GRAVIDANZA E DINTORNI

Gravidanza, l’importanza del quarto trimestre

Chi ci pensa alla mamma dopo il parto? Il puerpuerio è un momento fondamentale e merita un’assistenza adeguata. Le proposte dell’associazione dei ginecologi ostetrici americani

GRAVIDANZA E DINTORNI – Puerpuerio o post parto. Abbiamo sempre chiamato così quei 40 giorni circa dopo il parto in cui per la neomamma tutto cambia – gli ormoni, l’aspetto fisico, gli stati mentali ed emotivi, la vita familiare – e bisogna imparare a prendersi cura del bimbo appena arrivato.

Un momento per molti versi critico, che ora l’Associazione dei ginecologi ostetrici americani (ACOG) propone di ridefinire come quarto trimestre”, a indicare un’inevitabile continuità con la gravidanza, ma soprattutto la necessità di una maggiore attenzione nell’assistenza, pari a quella dedicata alla donna nei tre trimestri dell’attesa. Lo fa in un documento pubblicato ai primi di maggio sulla rivista Obstetrics & Gynecology con il sostegno di varie altre società scientifiche, dall’accademia di medicina dell’allattamento alla società per la medicina materno-fetale e con l’obiettivo dichiarato di proporre un nuovo paradigma per l’assistenza post parto.

Che le settimane dopo la nascita di un bambino siano un momento delicato non è certo una notizia. Per molte donne le sfide possono essere tante e faticose: mancanza di sonno, dolore fisico, difficoltà con l’avvio dell’allattamento, stress, incontinenza urinaria, mancanza di desiderio sessuale, fino all’insorgenza di depressione.

“Non a caso molte culture tradizionali prevedono che in questo periodo la donna rimanga a casa tranquilla a riposare e a conoscere il suo bambino, circondata dal sostegno della famiglia e delle altre donne della comunità” commenta la ginecologa Marina Toschi, responsabile dei consultori del distretto sanitario del Lago Trasimeno e vice presidente dell’Associazione italiana ginecologi territoriali (AGITE). “D’altra parte, in queste culture c’era bisogno di proteggere la ‘magia del latte’ della puerpuera, perché l’interruzione di questa ‘magia’ era un guaio”.

Oggi invece, nonostante tanti proclami ufficiali pro-allattamento, questo bisogno è molto meno sentito e il sostegno collettivo alla neomamma è sempre più fragile o assente. Negli Stati Uniti come in altre parti del mondo, Italia compresa.

Come se non bastasse, dopo il parto la donna si trova “orfana” rispetto all’assistenza assidua e costante che ha avuto durante la gravidanza, quando tra esami del sangue, ecografie, visite ostetriche e magari corso preparto era normale incontrare operatori sanitari e altre donne in attesa anche più di una volta al mese. “Le neomamme ce lo dicono chiaramente, come ce lo dice la letteratura: dopo il parto si sentono sole, abbandonate, dimenticate”, dichiara Toschi.

Non è solo questione di sostegno nei momenti di difficoltà, come quando il bambino piange e piange e tu non sai che fare. C’è di mezzo addirittura la vita della donna, se si considera – scrivono i ginecologi americani – che più della metà delle morti legate alla gravidanza avviene proprio post parto.

Che fare, dunque? Il succo della proposta dell’ACOG è trasformare l’assistenza nel quarto trimestre in un processo continuo tagliato su misura sulle esigenze delle singole donne, che possono essere anche molto diverse. Per esempio c’è chi torna a lavorare molto presto (il 23% delle donne negli USA lo fa già nei primi 10 giorni e un altro 22% tra 10 e 40 giorni dopo il parto), chi ha bisogno di un’assistenza che tenga conto della presenza di una malattia cronica, chi deve fare i conti con un disturbo da stress post-traumatico causato da un parto andato molto diversamente rispetto alle attese, chi ancora purtroppo ha perso il suo bambino e intreccia l’esperienza del post parto con quella del lutto.

Fondamentale nel corso di questo processo continuo è la visita post parto, da fissare non oltre le 12 settimane dopo la nascita. Dovrebbe includere, dice l’ACOG, “una valutazione completa del benessere fisico, sociale e psicologico della donna”. Non solo: dovrebbe essere il momento per fare il punto su eventuali malattie croniche come ipertensione e diabete, discutere il tema della sessualità e della contraccezione (no: l’allattamento al seno non è a prova di bomba, e una corretta contraccezione è importante per ridurre il rischio di gravidanze successive troppo ravvicinate) e di eventuali rischi per la salute materna dovuti a complicazioni sorte in gravidanza.

