STRANIMONDI

Scienza, immaginazione e linguaggio

Sono molte le opere di finzione che prendono spunto da idee scientifiche, ma è importante che scienza e magia non vengano confuse. Ne abbiamo parlato con Marco Ciardi, storico della scienza all’Università di Bologna.

Secondo il mito degli antichi astronauti, creature provenienti da altri pianeti hanno visitato la Terra nel lontano passato. Crediti immagine: Public Domain

STRANIMONDI – Anche quest’anno non ci siamo persi l’appuntamento con Stranimondi, il festival del libro fantastico tenutosi a Milano il 14 e 15 ottobre 2017. Al di là dell’omonimia, le affinità fra questo evento e la nostra rubrica non mancano, visto che in entrambi i casi l’interesse per narrativa, fumetti e giochi si incontra con la scienza. Come nelle passate edizioni, infatti, al festival di Stranimondi era presente anche il CICAP, sia con uno stand sia con la partecipazione di Marco Ciardi, storico della scienza all’Università di Bologna.

Nel suo intervento, Ciardi ha raccontato le origini del mito degli antichi astronauti, secondo il quale creature provenienti da altri pianeti hanno visitato la Terra nel lontano passato, lasciando tracce del loro passaggio e influenzando la nostra storia antica. Un tema, questo, che Ciardi ha analizzato in un libro uscito l’anno scorso, Il mistero degli antichi astronauti, di cui ovviamente abbiamo parlato su Stranimondi.

Il mito degli antichi astronauti affonda le sue radici in un misto di teosofia e fantascienza (o meglio, della proto-fantascienza ottocentesca), fra Madame Blavatsky e H. G. Wells, per poi svilupparsi lungo percorsi che incrociano scienziati come Carl Sagan e Albert Einstein, divulgatori fantasiosi ma comunque dubbiosi come Peter Kolosimo, e veri e propri pseudoscienziati come lo scrittore Erich von Däniken. Al termine dell’incontro, abbiamo discusso con Ciardi su questo intreccio di scienza, fantascienza e pseudoscienza.

“È un tema molto affascinante, poiché riguarda il rapporto fra scienza e immaginazione. Già Galileo, che, ricordiamolo, era un appassionato di letteratura, aveva ben chiara la distinzione fra questi due elementi. Così come ce l’avevano chiara autori di fantascienza come Asimov e lo stesso Wells.”

Il punto è che la pseudoscienza non rispetta le regole della discussione e dell’indagine scientifica. Scienziati come i già citati Einstein o Sagan parlavano della possibile esistenza di vita extraterrestre ma di certo non sostenevano l’esistenza di antiche civiltà che avrebbero interferito con la storia umana. Cosa che invece faceva von Däniken, citando tracce archeologiche e artistiche come presunte prove scientifiche di questo antico contatto.

“Un conto è fare ricerca scientifica, un altro è raccontare una storia che magari prende spunto da idee scientifiche, ma che rimane un’opera di fantasia,” continua Ciardi. “E questo vale sia per la letteratura sia per la pseudoscienza. Questo vuol dire che ci possono essere intrecci tali per cui idee nate dalla letteratura diventano fonte di ispirazione pseudoscientifica, ma non significa certo che la fantascienza incoraggia alla pseudoscienza.”

Il fatto è che la pseudoscienza ha gioco facile nel pescare ispirazioni e idee. Può attingere all’immaginario fantascientifico, come nel caso degli antichi astronauti. Oppure citando alcuni classici della fantascienza distopica come 1984, Fahrenheit 451 e Il mondo nuovo, e facendo leva su un misto di sfiducia nella scienza e nelle istituzioni, di paranoia e di complottismo.

Ma può anche attingere alla scienza vera e propria, semplificandone diversi passaggi per poi raccontarne una versione banalizzata, che combina suggestioni forti e ipotesi che possono anche essere razionali, ma sono comunque fondate su presupposti fallaci e non rispettano le regole della discussione e dell’indagine scientifica.

Questo approccio purtroppo è efficace, anche perché il linguaggio scientifico è sempre più presente nella nostra quotidianità, dalle pubblicità al cibo ai telegiornali. Parlare di enzimi, reazioni chimiche, ipotesi e teorie serve ad ammantare di credibilità molti contenuti, anche se tali termini vengono non di rado usati a sproposito. Succede anche nella narrativa.

“In Interstellar, per esempio, c’è sicuramente un tentativo di far riferimento a una scienza seria e solida”, spiega Ciardi. “Però ci sono molti altri film dove invece li linguaggio è sì scientifico, ma si fa riferimento a teorie assurde, tipo quella incrollabile secondo la quale usiamo solo il dieci per cento del nostro cervello.”

Si ha insomma la sensazione che il linguaggio della scienza sia penetrato nell’immaginario collettivo e sia stato assimilato più di quanto abbiano fatto molti suoi contenuti. Il che è incoraggiante da un lato, poiché potrebbe significare che la scientificità è in qualche modo associata a una certa forma di credibilità e autorevolezza. Ma è anche un problema, o meglio, una sfida, se questa autorevolezza non è a sua volta sostenuta da prove concrete. Se, alla base, non c’è una distinzione netta fra ciò che è dimostrato e ciò che si limita ad apparire credibile. Fra scienza e invenzione.

“Alla base della questione c’è il complesso rapporto fra visione scientifica e pensiero magico, che a volte sono più legati di quanto si pensi. Gli scienziati stessi hanno grandi responsabilità da questo punto di vista, poiché non è raro, ancora oggi, che la scienza venga raccontata con un’impronta un po’ magica, secondo l’idea, molto positivista, che basta procedere con la ricerca e aumentare la quantità di informazioni scientifiche per risolvere tutti i problemi. Accade nella divulgazione come anche a scuola, dove si tende a privilegiare l’apprendimento di formule piuttosto che la comprensione di un metodo e di un sistema di valori. E in questo senso diventa fondamentale l’approccio storico e filosofico, che consente di inquadrare i problemi nel loro contesto e di ragionare sui processi di acquisizione della conoscenza”, conclude Ciardi, che aveva già analizzato l’argomento in un suo precedente libro, Galileo e Harry Potter.

“L’importante è tenere ben separate scienza e magia, senza stigmatizzare né l’una né l’altra, come avevano capito Galileo, Asimov e tanti altri. Ci si può divertire con la magia e la scienza fantasiosa, e anche usarle come spunto di riflessione, ma non bisogna confonderle con la scienza vera, quella fatta di prove ed errori, incertezze ed esperimenti, complessità e discussione. Né bisogna stigmatizzarle per paura che possano condurre alle pseudoscienze.”

Leggi anche: Lo specchio nero delle nostre paure. Black Mirror

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Michele Bellone
Sono un giornalista e mi occupo di comunicazione della scienza in diversi ambiti. I principali sono la dissemination di progetti europei, in collaborazione con Zadig, e il rapporto fra scienza e narrativa, argomento su cui tengo anche un corso al Master di comunicazione della scienza Franco Prattico della SISSA di Trieste. Ho scritto e scrivo per Focus, Micron, OggiScienza, Oxygen, Pagina 99, Pikaia, Le Scienze, Scienzainrete, La Stampa, Il Tascabile, Wired.it.