“L’Aquila è atterrata!” – 50 anni fa il primo sbarco sulla Luna
Il racconto del primo emozionante allunaggio, di cui oggi ricorre il cinquantesimo anniversario.
Un uomo scende da una scaletta. Indossa una tuta bianca, un grosso casco gli nasconde il volto. Si avvicina al terreno con lentezza, un piede dopo l’altro. I suoi passi sono goffi. Giù non c’è nessuno ad aspettarlo, solo un’enorme distesa di sabbia grigia; un deserto enorme, grande quanto l’Africa e l’Australia messe insieme, totalmente disabitato. Eppure quell’uomo non è solo. La sua discesa dalla scaletta è seguita con attenzione, a centinaia di migliaia di chilometri di distanza, da più di seicento milioni di persone. L’uomo arriva alla fine, dopo l’ultimo gradino fa un piccolo saltello e tocca il suolo col piede sinistro. “È un piccolo passo per un uomo…”, dice con voce emozionata.
È successo davvero. Cinquant’anni fa, nella notte tra il 20 e il 21 luglio 1969, un essere umano ha messo piede per la prima volta in un luogo remoto, lontanissimo eppure conosciuto da sempre. Una grande sfera che la notte brilla nel cielo. La Luna.
L’attesa
Il 1969 è un anno che racchiude l’essenza dell’umanità, nel bene e nel male. Cinquecentomila ragazzi partecipano alla tre giorni di Woodstock, un inno alla pace e alla musica rock, mentre altri cinquecentomila sono impegnati a combattere in Vietnam; a Milano esplode una bomba che uccide 17 persone, a New York scoppia la rivolta di Stonewall, all’origine del movimento LGBT; viene realizzato il progetto Arpanet, precursore di Internet, mentre le truppe dell’esercito britannico occupano l’Irlanda del Nord. Nel frattempo, i primi esseri umani raggiungono la Luna.
Il decollo dell’Apollo 11 è previsto per il 16 luglio 1969. Dopo la tragedia dell’Apollo 1, il 27 gennaio 1967, la NASA non ha lasciato nulla al caso. Tutto è stato testato più volte, ogni singolo aspetto della missione destinata a toccare il suolo lunare è stato vagliato e analizzato nel dettaglio. Circa un milione di persone si recano nei pressi del Kennedy Space Center (KSC) per assistere al lancio. Le camere d’albergo sono esaurite da tempo, la gente porta con sé tende e sacchi a pelo e si piazza nei terreni che circondano la base. Tutti vogliono poter dire di essere stati presenti al grande evento.
Eppure non tutti sono lì per festeggiare. Circa cinquecento manifestanti, perlopiù afroamericani, appartenenti a varie associazioni per i diritti civili dei neri, raggiungono Cape Canaveral per protestare. Dopo l’assassinio di Martin Luther King, l’anno precedente, seguono il reverendo Ralph Abernathy. Sono delusi e arrabbiati, urlano slogan contro il governo, colpevole di aver stanziato miliardi per le missioni lunari e di aver ignorato le persone ai margini della società. Una dichiarazione di Hosea Williams, altro leader del movimento, riassume bene questo punto di vista: “Non ci opponiamo alla missione sulla Luna, il nostro scopo è protestare contro l’incapacità americana nel definire le priorità”.
Le famiglie degli astronauti, il presidente Nixon e l’ex presidente Johnson, duecento membri del Congresso, centinaia di uomini e donne provenienti da tutto il mondo, migliaia di rappresentanti delle piccole e grandi industrie coinvolte a più livelli in questa impresa potranno assistere al lancio dalle tribune riservate, di fronte alla rampa 39A dove il vettore Saturn V è pronto a decollare. In quei giorni i mass media non parlano d’altro, il mondo intero è col fiato in gola. La sala stampa del KSC è gremita. Giornalisti, reporter, cameramen e personaggi televisivi sono pronti a documentare ogni singolo istante dell’impresa. La CBS si è assicurata l’esclusiva della diretta, mentre per l’Italia Ruggero Orlando, in collegamento da Houston, e Tito Stagno, dagli studi di Roma, si alternano ai microfoni della RAI.
