SCOPERTE

Test dello specchio: un secco “no” per le cinciallegre

Inventato nel 1970 da Gordon Gallup, sono molte le specie che vi si sono cimentate, dimostrando di riconoscersi o meno nel riflesso con risultati a volte discordanti

Fotografia: Pixabay

SCOPERTE – Immaginate di essere seduti al bar e di guardare la vetrina di un negozio di fronte a voi. A un certo punto arriva un passante, si gira verso la vetrina e alla vista del proprio riflesso… si spaventa. Improbabile vero? Questo perché come esseri umani diamo per scontato che quanto ci viene restituito da una superficie come uno specchio non è altro che la nostra immagine, riflessa.

Eppure non è quello che accade per tutte le specie: lo sa bene chi possiede un gatto fin da quando aveva pochi mesi, e l’ha visto mentre gonfiava la coda e si muoveva lateralmente (in modo davvero ridicolo ai nostri occhi) davanti allo specchio di casa. Una volta cresciuto, difficilmente quello stesso gatto si scomporrà ancora, ma non ci è dato sapere se sia perché si riconosce o perché semplicemente ha capito che non c’è pericolo.

La domanda “gli animali si riconoscono allo specchio?” se la pongono molti scienziati, continuamente, e varie sono le specie che hanno affrontato il mirror test (inventato da Gordon Gallup nel 1970). Il test consiste nel fare un marchio sul corpo dell’animale, un marchio che non sia riconoscibile per l’odore né fastidioso – perché magari appiccica il pelo o le piume – ma individuabile solamente con l’aiuto di uno specchio. Se di fronte al proprio riflesso l’animale cerca di pulirsi servendosi dell’immagine che vede, il test dello specchio è superato.

Quando se ne parla solitamente è perché una nuova specie si è aggiunta alla lista (dove troviamo gazze ladre, elefanti asiatici, scimpanzé, delfini, bonobo, orche, formiche, oranghi e mante -pur con qualche riserbo su queste ultime, sollevato dallo stesso Gallup-) ma non stavolta. Oggi parliamo di qualcuno che, contro le aspettative dei ricercatori, il test l’ha appena fallito clamorosamente. Si tratta delle cinciallegre, la specie Parus major, piccoli passeriformi dal corpo nero, giallo e grigio, ampiamente studiati e considerati tra gli uccelli con le più interessanti abilità cognitive: hanno un elevato numero di neuroni nel prosencefalo e un cervello di grandi dimensioni se confrontato con quello di specie “parenti”, due dei tanti elementi che avevano fatto ben sperare i ricercatori.

Va detto, però, che tra gli uccelli solo le gazze ladre l’hanno superato, mentre le taccole (anch’esse corvidi) e gli ingegnosi pappagalli cenerini no.

E così le cinciallegre, con lo specchio niente da fare: il gruppo di scienziati coordinati da Anders Brodin, dell’Università di Lund, ha sottoposto al test 58 cinciallegre e non ha riscontrato comportamenti abbastanza significativi da poter concludere che questi uccelli riconoscono la propria immagine nello specchio. Per ciascun uccello, dopo che aveva trascorso un periodo con lo specchio nella gabbia, hanno fatto il test e preso nota dei comportamenti che mostrava.

Una parentesi: tra gli aspetti interessanti dello studio c’è il numero elevato di esemplari coinvolti. Il test di Gallup è stato condotto su appena cinque elefanti (solo uno l’ha superato), cinque gazze (due/tre l’hanno superato) e due delfini (che l’hanno superato entrambi). Di recente poi uno studio italiano ha testato quattro cavalli, con un parziale successo, che ha motivato gli scienziati a progettare una seconda fase con più animali. Le cinciallegre non solo erano tante, ma provenienti da due gruppi diversi, di differente sesso ed età, nonché parte di loro era stata allevata in cattività mentre altri individui catturati in natura.

Alcune differenze nei metodi dello studio – che è in realtà la commistione dei dati di due studi iniziati separatamente – hanno permesso di escludere alcuni possibili limiti, dicono gli autori, come vedremo tra poco. Tutti i dettagli in questo senso li trovate sull’articolo originale, pubblicato in open access su Animal Cognition.

