Angioletta Coradini, la planetologa che ha portato l’Italia nello spazio
Pioniera dell’esogeologia, c’è lei dietro la realizzazione dei sofisticati strumenti installati a bordo delle più importanti sonde spaziali degli ultimi trent’anni.
IPAZIA – Vesta è un grande asteroide del sistema solare. Si trova nella cosiddetta fascia principale, tra Marte e Giove. I numerosi crateri d’impatto presenti sulla sua superficie, identificati dalla sonda della NASA Dawn tra il 2011 e il 2014, portano il nome di donne dell’antica Roma o di figure associate alla dea Vesta. Tutti tranne uno, battezzato Angioletta. La regola stabilita dall’Unione Astronomica Internazionale è stata violata per rendere omaggio a una grande planetologa italiana, Angioletta Coradini. Scomparsa nel 2011 a soli 65 anni, Coradini era responsabile di VIR (Visual and Infrared Spectrometer), strumento realizzato dall’Istituto nazionale di Astrofisica e installato sulla sonda Dawn per analizzare la composizione del terreno di Vesta e Cerere, altro grande asteroide del sistema solare. Dawn è solo l’ultima di una lunga serie di missioni spaziali a cui Angioletta Coradini ha contribuito nel corso di una carriera costellata di successi. Pioniera dell’esogeologia, lo studio della composizione dei corpi celesti, c’è lei dietro la realizzazione dei sofisticati strumenti installati a bordo delle più importanti sonde spaziali degli ultimi trent’anni. Fra tutti ricordiamo VIMS (Visible and Infrared Mapping Spectrometer), sviluppato per studiare la composizione dell’atmosfera di Saturno e Titano nell’ambito della missione congiunta NASA-ESA Cassini-Huygens; VIRTIS (Visible InfraRed and Thermal Imaging Spectrometer), spettrometro a bordo della sonda ESA Rosetta, grazie al quale è stato possibile mappare la superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko in vista dell’atterraggio del lander Philae; e JIRAM (Jovian Infrared Auroral Mapper), strumento per l’analisi della magnetosfera di Giove installato sulla sonda NASA Juno.
Angioletta Coradini nasce a Rovereto, in provincia di Trento, nel 1946. La scienza l’appassiona sin da bambina. Figlia di un ingegnere edile, è incuriosita dal funzionamento dei macchinari presenti nei cantieri in cui lavora il padre. È portata per le lingue, tanto che la madre sogna per lei una carriera da interprete, ma Angioletta ha le idee chiare: vuole studiare fisica. Il suo mito è Marie Curie, di cui ha letto la biografia scritta dalla figlia Eva. “Era l’essenza di tutto ciò che avrei voluto essere”, dichiara in un’intervista, “un misto di timidezza, cocciutaggine, consapevolezza e determinazione”. Trascorre parte della propria giovinezza fra Napoli e Torino; quando giunge il momento di iscriversi all’università, sceglie La Sapienza di Roma. Si trova a studiare fisica in un periodo di grandi rivolgimenti sociali e importanti conquiste spaziali: sono gli anni della contestazione, delle prime rivendicazioni femministe e dello sbarco sulla Luna. Al terzo anno di università, quando occorre scegliere l’indirizzo di specializzazione, il professore presente alla riunione per l’orientamento consiglia alle poche donne presenti di optare per l’insegnamento, a suo parere l’ambito più adatto al genere femminile. Nessuna segue il suo consiglio. Angioletta sceglie astrofisica, disciplina a cui si era appassionata seguendo le lezioni di Franco Pacini. L’allunaggio dell’Apollo 11, il 21 luglio 1969, la segna profondamente; folgorata dalla potenza di quell’evento, decide di dedicare gli anni successivi allo studio del suolo lunare. Dopo la laurea, conseguita col massimo dei voti nel 1970, trova lavoro presso il Reparto di Planetologia dell’Istituto di Astrofisica Spaziale del CNR. Col suo team conduce importanti ricerche geologiche nel golfo di Cagliari, tanto che la NASA decide di inviare al gruppo di scienziati italiani alcuni campioni di rocce lunari da analizzare. Angioletta Coradini è tra i primi ricercatori non americani ad avere l’opportunità di studiare i reperti provenienti dal nostro satellite. Un sogno che si avvera.
Nel corso degli anni Settanta porta avanti la sua collaborazione con la NASA e conduce numerosi studi sulla composizione dei pianeti del sistema solare. Coradini non è solo una ricercatrice seria e rigorosa, è anche un’ispirata sognatrice, capace di immaginare missioni future e strumentazioni innovative in grado di dare una spinta propulsiva all’esplorazione spaziale. Contribuisce – in qualità di Principal Investigator, ovvero di coordinatrice scientifica – alla realizzazione di moltissimi progetti di NASA, ESA e ASI (Agenzia Spaziale Italiana), tanto che in quegli anni nessun ricercatore italiano può vantare lo stesso numero di strumenti in volo e funzionanti. Dopo quasi trent’anni al CNR, nel 2001 entra a far parte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica in qualità di direttrice dell’IFSI (Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario), ente che guiderà fino al 2010. Le sue qualità, riconosciute dalla comunità scientifica, la portano a ottenere importanti incarichi internazionali. Impossibile elencarli tutti. Nel 1983 entra a far parte del Joint Working Group tra National Academy of Sciences e European Science Foundation e nel 1985 diviene membro del Solar System Working Group dell’ESA; successivamente entra nel Consiglio Scientifico dell’ISSI (International Institute of Space Sciences), dell’ESSC (European Space Science Committee) e di numerosi altri enti europei e non solo.
Nel 2007 l’European Geosciences Union ha conferito alla planetologa italiana la David Bates Medal in riconoscimento del suo contributo alle scienze planetarie e del suo ruolo di guida nello sviluppo della strumentazione a infrarossi presente in numerose missioni. Nel 2012, a un anno dalla morte, la NASA le ha assegnato la Distinguished Public Service Medal, forse l’onorificenza più prestigiosa dell’ente spaziale americano, attribuita per la prima volta a un ricercatore italiano. Angioletta Coradini non ha avuto la possibilità di assistere all’atterraggio del lander Philae – avvenuto con successo il 12 novembe 2014 – sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, ma lo Science Working Team di Rosetta – in segno di profonda gratitudine per il suo lavoro – ha deciso di dedicarle un’ampia area della cometa, che ora si chiama “A. Coradini Gate”. Un asteroide, una cometa e moltissime sonde; pur essendo scomparsa sulla Terra, si può dire che Angioletta Coradini continui a essere presente ovunque nel sistema solare.
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