L’ipotesi della panspermia galattica
RICERCA – Se in questo momento avete la possibilità di leggere un articolo su internet dovreste ringraziare una molecola organica che, circa 4 miliardi di anni fa, replicazione dopo replicazione, ha dato alla vita sulla Terra le forme che conosciamo.
Riuscire a capire come questo meccanismo si sia innescato per la prima volta è uno di quegli interrogativi che la scienza prova a risolvere da sempre. Per il momento l’ipotesi di un originario brodo primordiale in cui acidi nucleici e amminoacidi si siano assemblati autonomamente è la più condivisa. Non mancano però interpretazioni alternative come quella che sostiene che la vita sia caduta sulla Terra dallo spazio.
L’ipotesi della panspermia è una teoria affascinante ma non troppo facile da difendere. Qualche giorno fa, tre astrofisici dell’università di Harvard hanno pubblicato un articolo in cui si teorizza che la vita non sia solo in grado di diffondersi tra pianeti relativamente vicini all’interno del Sistema Solare, ma che la probabilità di uno scambio di materiale biotico tra corpi celesti aumenterebbe drasticamente se estendessimo il campo di ricerca a intere galassie come la Via Lattea: “Se la panspermia operasse su scala galattica, gli esopianeti abitabili in cui la vita è assente sarebbero veramente pochi, o forse nessuno”.
Microrganismi in viaggio al centro della Via Lattea
Secondo Ginsburg e colleghi, infatti, per trasportare i semi della vita attraverso distanze interstellari sarebbe sufficiente che i corpi celesti come asteroidi comete o persino pianeti abbiano un raggio superiore ai 100 metri e si muovano a velocità comprese tra i 10 e i 100 chilometri al secondo. Una volta giunti abbastanza vicini a una stella, il suo campo gravitazionale potrebbe attirarli e catturarli. Dopo essere entrati nel sistema stellare, questi corpi potrebbero entrare in contatto con i pianeti e diffondere il materiale organico. Tutto questo, secondo gli scienziati, si verifica in modo statisticamente molto elevato al centro della nostra galassia.
I ricercatori sono ben consci del fatto che i candidati in grado di affrontare un viaggio nel vuoto cosmico e rimanere intatti sono veramente pochi. Per quanto poche, alcune forme di vita conosciute possono sopravvivere nello spazio. Un esempio sono i microorganismi poliestremofili come il Deinococcus radiodurans. Questo batterio, grazie alla sua incredibile capacità di resistere alle radiazioni, al vuoto e alle temperature estreme, in teoria potrebbe sopravvivere senza grandi problemi su un asteroide.
Un altro enorme ostacolo che la teoria della panspermia deve affrontare è il problema del tempo. Fatta eccezione per l’asteroide Oumuamua che ha attraversato il nostro Sistema Solare l’anno scorso, nel nostro quartiere non si verificano molte di queste visite da parte di oggetti intergalattici. Questi corpi possono vagare anche per miliardi di anni nello spazio profondo senza incontrare sistemi stellari che li catturino.
La situazione però è ben diversa al centro della Via Lattea dove i pianeti, le stelle e i buchi neri sono presenti in quantità molto elevate. In un luogo così denso di corpi celesti, si legge nell’articolo, la quantità di tempo che serve ai semi per incontrare un pianeta in cui depositarsi è, in media, di appena 100.000 anni. Un tempo più che ragionevole per batteri e forme organiche elementari. Grazie alla criptobiosi, infatti, questi organismi sono in grado di entrare in uno stato temporaneo privo di metabolismo.
“Recentemente due nematodi (vermi cilindrici) sono stati riportati in vita dopo essere stati in stato criptobiotico per un tempo stimato di 30 o 40 mila anni”. Se ci sono riusciti i nematodi, che nella loro organizzazione sono relativamente complessi, la speranza che possano farlo anche i poliestremofili è alta.