L’equipaggio dell’Apollo 11 è composto da Michael Collins, alla guida del modulo di comando, Edwin ‘Buzz’ Aldrin, pilota del modulo lunare e Neil Armstrong, comandante. Sullo stemma della missione, concepito da Collins, campeggia un’aquila dalla testa bianca, simbolo degli Stati Uniti, con un ramoscello di ulivo tra gli artigli; dietro al rapace pronto a conquistare la Luna c’è la Terra, disegnata in alto sull’orizzonte lunare, immersa in un cielo punteggiato di stelle. In cima, a caratteri cubitali, la scritta APOLLO 11. A differenza degli stemmi disegnati per le missioni precedenti, in questo non compaiono i nomi dei membri dell’equipaggio; scelta ponderata e fortemente voluta dai tre astronauti, pronti a vivere quest’esperienza al servizio dell’umanità e non come un momento di gloria personale. Il modulo di comando si chiama Columbia. È un omaggio alla Columbiad, un cannone gigante che nel romanzo di Jules Verne “Dalla Terra alla Luna” spara un proiettile enorme in grado di trasportare tre persone sulla Luna. Il modulo lunare è invece denominato Eagle, ovvero Aquila.
Il decollo e il viaggio verso la Luna
“5, 4, 3, 2, 1, 0 … All engines running. Liftoff!”. “Tutti i motori funzionanti. Decollo!” Il lancio avviene alle 09:32 locali, le 13:32 UTC (Coordinated Universal Time, il fuso orario internazionale di riferimento, basato su quello di Greenwich). Dopo il lancio e le terribili sollecitazioni a cui sono sottoposti gli uomini nell’abitacolo, la capsula raggiunge l’orbita terrestre e i motori si spengono. La manovra più delicata, in questa fase, consiste nell’undocking, ovvero nel distacco del modulo di comando, che dopo aver ruotato di 180 gradi effettua l’avvicinamento e l’aggancio col modulo lunare, fissato all’interno del terzo stadio del Saturn V. A eseguire la manovra è Collins, pilota del Columbia. Tutto funziona alla perfezione.
La navicella si immette, a motori spenti, nella traiettoria che nell’arco di tre giorni la porterà a più di 380.000 chilometri di distanza, in prossimità del nostro satellite. Durante i tre giorni di viaggio non accade nulla di significativo. Le comunicazioni tra gli astronauti all’interno della capsula e gli uomini del centro di controllo missione sono brevi e riguardano prevalentemente aspetti di natura tecnica. Considerati gli spazi angusti, la natura eccezionale della situazione, le numerose incognite e la consapevolezza di avere gli occhi del mondo intero puntati addosso, la vita all’interno dell’abitacolo scorre relativamente tranquilla.
La discesa del modulo lunare
Il 19 luglio, alle 21:17 UTC, il Columbia raggiunge la sua meta. Il modulo di comando riaccende i motori e comincia la prima delle trenta orbite attorno alla Luna, in attesa di sganciare il modulo lunare ed effettuare lo sbarco. Il giorno dopo Neil Armstrong e Buzz Aldrin si trasferiscono all’interno dell’Eagle. Inizia la tanto attesa discesa verso il suolo. Dopo alcuni minuti, sui computer a bordo del modulo compare un messaggio d’errore; si pensa di interrompere tutto, ma dopo brevi attimi di panico l’ingegnere responsabile della manovra di allunaggio, Steve Bales, spiega che l’allarme è dovuto a un sovraccarico di dati che porta il sistema elettronico del lander a spegnersi e riavviarsi. Non c’è tempo per valutare possibilità alternative, bisogna decidere in fretta se andare avanti o interrompere la discesa. Alla fine si prosegue, per fortuna senza problemi.
A circa 900 metri dal suolo, Armstrong e Aldrin decidono di modificare la traiettoria; il terreno, nel punto designato per l’allunaggio, presenta delle asperità che potrebbero compromettere la stabilità del veicolo. Il cambio di rotta viene effettuato senza difficoltà, ma porta a utilizzare molto più carburante del previsto. Sono minuti concitati e carichi di tensione. Neil Armstrong e Charles Duke, l’astronauta responsabile delle comunicazioni fra il centro di controllo e l’Apollo, si scambiano informazioni a ritmo forsennato. Quando il lander tocca il suolo lunare, nei pressi del Mare della Tranquillità, l’autonomia residua è di appena venti secondi. Alle 20:17 UTC del 20 luglio, Armstrong pronuncia le parole tanto attese: “Houston, Tranquility Base here. The Eagle has landed”, “Houston, qui base Tranquillità. L’Aquila è atterrata”. Sulla Terra, la tensione accumulata nei minuti precedenti si scioglie in un applauso scrosciante, un vero e proprio boato di felicità.
