La genetica del comportamento nel cane
Nel DNA canino ci sono alcune regioni che contribuiscono a modellare i tratti comportamentali.
Decifrare i comportamenti, capire perché un animale (essere umano compreso) ha una determinata attitudine e non un’altra, è da tempo materia affascinante per diverse branche della scienza. Non da ultima la genetica, e non mancano gli studi che cercano d’indagare quanto il comportamento sia scritto nel DNA e quanto influenzato dall’ambiente e dalle esperienze.
Quando, nel 2005, è stato completato il sequenziamento del genoma del cane, gli scienziati hanno potuto identificare regioni genomiche associate a caratteristiche morfologiche distintive delle diverse razze; tuttavia, la maggior parte dei caratteri ha una base genetica complessa legata all’effetto di molti geni e di regioni genomiche che ne regolano l’attività, che sono fortemente influenzati dall’ambiente.
Le attitudini sviluppate nelle diverse razze dalla relazione con l’essere umano, quali la difesa del territorio, la protezione o la conduzione delle greggi o la loro fedeltà appartengono a questo gruppo di caratteri complessi, e le razze stesse conservano al loro interno un’ampia variabilità genomica.
Per valutare l’esistenza di relazioni tra le caratteristiche comportamentali e il genoma canino, un nuovo studio, condotto da un gruppo di ricercatori americani, ha analizzato i dati comportamentali di oltre 14mila cani, appartenenti a 101 diverse razze, integrandoli con le informazioni genomiche (rese disponibili da studi precedenti su più di 5000 cani), evidenziando così l’esistenza di regioni del DNA che contribuiscono a modellare alcuni tratti comportamentali. Il lavoro, pubblicato sul server di pre-print bioRxiv, non stabilisce un’associazione causativa, ossia non implica che un certo polimorfismo determini la presenza quella specifica caratteristica comportamentale, ma è uno degli studi più completi nel suo genere a dimostrare una base genetica nel comportamento del cane.
Che carattere ha il tuo cane?
Per ottenere i dati riguardanti le caratteristiche comportamentali dei cani, i ricercatori si sono basati sul Canine Behavioral Assessment&Research Questionnaire (C-BARQ). «Un primo problema nello studio del comportamento dei cani è che la valutazione, a meno che non sia fatta in laboratorio da un ricercatore, passa necessariamente attraverso gli occhi del padrone ed è quindi pregiudizievole, perché ciascuno ha le sue aspettative sul proprio cane, sulla razza, o derivanti dalla propria esperienza», spiega Paolo Mongillo, veterinario e ricercatore presso il laboratorio di etologia del cane dell’Università di Padova.
«Il questionario C-BARQ, usato in questo studio, è l’unico diffuso e validato in questo settore. Comprende un gran numero di domande, tipo “Quanto è aggressivo il suo cane nei confronti degli estranei da 1 a 10?”, e può essere compilato da chiunque online». (Per chi ha un gatto, esiste anche la versione felina del test).
I caratteri presi in considerazione dai ricercatori statunitensi sono 14 e comprendono ad esempio l’aggressività, l’attitudine all’addestramento, l’istinto predatorio, l’attaccamento agli esseri umani.
Polimorfismi e correlazioni caratteriali
Dall’analisi statistica dei dati raccolti con il questionario, i ricercatori hanno stabilito una media di valori per ciascuna delle diverse razze considerate, individuandone quindi le differenze per i 14 elementi caratteriali considerati. Questi valori sono stati quindi integrati con i dati genotipici, comprendenti 100mila marcatori provenienti da due studi indipendenti.
«Più specificatamente, i ricercatori hanno analizzato single-nucleotide polymorphisms o SNP, mutazioni puntiformi che funzionano come “microfoni” delle regioni sotto selezione nel genoma e permettono di confrontare similitudini e differenze fra le razze analizzate in relazione ai caratteri studiati», spiega Paola Crepaldi, professoressa associata di Zootecnica Generale e Miglioramento Genetico al Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Milano e autrice di uno studio sulla diversità genomica dei cani italiani.
«Poiché conosciamo la posizione di questi SNP sul genoma, quando si evidenzia una differenza è possibile stabilire cosa c’è intorno a quel determinato SNP, se sono vicini o interni a un gene o a una regione che regola l’attività di un gene e possiamo risalire a quali processi fisiologici o morfologici contribuiscono i diversi geni o elementi genomici identificati».
«Le razze canine presentano caratteristiche condivise selezionate dall’uomo da quando sono stati domesticati, anche in funzione dell’ambiente e delle attività che hanno condiviso con la nostra specie. La selezione dell’uomo si è fatta particolarmente intensa a partire dall’età vittoriana, quando si diffuse la moda delle razze e il formalismo soprattutto estetico, che ha portato alla differenziazione delle molteplici razze moderne dotate di standard morfologici anche molto dettagliati», spiega la professoressa.