Una teoria millenaria
L’ipotesi sostenuta dalla panspermia non è nuova. In forma molto approssimativa era stata formulata già dal filosofo Anassimandro nell’antica Grecia. Molto interessante è poi la versione settecentesca della panspermia ideata dal conte De Malliet. Il nobile francese sosteneva che in età primordiali la Terra fosse ricoperta da un oceano sconfinato nel quale sono precipitati i semi vitali da chissà quali regioni ignote dello spazio. La teoria non è andata perduta nel tempo e, nel 1974, è stata rivista e formulata in modo rigoroso da Chandra Wickramasinghe e Fred Hoyle. Secondo questi scienziati gli ingredienti principali per la comparsa della vita (e quindi non la vita stessa) sono presenti in abbondanza nelle polveri stellari.
Più o meno negli stessi anni anche Francis Crick e Leslie Orgel, sospettando che le forme di vita sulla Terra fossero troppo complesse per essere il frutto di un’organizzazione autonoma, proposero una variante della teoria dal sapore fantascientifico. Secondo la loro panspermia guidata, una forma di vita extraterrestre, consapevolmente o no, avrebbe trasmesso sul nostro pianeta alcuni organismi in grado di guidare lo sviluppo della vita.
Qualche anno dopo aver proposto la panspermia guidata, Crick ci ha ripensato e ha ritirato le sue affermazioni. Eppure oggi sappiamo che lo scenario descritto dal premio Nobel potrebbe verificarsi. In questo momento una potenziale arma batteriologica guidata avanza verso Marte e minaccia di distruggere la sua comunità bionica (se c’è). L’oggetto in questione è ovviamente la Tesla di Elon Musk, lanciata nello spazio senza essere stata sottoposta ai trattamenti di sterilizzazione. Per fortuna le probabilità che la vettura colpisca Marte sono veramente molto basse.
Nonostante l’entusiasmo che emerge a chiare lettere dall’articolo degli scienziati di Harvard, la teoria della propagazione seminale della vita nello spazio è stata smentita più volte. In un caso recente un gruppo di scienziati ha pubblicato su Progress in Biophysics and Molecular Biology l’avvincente ipotesi che alcune uova di polpo siano piovute dallo spazio milioni di anni fa. La proposta che gli alieni, viscidi e tentacolati, siano già tra noi, per quanto intrigante, non ha avuto molto successo nella comunità scientifica che ha preferito interpretare l’aspetto del polpo percorrendo strade evolutive già battute.
Grandi numeri, piccole teiere
Molto spesso nell’articolo di Ginsburg e colleghi, tra uno slancio ottimistico e l’altro, ricorrono parole come “plausibile” e “possibile”. Nelle infinite possibilità che uno spazio altrettanto infinito ci offre, è facile inciampare nel famoso argomento della teiera di Russel. Si potrebbe dire che esista una teiera così piccola che i telescopi non riescono a rilevarla che orbita intorno alla Terra. Un’affermazione di questo tipo non è logicamente impossibile, ma affermare l’esistenza di qualcosa senza avere alcuna prova non ha valore dal punto di vista scientifico.
Allo stesso modo non è possibile escludere la possibilità che nel via vai di corpi celesti che attraversano le galassie siano presenti composti chimici. Il fatto che queste molecole in qualche modo possano aver causato la comparsa della vita in mondi sconosciuti non è da escludere a priori. Già l’astrofisico Frank Drake nella sua famosa equazione aveva calcolato che l’esistenza di forme di vita in un universo infinito è quasi certa. Eppure non se ne ha traccia.
Spostiamoci un attimo dalle distanze interstellari e proviamo a considerare un ambiente biologicamente attivo che conosciamo relativamente bene: il pianeta Terra. Prendendo per buono il ragionamento offerto dall’articolo, ci aspetteremmo di trovare delle forme di vita di origine terrestre sparse nei vari corpi del Sistema Solare. Purtroppo però non è stata rilevata alcuna presenza di colonie batteriche né sulla superficie di Marte né su quella degli altri corpi che siamo in grado di analizzare.
Insomma, anche se più noiosa della teoria della panspermia, l’idea che la vita sulla Terra sia nata proprio sulla Terra per il momento, resta in vantaggio. Per quanto riguarda, invece, le prove dell’esistenza di altre forme di vita al centro della Via Lattea, purtroppo, ci sarà da aspettare un po’.
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