“È un tema di cui si discute ancora poco, ma ormai molti dati indicano che se una donna ha sofferto in gravidanza di condizioni come preeclampsia o diabete gestazionale,  il suo rischio di sviluppare una malattia cardiovascolare nel corso della vita aumenta, e lo stesso vale per alcuni casi di parto prematuro. Sarebbe giusto informare di conseguenza le donne interessate” conferma Paola Pileri, ginecologa dell’Ospedale dei Bambini Buzzi di Milano, e referente per l’allattamento dell’Azienda territoriale Fatebenefratelli Sacco.

Anche per questo motivo Pileri vede con molto favore il riflettore puntato dai ginecologi americani sul quarto trimestre. “Lo sanno tutti che il post parto è un periodo critico, ma anche in Italia la realtà è che sono pochissime le situazioni in cui c’è un vero percorso dedicato alla dimissione, che integri il passaggio dall’ospedale, dove in genere avviene il parto, al territorio, cioè ai consultori, che dovrebbero gestire l’assistenza sul lungo periodo”.

Pileri sottolinea quanto per lei sia importante che questo riflettore sia stato acceso proprio da ginecologi e proprio su una rivista ritenuta importante da questi specialisti. “Il puerpuerio è spesso considerato faccenda solo per ostetriche, ma anche i medici potrebbero avere un ruolo più attivo e significativo in questo momento, a partire dalla visita dei 40 giorni. Che è spesso una routine in cui ci si limita a controllare che l’utero è tornato regolare e le perdite non ci sono più mentre potrebbe essere – come dice appunto il documento ACOG – un’occasione importantissima per parlare di sessualità e contraccezione, o per fare uno screening per la depressione”.

Certo, dopo tanta discussione sulla medicalizzazione di gravidanza e parto, è inevitabile pensare che anche queste sollecitazioni possano andare in questa direzione, ma Pileri respinge l’accusa. “Non significa che il medico debba farsi carico di tutto. L’assistenza all’evoluzione fisiologica dopo il parto, con i suoi alti e bassi, deve sicuramente essere demandata ad altre figure professionali come l’ostetrica, l’esperta di allattamento, l’infermiera pediatrica. Ma significa che anche il medico deve porsi il problema di costruire servizi che sappiano accompagnare la donna nel modo giusto anche dopo la nascita del suo bambino, e rimanere un riferimento facilmente accessibile quando invece dalla fisiologia si passa a condizioni più critiche”.

Per una realtà come quella italiana la soluzione è una sola: il corretto funzionamento dei consultori, cioè dei servizi territoriali, e la buona relazione tra consultori stessi e ospedali. Ahinoi, non è sempre così e i punti deboli sono i soliti: mancanza di programmazione, carenza di risorse, attività demandate alla buona volontà dei singoli.

“In alcuni casi le cose funzionano già molto bene” precisa Toschi, che grazie al suo ruolo in AGITE gira l’Italia in lungo e in largo e conosce bene varie realtà. “Ci sono ASL che offrono alle puerpuere una visita ostetrica a domicilio, dopo il ritorno a casa dall’ospedale, e ci sono servizi molto efficaci sul sostegno psicologico e sociale, anche attraverso l’attivazione di reti di auto-aiuto tra neomamme. Che spesso sono l’unica cosa di cui le donne hanno davvero bisogno: basta la possibilità di ritrovarsi insieme e condividere le sfide della nuova vita per superare meglio le difficoltà”. Torna in mente un famoso proverbio africano: ci vuole un intero villaggio per far crescere un bambino. “Oggi il villaggio non c’è più – riconosce Toschi – e il compito spetta ai servizi”.

E però non tutti lo assolvono: “Sappiamo bene che quando si tratta di sanità l’Italia è un paese a macchia di leopardo, per cui a fronte di alcune esperienze positive ce ne sono altre di abbandono totale”. D’altra parte manca una regia unica su questi temi, mancano indicazioni ufficiali da parte del Ministero della salute. Chissà che il documento americano non serva anche a promuovere una riflessione generale a questi livelli.

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance