Cooperare o fare il parassita? L’ani maggiore e i suoi nidi comuni
Parente del cuculo, questo uccello sudamericano nidifica in gruppi fatti da più coppie ma a volte sceglie un'altra strategia e diventa parassita, scaricando i costi della cova sugli altri.
Per l’ani maggiore (Crotophaga major), quando si tratta di covare le uova e accudire la prole vale il motto “l’unione fa la forza”. Questa specie forma dei nidi comuni, custoditi da due o tre coppie non imparentate tra loro che collaborano per la difesa del territorio, la costruzione del nido stesso, la cova e la nutrizione dei piccoli, che vengono cresciuti dal gruppo. Eppure, talvolta si osserva il comportamento inverso, quello del parassitismo: alcune femmine lasciano le proprie uova nei nidi comuni, ma guardandosi bene dal cooperare con quel gruppo.
Quella del parassitismo del nido è una strategia ampiamente sfruttata in natura: si ritrova in almeno 250 specie di uccelli ed è molto studiata dagli scienziati. Tuttavia non è ancora chiaro perché nell’ani maggiore gli individui si comportino a volte come cooperatori e a volte come parassiti, né come insorga un comportamento piuttosto che l’altro. Un nuovo studio, recentemente pubblicato su Nature e condotto da due ecologhe statunitensi, si è concentrato proprio su questi aspetti, scoprendo che le femmine iniziano la stagione riproduttiva sfruttando la strategia cooperativa ma che, se il nido viene distrutto (ad esempio da un predatore), in alcune insorge la strategia di parassitismo.
Due strategie
L’ani maggiore è un uccello della famiglia dei Cuculidi, la stessa cui appartengono gli a noi più noti cuculi, famosi parassiti dei nidi. È distribuito tra Panama e un’ampia parte del Sudamerica, e vive nei bassipiani boschivi adiacenti a fiumi o stagni, sulle rive dei quali costruisce il nido, nella vegetazione acquatica o sui rami degli alberi che si protendono sull’acqua, rendendoli difficilmente accessibili ai ricercatori senza una barca.
Si tratta di una delle poche specie di uccelli nei quali femmine non imparentate tra loro cooperano per la cura della nidiata; la formazione di gruppi ha un vantaggio strategico in termini di fitness perché, sebbene vi sia una forte competizione riproduttiva per la quale le femmine eliminano le prime uova deposte dalle compagne, i genitori cooperando riescono a dedicare più sforzi alla cura dei piccoli e si riducono i fenomeni di predazione. Studi precedenti hanno infatti mostrato che, nei rari casi in cui il nido viene accudito dai soli genitori, la predazione (soprattutto da parte di serpenti e scimmie, in particolare il cebo cappuccino) è tale che la covata non va quasi mai a buon fine.
Ma anche in questo contesto di ben consolidato team working c’è chi preferisce barare. Alcune femmine lasciano infatti le uova in nidi ospiti senza dedicare loro cure parentali. Si tratta di una forma di parassitismo intraspecifico, diverso da quello, ad esempio, del parente cuculo (Cuculus canorus), che depone le uova nel nido di altre specie di uccelli. Nel caso dell’ani maggiore, il successo di questa strategia sta nel fatto che le altre femmine non sembrano essere in grado di riconoscere le uova estranee alla sua covata e dunque di accorgersi dei “furbi”. Ma perché un individuo sceglie una strategia piuttosto che l’altra?
Le ricercatrici statunitensi Christina Riehl e Meghan Strong del Dipartimento di Ecologia e Biologia Evolutiva della Princeton University, in collaborazione con il Princeton Environmental Institute, hanno seguito l’ani maggiore e la sua nidificazione dal 2007 al 2017 nell’area del Barro Colorado Natural Monument, nella riserva naturale della Barro Colorado Island, nel canale di Panama. In tutto, sono state analizzate 1.776 uova, deposte da 210 femmine diverse, campionate in modo da raccogliere cellule e tracce di sangue da cui risalire alla madre; sono poi stati raccolti campioni di sangue dai pulcini, così da confermare la parentela.
