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La selezione degli astronauti del programma Apollo

La scelta degli equipaggi per le missioni lunari e le alterne vicende che hanno portato alcuni astronauti a riuscire e altri a fallire.

Fila posteriore: Elliot M. See, McDivitt, Lovell, White e Stafford. Fila anteriore: Conrad, Borman, Armstrong, & Young. Fotografia NASA, dominio pubblico.

24 uomini, nell’intera storia dell’umanità, hanno avuto la sorte di arrivare dove nessun altro era mai giunto prima. Sono gli astronauti del programma Apollo, gli unici ad aver oltrepassato l’orbita bassa della Terra e a essersi spinti a oltre 380.000 chilometri di distanza dal nostro pianeta.

12 di loro hanno passeggiato sulla Luna: Neil Armstrong, Edwin ‘Buzz’ Aldrin, Pete Conrad, Alan Bean, Alan Shepard, Edgar Mitchell, David Scott, James Irwin, John Young, Charles Duke, Harrison Schmitt ed Eugene Cernan; altri dodici hanno orbitato attorno al nostro satellite: Frank Borman, Jim Lovell, William Anders, Thomas Stafford, Michael Collins, Richard Gordon, Fred Haise, Jack Swigert, Stuart Roosa, Alfred Worden, Ken Mattingly e Ronald Evans.

Tutto questo è avvenuto in un arco di tempo brevissimo, fra il dicembre del 1968 e il dicembre del 1972. Da allora nessun essere umano ha più ripetuto questa impresa.

Perché proprio loro? Erano uomini speciali o si sono trovati al posto giusto nel momento giusto? Come spesso accade nella storia, non esiste una risposta univoca. Gli eventi che hanno portato alla selezione degli astronauti del programma Apollo e hanno fatto sì che alcuni di loro partecipassero alle missioni lunari, mentre altri no, sono frutto di un intreccio di decisioni, strategie, scelte oculate, contingenze e semplice fortuna.

La scelta degli equipaggi

Quando la NASA inizia le procedure di selezione degli astronauti da impiegare nelle missioni Gemini e Apollo, ad avere la precedenza su tutti sono i cosiddetti Mercury Seven, ovvero i sette uomini che nel 1959 erano stati scelti per partecipare al programma Mercury. Tra loro, solo tre possono effettivamente proseguire: Virgil ‘Gus’ Grissom, Walter Schirra e Gordon Cooper. John Glenn, il primo americano nello spazio, ha lasciato la NASA per intraprendere la carriera politica, Malcolm Scott Carpenter si è dimesso per effettuare ricerche con la marina statunitense a bordo della capsula subacquea sperimentale SEALAB, mentre in un primo momento Alan Shepard e Donald ‘Deke’ Slayton vengono rimossi dalle missioni per di problemi di salute.

Quest’ultimo non può più volare a causa di un’aritmia cardiaca, ma avrà il delicatissimo compito di scegliere chi parteciperà alle missioni future. Viene infatti nominato responsabile della selezione degli equipaggi che prenderanno parte ai voli delle navicelle Gemini e Apollo. Risolti i problemi fisici, Slayton riuscirà a realizzare il suo sogno di volare nel 1975, quando diventerà uno dei membri del programma test Apollo-Sojuz, prima collaborazione fra Stati Uniti e Unione Sovietica nel settore dei voli spaziali.

I requisiti

I criteri per essere ammessi alla selezione cambiano nel corso degli anni. Inizialmente bisogna essere in possesso di una laurea in fisica o in ingegneria, avere un’età tra i 25 e i 40 anni, essere alti non più di un metro e ottanta e pesare non oltre gli 80 chili, aver effettuato almeno 2.000 ore di volo in jet ad alte prestazioni e aver sviluppato un’esperienza come pilota collaudatore. Non a caso quasi tutti i primi astronauti provengono dalle forze armate. I candidati, che devono essere in eccellenti condizioni psicofisiche, vengono sottoposti a una visita medica completa e a una serie di test psicologici elaborati da un team specializzato. Gli aspetti maggiormente critici nella selezione degli aspiranti astronauti sono legati proprio alle caratteristiche psicologiche. Un astronauta dev’essere pienamente consapevole che compirà un viaggio potenzialmente fatale, in un luogo remoto che presenta numerose incognite, e che per giorni vivrà con altre due persone all’interno di una minuscola cabina pressurizzata. Il candidato ideale, oltre che fortemente motivato, deve essere equilibrato, avere una notevole capacità di cooperazione e fidarsi dei suoi compagni di viaggio.

