I lupi, più prosociali dei cani
Rispetto ai cani che vivono in branco, i lupi sono più propensi a comportarsi in modi che portano un beneficio a un altro individuo. La prosocialità non è tanto dovuta alla domesticazione, quanto a un tratto ancestrale conservatosi nel tempo.
“La forza del branco è nel lupo e la forza del lupo è nel branco”, ha scritto Ruyard Kipling, descrivendo così una delle principali caratteristiche di questi animali: la capacità di cooperare per la caccia, la difesa del territorio e la cura della prole. Elemento chiave per la cooperazione è la prosocialità, ossia l’adozione volontaria di un comportamento che porta beneficio a un altro individuo (ma che, a differenza dell’altruismo, non necessariamente comporta un costo per chi lo mette in pratica).
I comportamenti prosociali sono stati osservati anche nei cani di famiglia (pet dogs), in test nei quali potevano scegliere se fornire una ricompensa a un altro individuo. Secondo alcune teorie, la domesticazione del cane, che lo ha reso un compagno di vita e lavoro per la nostra specie, ha selezionato la tendenza alla prosocialità; secondo altre, invece, la prosocialità alla base dei comportamenti cooperativi nel cane è piuttosto un tratto ancestrale del conspecifico selvatico che si è conservato nel corso del tempo. Un esperimento condotto al Wolf Science Center di Vienna, i cui risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista open access PLOS ONE, suggerisce che sia quest’ultima l’ipotesi più corretta.
Lupo e cane a confronto
Rachel Dale e i suoi colleghi hanno confrontato la tendenza alla prosocialità in nove lupi e sei cani, cresciuti e allevati nelle stesse condizioni al Wolf Science Center, il centro che conduce da anni studi sulle abilità cognitive e sociali delle due sottospecie. In una prima fase di addestramento, gli animali hanno imparato che, schiacciando con il naso uno specifico simbolo su uno schermo, potevano far arrivare del cibo in una stanza adiacente ma separata da una porta trasparente, che permetteva loro di vedere l’arrivo del boccone.
Successivamente, sono stati condotti test multipli per cercare di capire se gli animali erano più o meno propensi a fornire il cibo a un compagno. Inoltre, per capire se la tendenza alla prosocialità è influenzata dall’appartenenza allo stesso gruppo, più che dalla semplice conoscenza dell’altro individuo, i ricercatori hanno confrontato la propensione ad attuare un comportamento prosociale nei confronti di un membro dello stesso branco rispetto a quella nei confronti di un individuo di un branco differente.
I lupi fornivano molto più cibo quando nella stanza adiacente era presente un individuo dello stesso branco rispetto alla condizione di controllo, nella quale lo stesso individuo era visibile e vicino, ma in uno spazio diverso in cui il cibo non poteva arrivare. Ripetendo l’esercizio con individui di un branco diverso rispetto a quello dell’individuo testato, invece, non cambiava la quantità di cibo fornito a seconda che si trovassero nella stanza in cui arrivava il boccone o in una stanza vicina ma separata.
Lo stesso test è stato condotto sui cani, valutando anche in questo caso il comportamento nei confronti di un membro dello stesso branco e quello dei confronti del membro di un branco diverso. A differenza dei lupi, i cani non hanno fornito più cibo al membro dello stesso branco: un risultato che indica come la prosocialità sia meno sviluppata nei cani che nei lupi, a sostegno dell’ipotesi secondo cui questa caratteristica sia un tratto ancestrale parzialmente conservatosi nel tempo, e non un tratto selezionato nel corso della domesticazione. Inoltre, la maggior propensione dei lupi a fornire cibo a un membro dello stesso branco suggerisce che la relazione sociale sia un fattore importante nella decisione di attuare o meno un comportamento prosociale.
Prosocialità, un’eredità ancestrale
«Questi dati mostrano che il processo di domesticazione non ha necessariamente reso più prosociali i cani», commenta Dale in un comunicato. «Sembra piuttosto che siano la generosità e la tolleranza verso i membri dello stesso branco a contribuire ad avere alti livelli di cooperazione come quelli osservati nei lupi».
Gli autori avvertono tuttavia che questo tipo di esperimenti possono essere suscettibili di lievi differenze di metodo, per cui bisogna usare cautela nell’applicare lo stesso lavoro nei cani di famiglia, i pet che condividono la loro quotidianità con noi: in questi ultimi, studi precedenti avevano mostrato alcune tendenze alla prosocialità che potrebbero essere il risultato dell’addestramento e dell’incoraggiamento che gli animali ricevono. Saranno quindi necessarie ulteriori ricerche per comprendere meglio le differenze tra la prosocialità nei cani di casa e in quelli che, seppur socializzati son gli umani, sono cresciuti in branchi.
Lo studio appena pubblicato s’inserisce nel contesto di un ampio gruppo di lavori che mirano a comprendere l’origine della collaborazione nelle due sottospecie, e in particolare a capire se il processo di domesticazione abbia promosso le interazioni cooperative nei cani o se, in linea con le caratteristiche socio-ecologiche del lupo, la cui vita è basata sul rapporto con il branco, la cooperazione sia maggiore nell’animale selvatico. Una ricerca del 2017, anch’essa condotta al Wolf Science Center, aveva dimostrato che i lupi ottengono risultati migliori dei cani in un test di cooperazione nel quale era necessario che due individui collaborassero per arrivare al cibo.
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