Tra le cinciallegre dell’esperimento c’era chi osservava lo specchio, chi distoglieva o metteva in mostra le “striature” nere del piumaggio (segno rispettivamente di sottomissione o aggressività) ma anche chi prestava poca attenzione allo specchio in sé o si puliva il piumaggio senza prestare troppa attenzione al marchio. In pochi casi l’interesse è andato al marchio in sé, ma gli uccelli in questione trascorrevano lo stesso tempo a interagirvi sia quando lo specchio era presente che quando non c’era. Dunque la possibilità di vedere il proprio riflesso non aveva influito.

Solo alcuni tra i più giovani esemplari cresciuti in cattività sembravano più interessati, precisano i ricercatori, ma probabilmente il motivo va cercato non nell’età bensì nel fatto che, a differenza di un compagno selvatico, un oggetto nuovo che compare nella gabbia era per loro maggior motivo di curiosità. I giovani catturati in natura – che sono stati rilasciati insieme ai compagni una volta concluso l’esperimento – non hanno infatti mostrato lo stesso comportamento.

Nel paper i ricercatori si soffermano sulle possibili motivazioni del “fallimento”: escludono di essersi persi dei comportamenti significativi, perché le cinciallegre sono state filmate e i video guardati con attenzione. Inoltre, aggiungono, il riconoscimento di solito c’è o non c’è, e se l’esperimento è ben impostato, adatto alla specie e il marchio fatto nel modo giusto, difficilmente si manifesta con comportamenti fraintendibili o poco chiari.

Per essere certi che il marchio non fosse percepito dalle cinciallegre, per odore o per la sensazione sulle piume, Brodin e colleghi hanno svolto dei test prima dell’esperimento (su uccelli che poi non hanno incluso nello studio) in modo da testare diverse opzioni. Per un gruppo di cinciallegre è stato usato un eyeliner nero, per un altro dei piccoli triangolini di scotch di carta, entrambi posizionati sulla parte alta del petto, al di sotto del becco. Nemmeno qui si può trovare il “problema”, scrivono gli autori: lo scotch è normalmente sconsigliato a favore di una tintura di diverso tipo, ma separando i dati dei due gruppi di uccelli emerge che a interagire leggermente di più con il marchio erano quelli con l’eyeliner.

Un limite del test in generale è che non necessariamente rappresenta un compito significativo per qualsiasi specie. Prendiamo i gorilla: mantenere il contatto oculare con un altro gorilla è per loro segno di sfida, dunque non stupisce che la reazione di fronte allo specchio sia aggressiva e nulla li motivi a un’esplorazione tale da arrivare, a un certo punto, al riconoscimento del proprio riflesso. Non superano il test, fatto salvo per un unico esemplare che tuttavia era cresciuto a stretto contatto con gli esseri umani, dunque per gli scienziati rappresenta un’eccezione e non rispecchia quanto farebbero i suoi conspecifici in condizioni adatte.

Un’altra ipotesi è che ci siano specie per le quali poter controllare dietro lo specchio, accertandosi che non vi è nessuno, potrebbe essere la chiave. In questo caso le cinciallegre non potevano, perché lo specchietto era appeso sulla parete della gabbia. Per i cavalli dello studio italiano, menzionato poco fa, questo elemento è stato cruciale: andavano dietro lo specchio a guardare e non vi trovavano nessuno, ma quando lo specchio veniva coperto non lo facevano più, il che ha anche permesso di concludere che non stavano solo aggirando un ostacolo.

L’elemento comune che segna la linea tra successo e fallimento nel test di Gallup sembra essere la possibilità di fare esperienza con lo specchio (data anche alle cinciallegre, il che rinnova lo stupore per il “fallimento”), che negli anni ha fatto sì che specie che non sembravano in grado di superare il test ci siano alla fine riuscite. Gli stessi scimpanzé possono reagire come se si trovassero di fronte a un altro scimpanzé anche per cinque giorni da quando compare lo specchio. Poi, sembra, capiscono.

@Eleonoraseeing

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".