A causa della netta prevalenza maschile tra i laureati in ingegneria e fisica e dell’esperienza richiesta come pilota, ma anche per ragioni legate a pregiudizi di genere, i primi gruppi di astronauti sono inevitabilmente composti da soli uomini. Già alla fine degli anni Cinquanta, ai tempi della selezione degli equipaggi del programma Mercury, alcune donne avevano fatto domanda per entrare nel corpo degli astronauti, riuscendo tra l’altro a superare i severi test fisici e psicologici iniziali, ma nessuna era stata ammessa. Le prime astronaute NASA saranno selezionate solo tra il 1977 e il 1978 e nessuna donna americana volerà nello spazio fino al 1983, anno in cui Sally Ride – a bordo della navetta Challenger del programma Space Shuttle – raggiungerà l’orbita terrestre.

Cinque gruppi, 54 persone

Tra il settembre del 1962 e l’aprile del 1966 vengono selezionati quattro gruppi di astronauti, che si aggiungono ai Mercury Seven. Gli uomini individuati per prendere parte alle varie missioni dei programmi Gemini e Apollo sono alla fine 54, suddivisi in cinque gruppi ufficiali scelti utilizzando diversi criteri. I membri del secondo e del terzo gruppo, per esempio, hanno una solida esperienza come piloti collaudatori, mentre il quarto gruppo è composto da persone scelte dalla National Academy of Sciences in base al loro background accademico. Tra di loro solo uno, il geologo Harrison Hagan ‘Jack’ Schmitt, prenderà parte a una missione Apollo – l’ultima in assoluto, Apollo 17 – destinata a toccare il suolo lunare l’11 dicembre 1972.

La procedura di selezione degli equipaggi adottata da Slayton prevede la designazione di un primo gruppo di persone, composto da tre uomini, a cui si aggiunge un gruppo di riserva addestrato per prenderne il posto in caso di necessità. Viene studiato un sistema di rotazione in base al quale un equipaggio selezionato come riserva può aspettarsi, in linea teorica, di condurre una missione tre voli dopo la partenza del primo equipaggio. Il gruppo di riserva dell’Apollo 8, per esempio – composto inizialmente da Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Fred Haise – è scelto per volare sull’Apollo 11. Per le missioni più importanti viene inoltre individuato un terzo gruppo di persone, l’equipaggio di supporto, il cui scopo è quello di studiare tutti gli aspetti del volo, sviluppare procedure specifiche per affrontare eventuali situazioni di emergenza e assicurarsi di informare i membri degli altri due gruppi riguardo ogni possibile cambiamento.

Tutti gli astronauti assegnati a una missione ricevono una formazione ad hoc ed entrano a far parte dell’equipaggio con una mansione specifica: il pilota del modulo di comando condurrà la capsula durante il viaggio dalla Terra alla Luna e ritorno, il pilota del modulo lunare guiderà il LEM e il comandante della missione avrà il compito di dirigere tutte le operazioni di volo. La formazione dell’equipaggio viene condotta utilizzando due simulatori di volo, uno per il modulo di comando e uno per il modulo lunare, situati presso il Mission Control Center di Houston, in Texas, e il Kennedy Space Center di Cape Canaveral, in Florida.

Buona e cattiva sorte

Gli uomini che sono riusciti a partecipare alle missioni lunari non sono stati solo caparbi e coraggiosi. Qualcosa di imponderabile ha fatto sì che fossero proprio loro a compiere i viaggi coronati da successo. Si può chiamare caso, destino oppure fortuna; quel che è certo è che ha giocato un ruolo fondamentale. Allo stesso modo, molti astronauti sono arrivati a un passo dal compiere il grande balzo verso la Luna, ma a causa di circostanze imprevedibili, a volte tragiche, non ci sono riusciti. La sorte dei primi, inevitabilmente, è strettamente intrecciata a quella e dei secondi. Citiamo alcuni esempi.