Sulla Luna
Ci siamo quasi. Resta da compiere un ultimo passo, per il quale sono necessarie diverse ore di preparazione. I due astronauti devono uscire dal modulo ed effettuare la prima EVA (Extravehicular activity, attività extraveicolare). Dopo aver sceso i nove gradini della scaletta dell’Eagle, non senza qualche difficoltà – la tuta rallenta i movimenti e l’unità di controllo remoto posta sotto il casco gli impedisce di vedersi i piedi – alle 02:56 UTC del 21 luglio 1969 Neil Armstrong tocca il suolo lunare. Più di 600 milioni di persone sparse per il mondo assistono alla scena. Quel piccolo passo è, come dice Armstrong, “one giant leap for mankind”, “un grande balzo per l’umanità”.
Aldrin raggiunge il compagno 19 minuti dopo. Le prime parole che pronuncia quando tocca il suolo lunare sono meno poetiche ed evocative di quelle di Armstrong, ma di certo più spontanee: “Beautiful view, magnificent desolation”, “bella vista, magnifica desolazione”. A poco meno di dieci metri dal modulo viene posizionata una telecamera fissa che riprende tutte le operazioni.
Durante l’esplorazione della superficie lunare, che dura poco più di due ore e mezza, i due astronauti si spingono a grandi salti – la gravità lunare è un sesto di quella terrestre – fino a circa cento metri di distanza dall’Eagle. Armstrong e Aldrin scattano centinaia di foto e raccolgono oltre venti chili di campioni di rocce da portare sulla Terra. Sul terreno viene piantata la bandiera degli Stati Uniti e collocate varie apparecchiature, tra cui un sismografo e un retroriflettore, ovvero una sorta di specchio da utilizzare come puntatore laser per eseguire misurazioni dalla Terra. Dopo circa mezz’ora di attività extraveicolare, dalla Terra giunge una comunicazione diversa dal solito: “Ciao, Neil e Buzz. Vi parlo dallo Studio Ovale della Casa Bianca. Questa è la telefonata più importante che abbia mai fatto…”. È il presidente Nixon che li ringrazia per l’impresa compiuta.
Il rientro e il trionfo
Dopo aver riposato per circa sette ore all’interno dell’Eagle, Armstrong e Aldrin sono pronti a ripartire. L’ascesa del modulo lunare non è mai stata provata nelle condizioni di gravità lunare e presenta alcune incognite. La tensione è palpabile, ma la procedura non presenta intoppi. Dopo oltre ventiquattr’ore trascorse da solo all’interno del modulo di comando in orbita attorno alla Luna, alle 21:35 UTC del 21 luglio Michael Collins può finalmente ricongiungersi con i due compagni. L’aggancio tra Eagle e Columbia è avvenuto correttamente.
Il 24 luglio 1969, trascorsi tre giorni di volo effettuati in un clima di irreale serenità, l’Apollo 11 ammara nell’Oceano Pacifico, a circa 800 miglia nautiche dalle isole Hawaii. Superati i ventuno giorni di quarantena, il mondo è pronto ad accogliere trionfalmente i tre astronauti. Il 13 agosto Armstrong, Aldrin e Collins vengono celebrati come eroi in due parate oceaniche, a New York e Chicago. Iniziano quindi un tour mondiale che in poco più di un mese li porta a incontrare i leader di ventidue Paesi, dal papa alla regina Elisabetta, dall’imperatore del Giappone allo Scià di Persia.
Il sogno di Kennedy – far arrivare un essere umano sul nostro satellite entro la fine del decennio e riportarlo sano e salvo sulla Terra – è stato realizzato. Ciò che sembrava fantascienza è divenuto realtà. Negli anni successivi non tutto andrà come previsto e i tagli ai fondi NASA voluti da Nixon segneranno una pesante battuta d’arresto per il programma spaziale, ma in quel momento la corsa verso il cielo appare inarrestabile. La Luna, lassù, sembra un po’ più vicina.
Leggi anche: Foto: lo sbarco sulla Luna, 50 anni fa
Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia. Fotografia: NASA