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I rischi delle lampade abbronzanti

Le lampade abbronzanti e i lettini solari fanno male? In Brasile sono vietati dal 2009 così come in Australia: i dati sulla cancerogenicità di raggi UV-A e UV-B non lasciano spazio a dubbi.

No Tan is Worth Dying For, “non c’è abbronzatura per cui valga la pena morire”, è stato lo slogan di una delle più efficaci campagne di prevenzione del melanoma promosse negli anni 2000 in Australia attraverso l’associazione SunSmart. Una settimana prima del suo ventiseiesimo compleanno Clare Olivier, ragazza australiana deceduta per un melanoma maligno, ha deciso di portare in tv la propria storia. La risonanza mediatica è stata così forte da riuscire a cambiare in modo profondo l’approccio della popolazione verso l’uso delle lampade abbronzanti. La giovane donna australiana dichiarava che per lei l’abbronzatura era sempre stata molto importante e che da anni utilizzava i solarium o non si proteggeva dal sole in modo efficace.

Nel corso di circa cinque anni, l’Australia è riuscita a mettere al bando l’uso dei lettini abbronzanti e delle lampade solari UV. Si tratta di un caso esemplare. “A monte sono state fatte delle considerazioni di tipo socio-sanitario ed economico” racconta a OggiScienza Craig Sinclair, direttore del World Health Organisation Collaborative Centre for UV Radiation, con sede a Melbourne. “Erano troppi i decessi per melanoma causati dalle lampade abbronzanti, troppi i costi che doveva sostenere il sistema sanitario nazionale in termini di vite umane e di risorse. La strategia adottata è stata di tipo incrementale: prima sono state vietate ai minori di 18 anni, poi, dopo circa tre anni, si è arrivati alla completa eliminazione dal mercato sulla base delle decisioni prese dai singoli Stati. Questo ha dato al mercato il tempo di adattarsi al cambiamento normativo e tutti i solarium sono diventati per lo più centri estetici”.

30 anni di sensibilizzazione

Per riuscire a convincere la popolazione della pericolosità dei raggi UV, sia solari che delle lampade abbronzanti, “sono serviti trent’anni di campagne di sensibilizzazione” continua Sinclair. “È importante che le persone siano informate del rischio che corrono utilizzando le lampade o esponendosi al sole in modo non protetto”. Se questa politica abbia diminuito l’incidenza di morti per tumori maligni della pelle “è ora in fase di analisi” afferma Sinclair, e i dati dei risultati ottenuti sono certamente attesi in un Paese, l’Australia, che ha il più alto tasso di cancro alla pelle a livello mondiale.

I dati epidemiologici sulla cancerogenicità delle lampade UV-A e UV-B sono incontrovertibili: nel 2009 I’International Association for Research on Cancer (IARC) ha dichiarato i raggi UV cangerogenici di primo grado. Secondo i dati raccolti dal report IARC, il rischio di tumore maligno della pelle aumenta del 20% ogni dieci anni a partire dalla prima esposizione alle radiazioni UV delle lampade solari. Questo significa che quanto prima si inizia ad esporsi, tanto più aumenta il rischio di cancro alla pelle.

Il Brasile, nel 2009, è stato il primo Paese al mondo a porre il divieto totale dei lettini solari, ma con risultati scadenti a causa della difficoltà di monitorare sul territorio l’effettiva applicazione del provvedimento. In Germania, dove è stato adottato un sistema meno invasivo, ponendo il divieto ai minorenni, il problema è invece sul piano giuridico perché un divieto totale andrebbe contro la costituzione, che afferma la libertà della persona. Un approccio che vieti totalmente di esporsi alle lampade abbronzanti, quindi, potrebbe sortire effetti opposti a quelli desiderati, a causa di una prevedibile forte resistenza da parte della popolazione verso un provvedimento così limitante.

In Italia, il decreto legge 201/2011 è l’emanazione di un regolamento attuativo della legge del 4 gennaio 1990 per la “Disciplina dell’attività di estetista”. Nel decreto legge è previsto che solo i maggiorenni possano fare sedute con lampade abbronzanti e si dice, inoltre, che “l’Organizzazione Mondiale della Sanità sconsiglia l’uso delle apparecchiature per l’abbronzatura artificiale a chiunque” in ragione dei dati riportati nel rapporto IARC. Tuttavia, la legge italiana sottolinea il miglioramento, nel corso degli anni, delle attrezzature utilizzate per – citando il decreto – “ridurre il rischio di danni a breve e a lungo termine” e rimarca il progressivo passaggio da lampade con raggi UV-B a quelle con raggi UV-A, “che hanno differenti spettri di emissione, cioè differenti rapporti fra le intensità” delle due radiazioni.

Ora le lampade sono meno pericolose?

“I raggi UV-A non sono bloccati dalla melanina ma vanno più in profondità” precisa a OggiScienza il Prof. Giovanni Leone, responsabile dell’Unità di Fotodermatologia all’Istituto Dermatologico San Gallicano – Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma. “Persiste questa cattiva informazione per cui si pensa che le lampade UV-A siano meno dannose, mentre tutta la letteratura scientifica riconosce i raggi UV-A come i principali responsabili del melanoma. In questo modo, rimane radicato il vecchio concetto che i raggi UV-B, che provocano la scottatura visibile, siano più dannosi.”

Leone sottolinea come “a livello italiano non ci sono dati completi sui casi di cancro della pelle causati dai raggi UV-A, ma nella pratica clinica quotidiana riscontriamo delle tendenze preoccupanti: il 35% degli adulti che si curano nel nostro Istituto si sono sottoposti a un trattamento con lampade abbronzanti e, tra gli adolescenti, il 60% almeno una volta; più del 50% inizia prima dei 21 anni e un terzo prima dell’età di 18 anni”. Se i dati italiani non sono disponibili perché mancano studi a riguardo, Leone cita quelli americani, dove si stima che 400 mila casi di cancro cutaneo all’anno possano essere dovuti all’esposizione alle lampade.