Gli autori dello studio hanno quindi condotto una genome-wide association analysis o GWAS, ossia un’analisi genomica delle associazioni che si possono riscontrare tra marcatori del genoma e un certo fenotipo, in questo caso il punteggio ottenuto sui diversi caratteri rilevati con il questionario che descrive le principali caratteristiche comportamentali del cane.
«In questo modo, i ricercatori hanno potuto mettere in relazione le caratteristiche comportamentali individuate nelle diverse razze con alcuni marcatori presenti sul genoma», continua Crepaldi. «Uno degli aspetti più interessanti è che le associazioni così individuate hanno portato all’individuazione di regioni genomiche associate a processi fisiologici che hanno una forte connessione biologica con le caratteristiche studiate. Alcuni degli SNP identificati, cioè, sono legati a geni coinvolti in pathway per la neurogenesi, geni legati al rilascio e al trasporto di neurotramettitori, dei recettori dopaminergici (coinvolti ad esempio nelle risposte di attacco o fuga), o geni noti per la correlazione di fenotipi legati alla domesticazione».
In tutti, sono 131 gli SNP identificati dagli autori e la variabilità spiegata dallo SNP con valore più elevato (indicata come pari al 15 per cento) permette di confermare che nei cani i caratteri comportamentali sono altamente poligenici.
Carattere, una questione di genetica e di ambiente
«Questo risultato conferma che nel cane come nell’uomo, le caratteristiche comportamentali sono caratteri con una base genetica complessa legata a numerosi geni, ma molto influenzata anche dall’ambiente e dalle esperienze che i soggetti hanno incontrato nella loro storia evolutiva e nel corso della loro vita. E che hanno contribuito allo sviluppo delle caratteristiche peculiari di ciascuna razza e individuo all’interno di questa», spiega ancora la professoressa.
E questo è bene evidenziarlo, perché significa anche che sarebbe sbagliato generalizzare le basi genetiche per affermare, ad esempio, che un cane come il pit-bull è aggressiva mentre il labrador è perfetto per chi ha bambini. «La mia preoccupazione nel leggere un articolo di questo tipo è che si possa distorcere in “le razze hanno comportamenti specifici con basi genetiche”», commenta Mongillo. «Il che non farebbe altro che alimentare pregiudizi sulle razze e magari portare a scelte sbagliate i proprietari».
Un altro punto importante, ricordato dagli stessi autori della ricerca, è che l’analisi comportamentale e quella genetica non sono state condotte sullo stesso individuo; i due gruppi di dati provengono da differenti dataset di animali. «I ricercatori hanno usato dei valori medi per razza; non hanno analizzato i caratteri fenotipici e genotipici nello stesso soggetto, che è una condizione importante per stabilire con accuratezza la variabilità genetica associata ai caratteri comportamentali, analizzando con maggior precisione le differenze tra le razze rispetto alla variabilità individuale», spiega Crepaldi.
I cani nella ricerca scientifica
Lo studio americano è solo uno degli ultimi ad aggiungersi a una vasta gamma di lavori in cui il protagonista delle ricerche è il cane. «La peculiarità del cane è l’aver avuto una coevoluzione con l’uomo molto più stretta di quanto sia avvenuto con altri animali domestici. Questo ne ha determinato, in termini di ricerca, sia la fortuna che la sfortuna. Inizialmente, infatti, è stato in qualche modo ignorato dagli etologi, che lo vedevano come una specie molto artificiale, che non vive in un ambiente naturale, per cui si riteneva di non potervi trarre conclusioni valide; ma nelle ultime decine di anni la questione si è ribaltata e proprio questa peculiarità del cane e la sua storia di domesticazione in associazione con l’uomo sono divenute elementi d’interesse per le capacità che gli hanno permesso di sviluppare», spiega Mongillo.
«Gli obiettivi più comuni della ricerca genetica nel cane sono solitamente gli studi su geni che potrebbero avere un impatto su malattie che potrebbero essere simili tra cane e uomo (anche perché evidenziare le possibili ricadute sull’uomo aiuta può aiutare a ricevere finanziamenti)», continua Mongillo.
«Certo è che i cani sono molto diffusi, per cui anche le tematiche comportamentali che possono avere un impatto sulla convivenza tra cane e uomo risvegliano interesse. L’esempio più semplice è l’aggressività, spesso richiamata dalle cronache, ma questa considerazione vale anche per cani problematici che, se i padroni non riescono a gestire in casa, vengono abbandonati alimentando il randagismo. Sono, insomma, problemi che hanno un loro impatto sociale».
Ma lo studio del comportamento canino, e della genetica sottostante, non è necessariamente legato a cani “difficili”. Come ricorda Elisabeth Pennisi su Science, uno studio di un paio d’anni fa (condotto però su un piccolo campione di animali) si era concentrato sulle basi genetiche del comportamento sociale nel cane, mentre altri lavori si sono concentrati sulle varianti associabili a cani che svolgono il delicato lavoro di guida per i non vedenti.
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