Il parassitismo è il piano B
In questo modo, le ricercatrici hanno potuto osservare che, sebbene la strategia cooperativa sia la più sfruttata, poco più del 25% dei nidi era stato parassitato da femmine estranee. Incrociando i dati genotipici con quelli della popolazione di femmine che stavano accudendo le uova, hanno scoperto che sono soprattutto le femmine il cui nido era stato depredato a ripiegare sulla strategia di parassitismo. “Il parassitismo è più una seconda opzione, come se gli uccelli dicessero ‘Se il tentativo di cooperazione è fallito, passiamo al piano B'”, commenta Riehl in un comunicato.
Queste femmine non sembrano essere influenzate, nella scelta del nido ospite, dalla dimensione del gruppo, dalla qualità del territorio o dal successo riproduttivo ma sembrano preferire nidi in prossimità di quello che hanno perduto.
“Il parassitismo a seguito della perdita del nido è interpretabile anche nel senso del risparmio energetico, perché la riproduzione ha un costo fisiologico e metabolico elevato”, commenta a OggiScienza Claudio Carere, biologo del comportamento e ricercatore all’Università della Tuscia. “In una situazione in cui apparentemente non esiste una contro-mossa da parte del parassitato, perché le femmine non sono in grado di riconoscere le uova estranee, il parassitismo è una scelta facile. Ci sono anche da considerare i limiti temporali: se una femmina ha perso la nidiata, deve attivarsi al massimo per recuperare l’investimento prima che la stagione avanzi”.
D’altronde, l’attuare una strategia riproduttiva basata sul parassitismo comporta alcuni svantaggi. Un rischio può essere che la “madre adottiva” riesca a riconoscere le uova dell’ospite e le elimini dal nido; nel caso dell’ani maggiore le femmine rimangono inconsapevoli dell’estraneo, ma le madri che parassitano i nidi tendono a deporre uova più piccole, sebbene in numero leggermente maggiore rispetto a quelle che adottano solo la strategia cooperativa.
Inoltre, sebbene nessun individuo si basi esclusivamente sulla strategia di parassitismo, dallo studio emerge anche che la tendenza a basarsi su di essa è altamente ripetibile: nel corso degli anni, le femmine di ani maggiore mostrano un alto livello di costanza nell’adottare una strategia mista di cooperazione e parassitismo oppure di cooperazione pura. «Questo elemento indica una specializzazione individuale che potrebbe suggerire come certi tipi di “personalità” siano più propensi di altri ad adottare questa strategia», suggerisce Carere.
Non è ancora noto, tuttavia, se questa tendenza, che è stata osservata anche in cattività in un’altra specie di uccelli molto sociale, il diamante mandarino (Taeniopygia guttata), abbia una componente genetica. In ogni caso, potrebbe essere influenzata dalle condizioni fisiologiche della femmina: una madre meno sana e più debole potrebbe avere più difficoltà a occuparsi della nidiata, e questo favorirebbe la scelta di lasciare le uova ad altri genitori.
Mantenersi in equilibrio
“In una specie dalla socialità complessa come l’ani maggiore, la sfida è riuscire a conciliare le individualità dei singoli con il benessere del gruppo”, commenta ancora Carere. “L’adozione di una strategia riproduttiva mista è un esempio di plasticità comportamentale, perché un individuo è in grado di esprimere la sua individualità in determinate circostanze e di contenerla in altre. D’altronde, proprio una strategia di cura collettiva delle uova fa sì che ci possa essere qualche individuo che ‘ne approfitta’, perché in qualche modo il suo parassitismo è diluito e non inficia la fitness del gruppo”.
La coesistenza di strategie puramente cooperative o miste è possibile proprio perché entrambe sono sostenibili per la specie e hanno così potuto mantenersi nel corso dell’evoluzione. “È una questione di equilibrio: la cova da parte di una singola coppia o il parassitismo puro hanno scarso successo riproduttivo nell’ani maggiore, mentre la cooperazione nella cura di una nidiata ampia o il tentativo fallito cui segue il parassitismo hanno un successo simile. Il punto è mantenerle entrambe in un equilibrio stabile (ma ovviamente non al cinquanta-cinquanta) così da minimizzare lo svantaggio del covare uova non proprie senza ricever nulla in cambio”, conclude Carere. In effetti, solo il 25% dei nidi risultano parassitati da una femmina che non è membro di quel gruppo.
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