Non scambiatela per una medusa: la noce di mare nell’Adriatico
Un nuovo progetto dell'OGS monitorerà la presenza di questa specie, ora abbondante in Adriatico, per conoscerla meglio e quantificare il suo impatto su ambiente e attività umane.
TRIESTE CITTÀ DELLA CONOSCENZA – La città di Trieste è indissolubilmente legata al mare sotto ogni aspetto, e non stupisce scoprire che è il mare il protagonista di molti studi che si fanno negli enti di ricerca triestini. Uno di questi è l’OGS, Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale, dove lavora la nuova protagonista della nostra rubrica dedicata agli scienziati che fanno ricerca in città, Valentina Tirelli.
Nome: Valentina Tirelli
Nata a: Correggio in provincia di Reggio Emilia
Formazione: Naturalista, Dottorato in oceanografia biologica alla UPMC – University Pierre and Marie Curie
Ente di ricerca OGS: Sezione di oceanografia, MAB Biologia Marina
Cosa amo di più nel mio lavoro: Mi fa stare a contatto con il mare. Provengo da una regione in cui il mare c’è, ma io abitavo nel bel mezzo della pianura padana e volevo cambiare la mia vita, andare a vivere vicino al mare. Poi sono curiosa di natura e in questo senso non c’è nulla di meglio del mondo marino, che ti regala ogni giorno qualcosa di diverso.
Qual è il tuo ambito di ricerca e a cosa stai lavorando al momento?
Mi occupo da sempre di zooplancton e tra i vari interessi che ho c’è studiare chi lo zooplancton lo mangia, ovvero i suoi possibili predatori. Ho lavorato a lungo su acciughe e sardine, ad esempio, poi sono passata a creature più grandi come le meduse e negli ultimi anni agli ctenofori. Non mi sono mai allontanata da questo campo ed è così che sono arrivata a studiare la noce di mare (Mnemiopsis leidyi).
Di che animale si tratta?
È uno ctenoforo e non è una specie dell’Adriatico, infatti non si è espansa qui spontaneamente ma molto probabilmente è arrivata attraverso attività umane come le acque di zavorra delle navi. Altrove ha già dimostrato di essere una specie che può completamente sconvolgere un ecosistema. Quando è arrivata nel mar Nero, nel giro di quattro-cinque anni ha portato la pesca dell’acciuga al collasso completo. Ha pochi predatori, si riproduce rapidamente ed è molto vorace. Se si trova in un ambiente favorevole e ha cibo sufficiente a disposizione prolifera senza problemi. Soprattutto d’estate, quando diventa particolarmente abbondante.
Sappiamo anche che può essere nociva per le specie che vivono nel nostro ecosistema. Le più minacciate dalla sua presenza sono quelle con le quali compete per le risorse, come appunto le acciughe: entrambe si nutrono di zooplancton. Si pensa inoltre che le noci di mare si nutrano anche delle uova e delle larve di alcune altre specie.
Cosa comporta la presenza di noci di mare per gli esseri umani?
Spesso questa specie viene scambiata per una medusa, quindi la prima cosa da chiarire è che non lo è. Non è urticante, quindi in questo senso non è problematica, ma i danni che può provare all’ecosistema sono estremamente gravi. Le noci di mare sono adattate per sopravvivere anche in condizioni di stress e sono organismi gelatinosi, creature che hanno elevata tolleranza ai cambiamenti di temperatura e a variazioni di salinità anche molto alte.
Da quanto tempo l’OGS studia le noci di mare?
Noi la studiamo dal 2016 ma era apparsa anche in precedenza, seppur in numeri molto bassi. Nel Golfo di Trieste è stata vista per la prima volta nell’ottobre 2005, poi per dieci anni più nulla. Forse era stata introdotta in piccole quantità e la specie non è riuscita a sopravvivere qui. Poi nel 2016 è tornata e non se n’è più andata. I luoghi più colpiti dalla sua presenza sono le lagune di Grado e Marano, dove i numeri sono importanti e sono stati riscontrati i danni maggiori. Chi pratica la pesca artigianale nelle lagune, per catturare specie come gamberetti e latterini, si è trovato gli attrezzi pieni di gelatina.
Per far fronte alla situazione OGS ha avviato un progetto dedicato, che studierà questa specie invasiva. Raccontaci qualcosa.
Il progetto prenderà il via a novembre con l’obiettivo di scoprire di più su come questa specie viva nel nostro ambiente. La prima fase durerà un anno. La domanda dei pescatori è ovviamente se sia possibile rimuoverla, ma in questo senso c’è poca speranza: la noce di mare quando nasce è minuscola e ciascun individuo è in grado, in una sola notte, di produrre oltre 10mila uova. Sono animali ermafroditi quindi non hanno bisogno di un partner e qui da noi non hanno predatori.
Inizieremo raccogliendo dati sulla sua presenza, sia nelle lagune di Grado e Marano sia in mare, intervistando i pescatori ma anche i cittadini. Vorremmo coinvolgere la popolazione mettendo in piedi una rete di osservazione, così che tutti possano segnalare la presenza delle noci di mare, e in parallelo monitorare i danni che possono fare alle attività di pesca in laguna. Un altro gruppo, sempre dell’OGS, svilupperà un modello dell’ecosistema introducendovi anche la noce di mare per poter studiare la pressione che è in grado di esercitare sulle specie autoctone.
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