(cliccate su play per la timeline 2003-2016)

Alessandro Polichetti, primo ricercatore all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), sottolinea come “seppure sia stata riconosciuta la cancerogenicità dei lettini abbronzanti, la legge italiana si sia limitata a porre il divieto ai minori di 18 anni e, sostanzialmente, al recepimento della normativa europea, che impone un limite all’intensità di queste apparecchiature abbronzanti, che non devono emettere radiazioni più di quanto emette il sole ai Tropici”.

Secondo Polichetti, questo decreto legge lascia tuttora aperti una serie di fraintendimenti, come la presunta minore pericolosità di queste lampade perché emettono meno radiazioni. “In realtà” afferma il ricercatore, “anche se limitate, queste radiazioni sono pericolose comunque. L’esposizione ai raggi, solari o delle lampade, provoca la produzione di melanina, che è la colorazione del pigmento. Si tratta di un meccanismo di protezione della pelle che si è sviluppato nel corso di millenni di evoluzione umana, ma va compreso che l’annerimento della pelle è la risposta a un danno a livello del DNA che è già avvenuto”.

Un secondo luogo comune è che fare le lampade serva a preparare la pelle per andare al mare e, quindi, ad evitare le scottature solari. “Ma questo non è vero” precisa Polichetti “perché le lampade emettono soprattutto raggi UV-A, mentre il sole emette anche raggi UV-B, che provocano la scottatura. Si è a lungo pensato che le lampade UV-A fossero più sicure, ma in realtà non è così. Le lampade UV-A anneriscono la melanina già presente, ma il fattore di protezione che possono dare è pari a un livello 2 o 3 di crema solare, quindi nullo”. A ben vedere, anche le creme solari si sono evolute: dapprima con solo fattore di protezione UV-B a quelle più recenti, che comprendono anche il fattore di protezione UV-A. Si ribadisce inoltre l’importanza di usare la giusta quantità di protezione e di ri-applicarla più volte.

Altro luogo comune da sfatare è che se l’esposizione al sole favorisce la produzione di vitamina D, questo avvenga anche con le lampade abbronzanti. “Per avere un livello sufficiente di vitamina D basta fare vita all’aria aperta, con viso, gambe e braccia scoperte senza eccedere nell’esposizione” afferma Polichetti. “Chi, per motivi particolari, non può esporsi al sole esistono in commercio integratori di vitamina D e anche alcuni alimenti sono indicati per favorirne la produzione come le uova, l’olio di fegato di merluzzo o i funghi”.

Ogni pelle ha i suoi problemi

Ci sono poi altri problemi legati, paradossalmente, a chi ha la pelle scura: “Gli emigrati che dai Paesi del Sud del mondo vanno nei Paesi nordici rischiano di avere carenza di vitamina D perché la pelle scura non fa passare i raggi solari UV e quindi c’è il rischio di malattie come il rachitismo” sottolinea ancora il ricercatore dell’ISS. “Noi dell’Istituto superiore di Sanità sconsigliamo fortemente l’uso dei lettini solari e delle lampade abbronzanti ma per diffondere questa cultura bisogna fare corretta informazione. Noi siamo un organo tecnico, non possiamo vietare. Dopo di noi è necessaria un’azione politica, ma su quella non possiamo intervenire”.

Per capire come potrebbe funzionare un’azione di informazione efficace, Giovanni Leone dell’Istituto dermatologico San Gallicano porta l’esempio degli Stati Uniti, “dove in alcuni Stati su tutti i siti internet, a partire da quello del Ministero della Sanità, ci sono raccomandazioni molto severe di vietare i lettini solari ai minori di 18 anni. Inoltre, in alcuni Paesi, non si possono pubblicizzare questi centri parlando in termini di ‘abbronzatura sicura’: sono vietate le dizioni del tipo ‘non ci sono raggi nocivi’, ‘non ci sono effetti collaterali’. Ci sono delle regole precise, per cui non si può fare pubblicità e non si possono diffondere affermazioni ingannevoli per il pubblico”.

L’Italia su questo fronte, invece, non prevede particolari limitazioni e non si rischia di incorrere in sanzioni.

Secondo Giovanni Leone “Sarebbe necessario almeno uno screening per quelle fasce di popolazione fortemente a rischio perché utilizzatrici di lampade abbronzanti: le donne, soprattutto se hanno iniziato  a utilizzare lampade da prima dei 35 anni, anche se di carnagione scura perché hanno lo stesso rischio di tumore della pelle dei fototipi chiari”. In Italia i dati ISTAT confermano un aumento nella popolazione italiana dei tumori maligni della pelle:  nel periodo 2003-2016 si è passati dal 0,93% al 1,18% sul totale di tutti i decessi per tumore. Anche se non è ancora possibile fare un’esatta attribuzione di quanti di questi decessi siano dovuti all’esposizione alle lampade solari, visti i risultati delle esperienze di altri Stati, sarebbe ragionevole approfondire il problema anche nel nostro Paese.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.    Fotografia Alexis O’Toole – Wikimedia Commons CC BY-SA 2.0

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Federica Lavarini
Dopo aver conseguito la laurea in Lettere moderne, ho frequentato il master in Comunicazione della Scienza "Franco Prattico" alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste (SISSA). Sono giornalista pubblicista e scrivo, o ho scritto, su OggiScienza, Wired, La Lettura del Corriere della Sera, Rivista Micron, Il Bo Live, la Repubblica, Scienza in Rete.