Il cervello egoista
Quando mente e corpo sono entrambi sotto sforzo, le risorse non vengono distribuite in modo equo: il cervello viene privilegiato e le sue necessità passano in primo piano
SCOPERTE – Cosa succede quando siamo impegnati in un’attività dispendiosa, sia per il cervello che per il corpo? Se il carburante serve a tutto l’organismo, a chi va la precedenza?
In base alla teoria del cervello egoista, selfish brain, il cervello umano si è evoluto in modo tale da privilegiare i propri bisogni rispetto a quelli di qualsiasi altra struttura del corpo, che si tratti dell’apparato scheletrico, dei muscoli o di altri sistemi.
Secondo un nuovo studio di Cambridge, pubblicato su Scientific Reports, la teoria ci ha preso eccome: il nostro cervello è talmente costoso da mantenere che, quando corpo e mente sono entrambi in difficoltà, la precedenza va alla seconda. Il glucosio a disposizione non viene distribuito equamente, ma un percorso preferenziale ne porta quantità maggiori verso il nostro organo più complesso e affascinante per assicurarne il funzionamento corretto.
Mantenere la nostra materia grigia è dispendioso, eppure è possibile si tratti di un meccanismo che abbiamo evoluto. A ipotizzarlo sono gli autori dello studio: pensare più velocemente di quanto ci muoviamo potrebbe aver significato la differenza tra vita e morte per la nostra specie. “Un cervello ben carburato, forse, ci ha offerto più possibilità di sopravvivenza rispetto a muscoli ben carburati”, commenta in un comunicato Danny Longman, leader dello studio e ricercatore al dipartimento di archeologia di Cambridge. “Lo sviluppo di un cervello grosso ed elaborato è considerata una caratteristica cruciale dell’evoluzione umana”, ma è stato il risultato finale di una serie di compromessi, di scambi nella distribuzione delle risorse.
A fare da “cavie” per lo studio sono stati 62 atleti di circa 21 anni, tutti studenti di Cambridge e membri della squadra di canottaggio dell’università. Prima di tutto si sono cimentati in un test di qualche minuto nel quale, dopo aver guardato 75 parole per tre minuti, dovevano scriverne il maggior numero possibile su un foglio nel giro di cinque minuti. La seconda fase è stata quella che per loro è una normale sessione di allenamento, anche se ristretta: esercizi sulla rowing machine (il remoergometro, un attrezzo che simula il movimento del canottaggio).
La parte più difficile è arrivata solo in seguito, quando si sono cimentati nei due compiti insieme. È stato subito evidente che il doppio impegno ha ridotto le performance dei ragazzi sotto entrambi gli aspetti, mentale e fisico. Ma soprattutto fisico: i risultati nel richiamare alla mente le parole memorizzate, mentre vogavano, sono diminuiti di meno del 10%, ma allo stesso tempo quelli fisici negli esercizi alla rowing machine di quasi il 13%. Complessivamente, la potenza fisica era crollata (in media) di quasi il 30%.
Per far combaciare ulteriormente i pezzi del puzzle, dicono gli scienziati di Cambridge, basta guardare i nostri bambini. È probabile che per “costruire” il nostro cervello sia stato necessario ridurre gli investimenti nei muscoli e ridurre l’apparato digerente, eppure durante lo sviluppo “i bambini umani accumulano più grasso rispetto agli altri mammiferi, grasso che serve da riserva di energia per nutrire le nostre elevate richieste cerebrali”.
La priorità del nostro organismo quando ogni parte è sotto sforzo? Sì, è la mente. E quando siamo in movimento i muscoli diventano veri e propri avversari del cervello, competitor che gli sottraggono energie. Ecco perché anche in finestre di tempo brevi, come la manciata di minuti dei test ideati dai ricercatori per i canoisti, entra in gioco lo scambio di risorse. Che è possibile osservare anche nei casi di denutrizione, dice Longman, dove la massa del cervello viene preservata a ogni costo, sacrificando per primo tutto il resto del corpo.
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