Immunologia: cosa succede alle cellule dendritiche in presenza di un tumore?
Le cellule dendritiche allertano il sistema immunitario quando è presente un "estraneo". Ma a volte la loro funzione è compromessa, ad esempio quando c'è un tumore.
Il laboratorio di immunologia cellulare dell’ICGEB (International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology) di Trieste, ha appena ottenuto cinque anni di finanziamenti AIRC per l’attività di ricerca. Abbiamo fatto una chiacchierata con la biologa molecolare Federica Benvenuti, leader del gruppo e nuova protagonista della nostra rubrica Trieste Città della Conoscenza.
Nome: Federica Benvenuti
Nata a: Gorizia
Lavora a: ICGEB, Trieste
Formazione: biologa molecolare, dottorato in genetica molecolare (SISSA), post-doc all’Institut Curie di Parigi.
Cosa amo di più del mio lavoro: Ogni giorno abbiamo qualcosa di nuovo da studiare e siamo sempre a contatto con ragazzi giovani ed entusiasti. Tutti siamo alimentati dalla passione di scoprire cose nuove. Non si smette mai di studiare né di formulare ipotesi per – alle volte – scoprire che avevi avuto l’idea giusta.
La sfida principale del mio ambito di ricerca: L’immunologia cellulare oggi attira molto interesse da parte della comunità scientifica e del mercato, la sfida è riuscire ad avere un’idea valida e trovare qualcosa di interessante con l’occhio e l’umiltà dello scienziato che fa ricerca di base, e riesce a individuare un meccanismo che non è ancora stato scoperto (arrivando rapidamente alla fase clinica).
Qual è stato il tuo percorso e in che modo ti ha avvicinata all’immunologia cellulare?
Durante il dottorato all’ICGEB avevo già iniziato a interessarmi al sistema immunitario; poi mi sono specializzata a Parigi e ho iniziato a studiare un particolare sottotipo di cellula di questo sistema, la cellula dendritica, fondamentale per dare il via alla risposta immunitaria. È un elemento centrale per dare l’allerta al sistema immunitario della presenza di un elemento estraneo. Un virus, un batterio, ma anche una cellula trasformata. Poi sono rientrata a Trieste e ho creato il mio gruppo di ricerca.
Nei primi anni abbiamo studiato i meccanismi molecolari di base che permettono a queste cellule di agire come sentinelle, e approfondito quali molecole – a livello intracellulare – permettono di rilevare l’elemento estraneo e di scatenare la risposta. L’allerta coincide con un’interazione fisica che queste cellule hanno con i linfociti T, le cellule che poi distruggono le cellule malate o infettate. C’è un “passaggio di consegne” in cui la cellula dendritica dà istruzioni al linfocita T sulla natura del patogeno e sul tipo di risposta che è necessario mettere in atto. Per anni abbiamo studiato come avviene fisicamente questa interazione e come viene trasmessa l’informazione.
Questo meccanismo può essere compromesso e non funzionare come dovrebbe?
Sì, può succedere. Una delle cose che abbiamo fatto in parallelo, già parecchi anni fa, è interessarci proprio alle situazioni in cui il meccanismo non funziona come dovrebbe. Uno degli ambiti in cui fallisce sono le mutazioni genetiche, responsabili di un gruppo di malattie note come immunodeficienze, nelle quali il sistema immunitario non risponde in modo appropriato. Ci siamo concentrati su una in particolare, la sindrome di Wiskott Aldric, che colpisce all’incirca un nuovo nato ogni milione di bambini. Quello che manca, in questo caso, è una proteina del citoscheletro della cellula necessaria perché le interazioni avvengano in modo corretto. A lungo abbiamo studiato cosa succede quando questa proteina – che conferisce alla cellula forza e forma – viene a mancare.
Qualche anno fa, messe a punto le conoscenze di base e le tecniche di studio, abbiamo deciso di provare a studiare le disfunzioni delle cellule dendritiche nell’ambito dei tumori. Nel microambiente tumorale vengono secreti dei fattori che influenzano negativamente la funzione delle cellule immunitarie: si parla di immunosoppressione. Così abbiamo deciso di mettere a punto dei modelli per studiare cosa succede alle cellule dendritiche quando si sviluppa un tumore. Quale funzione viene a mancare, quale processo è difettoso? Quali sono i fattori che determinano l’inattivazione della risposta?
Una delle cose che abbiamo sviluppato in maniera avanzata è la capacità di isolare queste cellule dai tessuti. C’è una tecnica, chiamata citofluidometria, che ci aiuta a farlo. Abbiamo investito parecchio tempo nello svilupparla al meglio, per poi poter testare la funzione di queste cellule isolandole dal tessuto tumorale e sequenziandone il genoma per capire cosa hanno di diverso dalla stessa cellula quando si trova in un tessuto sano.
E cosa avete scoperto?
Uno dei risultati più importanti che abbiamo ottenuto è avere la capacità di isolarne la funzione e individuare tra i fattori prodotti dal tumore quello che – quando le cellule vi vengono esposte – causa la disattivazione pressoché completa delle loro funzioni. Abbiamo pubblicato un lavoro su Cancer Research dove mostriamo che un metabolita abbondante prodotto dalle cellule tumorali – nel caso specifico si trattava di tumore del polmone – è in grado di disattivare le funzioni di presentazione dell’antigene che le cellule dendritiche effettuano normalmente.
Il confronto tra il profilo trascrizionale di queste cellule e le loro controparti sane ci ha permesso di individuare geni fortemente modulati quando la cellula si trova nel tessuto. Abbiamo trovato singole molecole che vengono spente quando le cellule si trovano nel tessuto tumorale e poi, a ritroso, abbiamo cercato di capirne la funzione e scoperto che alcune sono essenziali perché la cellula dendritica riconosca il tumore. Da un lato quindi abbiamo individuato una molecola essenziale affinché la cellula dendritica riesca a conoscere la cellula tumorale con efficacia, dall’altro capito che è proprio questo il meccanismo che viene inibito quando c’è un tumore.
Sulla base di questi risultati abbiamo proposto ad AIRC il progetto che ha vinto i cinque anni di finanziamenti. L’obiettivo è da un lato approfondire il meccanismo molecolare che porta all’inibizione della molecola, dall’altro capire quali sono i segnali, i meccanismi e le cause che determinano questa inibizione. Lo scopo finale, ovviamente, è riuscire a un certo punto a ripristinare questa funzione e in futuro capire quali strategie possono riattivarla.
Possiamo dire che in quest’ambito, come in molti altri, è fondamentale continuare a investire sulla ricerca di base?
Sì, pensiamo ai grossi successi che a oggi si hanno in clinica con i farmaci inibitori di checkpoint – i primi che ripristinano la funzione dei linfociti T antitumorali -. Si è arrivati a questo punto solo dopo anni di ricerca di base per capirne la funzione e il funzionamento. Per le cellule dendritiche che sono fragili, rare al di fuori del tessuto sopravvivono poco, nella ricerca di base c’è ancora molto lavoro da fare. Solo negli ultimi anni le tecniche si sono evolute al punto tale da studiarle bene.
Quindi la ricerca di base è fondamentale, è il passaggio propedeutico e cruciale per trovare interruttori che permettano di riattivare le cellule dendritiche con strategie mirate. È grazie a finanziamenti come quello dell’AIRC, grazie ai contributi dei cittadini alla ricerca scientifica, che possiamo ancora fare ricerche importanti.
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