfruttando la combinazione tra sondaggi, tag sugli animali e modelli per la stima della densità, la quota di volpi odierna in Inghilterra si aggirerebbe intorno ai 150 000 esemplari. Circa cinque volte maggiore rispetto alle stime degli anni Novanta del secolo scorso.
Ma a conferma di quanto sia difficile stimare la presenza di una specie partendo da dati locali, i monitoraggi del British Trust for Ornithology (BTO) mostrano un quadro diverso: insieme ai conigli, la cui presenza è diminuita del 59% tra il 1995 e il 2015, anche il numero di volpi rosse in Inghilterra è calato del 34%. Gli scienziati BTO ancora non sanno quali siano le motivazioni dietro a questi cambiamenti, ma un crollo nel numero di prede (come i conigli stessi) potrebbe decisamente aver giocato un ruolo. Secondo il Department for Environment, Farming and Rural Affairs, in tutto il Regno Unito nel 2013 c’erano oltre 400 000 volpi.
Stando ai dati di Scott, in ogni caso, si tratterebbe di 18 volpi per chilometro quadrato a Londra, 23 a Bournemouth che detiene il “record” e 16 a Brighton. Ma a molti cittadini la presenza delle volpi non sembra dispiacere. Quando nel 2016 è stata avanzata la proposta di sterminare parte delle volpi a Clissold Park, Londra, oltre 9000 persone hanno firmato una petizione per opporsi.
Nel frattempo i portavoce di associazioni come la Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals si sono impegnati per fare corretta informazione sulla gestione delle volpi urbane; sebbene la caccia alla volpe come sport sia vietata nel Regno Unito dal 2004, c’è anche chi sarebbe contento di disfarsene a colpi di fucile. Ma oltre che crudele, questa sarebbe una soluzione poco efficace. Essendo animali territoriali, non è da escludersi che liberare una zona dalle volpi abbia come unico risultato quello di attirarne di nuove.
La motivazione addotta per l’abbattimento a Clissold Park, tuttavia, rientrava tra le preoccupazioni più comunemente legate alla presenza di fauna selvatica vicina agli insediamenti urbani: possibile trasmissione di zoonosi e altri rischi per la salute, umana e dei cervi che abitano il parco. Tra i consigli dati ai cittadini c’era un invito al buonsenso, ovvero a comportarsi come si dovrebbe fare con la maggior parte della fauna (cittadina o non): tenere i bidoni delle immondizie ben chiusi ed evitare di nutrire gli animali selvatici, perché farlo è un ottimo modo per attirarli sempre più spesso e in numeri sempre maggiori.
Oltre a essere un grattacapo da quantificare, le volpi cittadine si sono rivelate anche una preziosa finestra per lo studio del comportamento della specie. Osservazioni etologiche complesse da fare in natura, ma decisamente più accessibili se la “natura” è un tranquillo giardino di medie dimensioni nella periferia di una città. A partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso i ricercatori della Bristol University hanno dedicato molte notti insonni a seguire gli spostamenti delle volpi dotate di radiocollare, per studiare la loro vita familiare e – sul lungo termine – compilare alberi genealogici.
Le volpi rosse vivono in gruppi familiari ben definiti: un maschio e una femmina sono la coppia dominante, circondata da un certo numero di adulti subordinati e dalla cucciolata annuale. Alcuni dei piccoli, che nascono a primavera, rimangono in famiglia per tutta la vita. Altri si allontanano e cercano un gruppo nuovo al quale unirsi: perché lo fanno e cosa determina l’una o l’altra strategia? Grazie alle volpi di città ne sappiamo un po’ di più.
Combinando le osservazioni sul campo con i test di paternità sul DNA, i ricercatori hanno scoperto che a influenzare la scelta è il rapporto dei cuccioli con i membri femminili della famiglia. Quelli con madri dominanti tendono ad allontanarsi per evitare l’accoppiamento con volpi imparentate, mentre le femmine preferiscono rimanere per godere dei benefici di una vita insieme alla femmina dominante del gruppo. Nei figli di femmine subordinate, accade il contrario.
Una cosa è sicura: le volpi in città ci sono ed è improbabile che scompariranno tanto presto. Per conviverci nel modo migliore, fare informazione corretta rivolta ai cittadini sarà sempre più importante.
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