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Immersioni: l’importanza di fare subacquea in sicurezza

Le immersioni subacquee sono un'occasione unica per esplorare il mondo sottomarino, ma per praticarle in sicurezza servono adeguata preparazione e un buono stato di salute.

Saper segnalare le proprie condizioni sott’acqua è fondamentale. Ci sono segnali per ogni circostanza, da “è tutto ok!” a “ho un problema”. Foto Pixabay

SPORT- Il mondo subacqueo esercita da sempre un notevole fascino sull’essere umano. La possibilità di esplorare un regno nascosto dalla superficie, di ritrovarvi piante e animali nel loro ambiente naturale e che altrimenti possono essere visti solo negli acquari, il semplice piacere sportivo, sono tutte ottime ragioni che portano ogni anno il rilascio di un gran numero di brevetti per le immersioni subacquee.

Qualche giorno fa, però, è stato pubblicato sull’European Journal of Preventive Cardiology uno studio che analizza la popolazione degli scuba divers statunitensi: un terzo di loro ha più di cinquant’anni e/o presenta ipercolesterolemia, la metà è sovrappeso, oltre la metà dichiara di aver fumato in passato e oltre il 30% soffre di ipertensione.

Dati che fanno pensare, perché le immersioni subacquee non sono prive di rischi, e, sebbene gli incidenti siano relativamente rari, purtroppo ogni estate la cronaca ne riporta di più o meno gravi, a volte mortali.

La maggior parte degli incidenti è causata da problemi con l’attrezzatura usata e pre-esistenti problemi di salute, come riporta anche l’edizione del 2017 dell’Annual Diving Report del Divers Alert Network (DAN), un’organizzazione internazionale che si occupa di gestione delle emergenze e ricerca e medicina subacquee.

Ecco perché per dedicarsi alle immersioni è fondamentale da un parte avere ben presente le proprie condizioni fisiche,  dall’altra conoscere i rischi cui si può incorrere.

Sott’acqua non è come sopra

L’ambiente sottomarino pone il diver in condizioni ben diverse da quelle della terraferma. In particolare, la pressione cui si è sottoposti man mano che si scende in profondità ha vari effetti sull’organismo che possono comportare una serie di rischi.

Questi aumentano con l’età, non tanto perché ai più anziani siano precluse le immersioni, quanto perché andando avanti con gli anni diminuiscono le capacità fisiche e aumentano le malattie croniche.

Ciò vale soprattutto quando sono presenti fattori di rischio cardiovascolare come quelli evidenziati dallo studio. “I problemi cardiaci sono tra le principali cause di morte degli incidenti durante le immersioni”, ha spiegato in un comunicato il dottor Peter Buzzacott della University of Western Australia, ricercatore del DAN.

“I sub che hanno imparato a immergersi anni fa e ora sono anziani, ipertesi o con alti livelli di colesterolo hanno un maggior rischio di incidenti fatali”, conferma.

In effetti, il DAN avverte dei rischi nei quali il cuore incorre nelle situazioni di stress fisico che si riscontrano sott’acqua, come l’aumento della pressione (soprattutto in acque fredde), che richiede un maggior lavoro cardiaco e facilita l’insorgenza di aritmie. Inoltre, poiché l’assenza di peso sott’acqua fa percepire meno la fatica, i divers rischiano di spingersi oltre i loro limiti cardiocircolatori.

Dunque, avvertono gli autori dello studio e lo stesso DAN, è importante mantenersi in buona forma fisica (e questo è vero per chiunque, non solo chi pratica immersioni) e sottoporsi a controlli medici che certifichino la propria idoneità fisica alle immersioni, soprattutto quando si sono superati i cinquant’anni.

Età e presenza di fattori di rischio cardiovascolare, comunque, non sono gli unici elementi a mettere in pericolo la salute di chi pratica subacquea. I rischi riguardano anche i più giovani, ma la maggior parte degli incidenti può essere evitata con una buona preparazione, per cui è fondamentale essere adeguatamente formati e non superare i limiti del proprio brevetto.

Occhio… alle orecchie

Secondo il report del DAN, uno degli incidenti più comuni nei sub è quello che deriva dall’effetto dell’orecchio tappato, lo stesso che si può provare quando, invece di scendere nei fondali marini, si sale ad alta quota. Questa sensazione ha una ragione semplice: l’orecchio medio, ossia quella parte tra il timpano e la parte più interna, è l’unica cavità che non compensa spontaneamente la pressione esterna, che aumenta quando si scende sotto il livello del mare.

Poiché il volume di un gas è inversamente proporzionale alla pressione, quando ci si immerge e la pressione aumenta, l’aria nell’orecchio diminuisce di volume, provocando un’introflessione del timpano. Al contrario, in risalita, il timpano tenderà a estroflettersi.

