IPAZIA

La straordinaria carriera di Marian Cleeves Diamond, neuroscienziata e insegnante

Marian Cleeves Diamond, morta nel luglio del 2017 all’età di 90 anni, è stata una delle più importanti neuroscienziate del secolo scorso.

IPAZIA – Iniziava le sue lezioni estraendo un cervello umano da una grande cappelliera decorata con motivi floreali. “È la più complessa massa di protoplasma esistente sulla Terra”, diceva tenendolo tra le mani, “pesa poco più di un chilo, ma ha la capacità di concepire un universo che si estende per miliardi di anni luce. Non è fenomenale?”.

Marian Cleeves Diamond, morta nel luglio del 2017 all’età di 90 anni, è stata una delle più importanti neuroscienziate del secolo scorso. Le sue ricerche pionieristiche sulla plasticità cerebrale, condotte all’inizio degli anni Sessanta, hanno segnato un vero e proprio cambiamento di paradigma negli studi sul cervello umano. Negli anni Ottanta ha raggiunto la fama internazionale grazie alle scoperte fatte analizzando tessuti prelevati dalla corteccia cerebrale di Albert Einstein. Ma Diamond è stata anche un’insegnante eccezionale. I suoi corsi di anatomia generale e neuroanatomia, tenuti fino a pochi anni fa, erano tra i più frequentati dell’università di Berkeley. Con le sue lezioni vecchio stile – nessuna slide, solo gessetto e lavagna – era in grado di tenere gli studenti incollati alla sedia per ore. In migliaia hanno avuto la fortuna di ascoltarla dal vivo, e molti di più l’hanno scoperta attraverso YouTube: a oggi il video della sua lezione introduttiva, quella in cui estrae il cervello dalla cappelliera, ha superato il milione di visualizzazioni.

Marian Cleeves nasce a Glendale, in California, nel 1926. Il padre è un medico affermato, la madre insegna latino. Marian trascorre la sua infanzia in una villa circondata da un terreno di oltre dodici ettari, nelle campagne a nord di Los Angeles. Ultima di sei figli, è la più indipendente e sfrontata; quando i suoi fratelli hanno problemi coi genitori, è sempre lei a fare da intermediaria. Frequenta le scuole pubbliche di Glendale. A 15 anni, mentre accompagna il padre lungo la corsia dell’ospedale della contea di Los Angeles, scorge attraverso una porta socchiusa quattro uomini col camice bianco che lavorano attorno a un tavolo. Al centro è posizionato un cervello umano. Per la ragazza è amore a prima vista.

Si iscrive all’università di Berkeley. Dopo la laurea, nel 1948, è la prima donna a frequentare i corsi di specializzazione del dipartimento di anatomia dell’università californiana. In questo periodo, oltre a studiare il sistema nervoso, ha la possibilità di affiancare i professori nelle loro lezioni agli studenti del primo anno. È una vera e propria folgorazione. “La prima volta che uno studente mi ha fatto una domanda e ho saputo rispondere”, dichiarerà anni dopo, “ho sentito un calore intenso irradiarsi attraverso il mio corpo. Era quello il posto a cui appartenevo”. A partire da quel momento e per i successivi sessant’anni, Diamond si dedicherà all’insegnamento con la stessa passione con cui porterà avanti le sue ricerche. Si specializza nel 1949 e nel 1953 – dopo aver sposato il collega Richard Diamond – consegue il dottorato in anatomia umana con una tesi sull’ipotalamo. Successivamente lavora ad Harvard e alla Cornell University e nel 1960 torna a Berkeley. Qui inizia a collaborare con gli psicologi David Krech e Mark Rosenzweig e con il chimico Edward Bennett. Con loro porta avanti una ricerca sulla plasticità del cervello.

In quegli anni l’opinione prevalente tra i neuroscienziati è che la natura del cervello sia fissa e immutabile, definita una volta per tutte dal patrimonio genetico. Il team di Diamond conduce una serie di esperimenti sui topi: alcuni animali vengono inseriti in un ambiente arricchito di stimoli, altri in un ambiente impoverito. Dalla ricerca emerge che la corteccia cerebrale dei primi diviene più spessa, mentre quella dei secondi si assottiglia. Viene dimostrato che il cervello è un organo plastico, in costante evoluzione e che a qualsiasi età – da quella prenatale alla vecchiaia – può essere profondamente modificato dall’ambiente. Come tutte le nuove scoperte, anche questa viene accolta inizialmente con scetticismo e diffidenza, ma per le neuroscienze è l’inizio di una nuova era.

Marian Diamond resterà a Berkeley fino alla fine della sua carriera, seguendo un cursus honorum che negli ultimi anni la porterà a ricoprire la prestigiosa carica di professore emerito. Nel 1984, dopo due decenni trascorsi compiendo ricerche sulla neuroplasticità cerebrale, deve affrontare una sfida completamente diversa. Quell’anno, infatti, Thomas Stoltz Harvey, patologo dell’ospedale di Princeton che aveva estratto e conservato il cervello di Einstein al momento della sua morte, nel 1955, decide di inviare a Diamond tessuti provenienti da quattro aree della corteccia cerebrale dello scienziato. Diamond mette a confronto quei tessuti con parti analoghe prelevate dai cervelli di undici uomini. Scopre così che, pur presentando un numero di neuroni nella media, in tutte e quattro le aree analizzate la corteccia dello scienziato tedesco possiede una percentuale nettamente superiore di neuroglia, cellule nervose che sostengono e nutrono i neuroni, rendendoli più efficienti. La ricerca porta, nel 1985, alla pubblicazione di “On the Brain of a Scientist: Albert Einstein”. Oltre a suscitare un certo clamore mediatico, il libro è accompagnato da non poche polemiche. In molti, infatti, contestano i metodi e i risultati di Diamond, ma la sua ricerca contribuisce a dare nuovo slancio allo studio dei neuroglia.

Diamond ha continuato a lavorare all’università di Berkeley sino all’età di 87 anni. Nel corso della sua carriera ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, ma quello di cui andava più fiera era il Distinguished Teaching Award, conferitole nel 1975 dall’università di Berkeley per premiare le sue eccezionali doti di insegnante. A testimoniare la passione e l’impegno che la scienziata metteva in questa attività erano le pareti del suo ufficio, letteralmente tappezzate di foto di suoi ex studenti. Nel 2016, un anno prima della sua morte, è uscito “My Love Affair with the Brain: The Life and Science of Dr. Marian Diamond”, pluripremiato documentario in cui è lei in prima persona a raccontare la sua straordinaria carriera di scienziata e insegnante.

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Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.