Charlie Bassett, selezionato per partecipare alla missione Gemini 9 e pilotare il modulo di comando dell’Apollo 8, muore il 28 febbraio 1966 a bordo di un jet T-38 che si schianta in circostanze misteriose contro l’edificio all’interno del quale si sta assemblando proprio la navicella Gemini 9. Con lui perde la vita l’altro membro dell’equipaggio, Elliot See. Virgil ‘Gus’ Grissom, uno dei Mercury Seven, ha tutte le caratteristiche per guidare la prima missione destinata ad allunare, ma il 27 gennaio 1967 muore nel terribile incendio avvenuto all’interno della cabina dell’Apollo 1 poco prima del decollo. Con lui gli altri due membri dell’equipaggio, Edward White e Roger Chaffee.

Membro dell’equipaggio di riserva di Gemini 10, Buzz Aldrin dovrebbe volare a bordo della navicella Gemini 13, ma l’ultima missione Gemini prevista è la 12. La morte improvvisa di Charlie Bassett ed Elliot See porta però ad anticipare i turni di tutti gli altri equipaggi. Aldrin si trova così, con Jim Lovell, a prender parte alla missione Gemini 12, durante la quale effettua cinque ore di attività extraveicolare, acquisendo un’esperienza che si rivelerà essenziale per la sua partecipazione al programma Apollo.

Michael Collins è scelto per pilotare il modulo di comando dell’Apollo 8, la prima missione a effettuare un’orbita completa attorno alla Luna nel dicembre del 1968. Nel giugno dello stesso anno, però, dopo essersi sottoposto a una radiografia, scopre di avere un’escrescenza ossea nella colonna vertebrale. A luglio viene sottoposto a un intervento chirurgico che riesce perfettamente, ma a causa dei tempi di recupero la NASA decide di sostituirlo con Jim Lovell. Collins assumerà il ruolo di Capsule communicator (Capcom), si occuperà cioè di tenere in contatto gli astronauti in volo con il centro di controllo a terra; per lui non è semplice ascoltare i commenti eccitati dei membri dell’equipaggio durante quell’esperienza straordinaria, sapendo che avrebbe potuto essere lì con loro, ma a causa di questo stop imprevisto sarà assegnato alla terza missione dopo l’Apollo 8 e diventerà il pilota del modulo di comando più famoso di tutti, quello dell’Apollo 11.

Jim Lovell e fa parte dell’equipaggio dell’Apollo 13, destinato ad allunare nell’aprile del 1970 ma costretto a un rientro d’emergenza sulla Terra per un problema al serbatoio dell’ossigeno. Al momento di definire l’equipaggio dell’Apollo 11, Slayton darà al comandante designato per quella missione – Neil Armstrong – la possibilità di sostituire Aldrin con Lovell, più esperto e dal carattere meno difficile. Armstrong, però, preferisce Aldrin. Lovell ha molta più esperienza ed è scontato che venga scelto come comandante di una missione successiva. In effetti la NASA vuole che Lovell guidi l’Apollo 14, ma poi decide di affidargli l’Apollo 13. In principio assegnato ad Alan Shepard, uno dei Mercury Seven, l’Apollo 13 viene lasciato nelle mani di Lovell perché l’addestramento di Shepard, che non partecipa a un volo da oltre dieci anni, non è ancora ultimato. Lovell passerà alla storia per essere l’unico astronauta ad aver partecipato a due missioni Apollo, la 8 e la 13, senza mai mettere piede sulla Luna.


Leggi anche: 1961, il programma Apollo prende vita

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.    

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Simone Petralia
Giornalista freelance. Amo attraversare generi, discipline e ambiti del pensiero – dalla scienza alla fantascienza, dalla paleontologia ai gender studies, dalla cartografia all’ermeneutica – alla ricerca di punti di contatto e contaminazioni. Ho scritto e scrivo per Vice Italia, Scienza in Rete, Micron e altre testate. Per OggiScienza curo Ipazia, rubrica in cui affronto il tema dell'uguaglianza di genere in ambito scientifico attraverso le storie di scienziate del passato e del presente.