Prima del rilascio del brevetto da sub, durante le lezioni preparatorie, il diver deve imparare a compensare forzatamente la differenza di pressione; altrimenti, il rischio è che la membrana del timpano si tenda troppo, perforandosi o addirittura lacerandosi, danno che può dover chiedere l’intervento del chirurgo per essere curato.

Esistono diverse tecniche per compensare forzatamente la differenza di pressione nell’orecchio, permettendo all’aria di arrivare all’interno del timpano attraverso la tromba di Eustachio, un piccolo canale che collega la faringe con l’orecchio medio.

Se la tromba di Eustachio è ostruita, ad esempio a causa della presenza di muco per un’otite in corso, il rischio è di non riuscire a compensare correttamente la pressione e quindi danneggiare il timpano.

Gas e pressione, una relazione pericolosa

La pressione e il suo rapporto con i gas hanno un ruolo importante anche nella fase di risalita. Uno dei principali rischi cui si espongono i divers, soprattutto se non adeguatamente formati, sono infatti le patologie da decompressione causate da una riduzione troppo veloce della pressione.

Una delle più note è la malattia da decompressione, ossia la formazione di bolle di azoto nell’organismo. La bombola da immersioni contiene infatti principalmente azoto e ossigeno: quest’ultimo è consumato nei normali processi metabolici, mentre l’azoto, che è un gas inerte, si accumula nel sangue.

Quando si risale dal fondale, la pressione ambientale diminuisce e l’azoto, non più compresso, può formare bolle i cui effetti saranno diversi a seconda di dove si trovano.

I sintomi si sviluppano nell’arco di circa sei ore dall’immersione e comprendono dolori a giunture e articolazioni, cefalea e debolezza, seguiti da tosse, cianosi e rush cutanei; nei casi più gravi i sintomi sono neurologici o polmonari. Per rimuovere le bolle, il trattamento è di solito con camera iperbarica, che permette di far disciogliere nuovamente il gas nel sangue o nei tessuti, per poi ridurre la pressione esterna gradualmente, in modo che possa essere eliminato con la respirazione.

Sebbene la malattia da decompressione sia tra gli incidenti cui si fa più riferimento quando si parla di subacquea, in realtà la sua incidenza è molto bassa; alcuni fattori, come un elevato indice di massa corporea, sembrano però aumentarne il rischio.

Il momento della risalita è critico anche per un altro motivo. Se si riemerge troppo velocemente e senza espirare – magari a causa di un attacco di panico – il brusco cambiamento di pressione porta a far dilatare l’aria contenuta nei polmoni fino a lacerarli.

Si parla, in questo caso, di sovradistensione polmonare: l’aria che vi è contenuta fuoriesce nella pleura, causando un pneumotorace o, peggio ancora, nel circolo sanguigno, determinando un’embolia gassosa. In questo caso i sintomi si manifestano nel periodo immediatamente dopo la risalita o durante la risalita stessa.

La formazione corretta dei subacquei è fondamentale per prevenire le patologie da decompressione. Chi pratica immersioni deve saper risalire in superficie in modo corretto, in modo da smaltire l’azoto che si accumula nell’organismo. Per immersioni molto profonde o prolungate è necessario osservare delle “tappe di decompressione”, che consistono in soste a profondità indicate da specifiche tabelle.

In altri casi queste soste non sono considerate necessarie ma è sempre consigliata una sosta di sicurezza, di solito indicata intorno ai cinque metri di profondità. L’attenzione deve essere anche rispetto allo stile di vita: un fumatore rischia molto più di un non fumatore di incorrere in un’embolia gassosa dovuta alla sovradistensione polmonare, perché i bronchi sono infiammati e ostruiti dal muco.

Questi fattori fanno sì che il polmone sia ventilato male, aumentando il rischio che l’aria resti intrappolata.

Ubriacatura da azoto

L’azoto ha anche un altro rischioso effetto sui subacquei. Può causare, infatti, la cosiddetta “narcosi da azoto“, in cui questo gas, accumulandosi nell’organismo, agisce quasi come una droga: causa alterazioni neuro-sensoriali che possono determinare una sensazioni di euforia, distorcere le percezioni e addirittura causare allucinazioni.

Sebbene la suscettibilità individuale sia diversa, il rischio è comunque quello legato all’alterazione dei riflessi e alla difficoltà di movimento. I sintomi scompaiono quando si riduce la pressione parziale del gas, quindi con la risalita, ma è anche per evitare incidenti dovuti a questa forma d’intossicazione che ai subacquei viene caldamente raccomandato di praticano le immersioni sempre in coppia.

Insomma, un certo rischio c’è, come nella maggior parte delle nostre attività. Questo non non impedisce però di godersi il mondo sommerso: l’importante è conoscerlo e fare immersioni adeguate al proprio stato fisico ed esperienza, imparando anche a segnalare con precisione le proprie condizioni con gli appositi gesti.

Come fa il subacqueo nell’immagine dell’articolo: “È tutto ok!”, sta dicendo, “l’immersione prosegue senza intoppi”.

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Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.