TECNOLOGIA

Energie rinnovabili, la luce di sincrotrone per studiare le celle solari organiche del futuro

Le celle solari con materiali organici non sono efficienti quanto quelle in silicio: una tecnica dal sincrotrone Elettra a Trieste studia i più adatti

(Credit Flickr/Martin Abegglen)

Il futuro delle energie rinnovabili e, in particolare, nel campo del fotovoltaico sembra essere orientato verso lo sviluppo di celle solari realizzate con materiali organici, che potrebbero prendere il posto di quelle attualmente in commercio in silicio. Per questo motivo gli scienziati studiano l’efficienza energetica di nuovi materiali organici, andando a caccia di quelli che saranno i migliori per la progettazione e realizzazioni delle celle solari di nuova generazione.

Ad oggi la ricerca si orienta sullo studio di nuovi materiali come le perovskiti o il pentacene, ma una tecnica messa a punto dai ricercatori dell’Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iom) guidati da Martina dell’Angela e che si avvale della luce del sincrotrone Elettra di Trieste, si è rivelata particolarmente promettente in questo campo.

La tecnica, descritta nell’articolo pubblicato sulla rivista Communications Physics, si basa sull’utilizzo combinato dei laser e della luce di sincrotrone per studiare i materiali, nel caso dello studio il pentacene, un composto organico utilizzato come semiconduttore nell’elettronica organica.

Come funzionano le celle solari?

La cella fotovoltaica è un oggetto che trasforma l’energia di una radiazione elettromagnetica, nel nostro caso quella solare, che la colpisce in energia elettrica. Per farlo deve essere realizzata in materiali che siano conduttori o semiconduttori, in cui gli atomi sono organizzati in una struttura cristallina, quindi ordinata, dove lo spostamento degli elettroni eccitati dall’energia fornita porta a un movimento all’interno del reticolo che conduce l’elettricità.

In particolare, nei semiconduttori la radiazione solare dei fotoni incidenti genera un eccitamento degli elettroni, che spostandosi lasciano libere delle “buche” a carica positiva, dette lacune, all’interno del reticolo cristallino. Questo implica la produzione di un eccitone, cioè una coppia elettrone-lacuna, all’interno del materiale. A loro volta le lacune saranno riempite da altri elettroni eccitati di carica negativa e questo produce un “movimento”, o meglio una corrente elettrica all’interno del materiale.

Nel caso del silicio, il materiale più comunemente utilizzato per la produzione di celle solari, l’efficienza energetica, cioè la quantità di energia solare convertita in elettrica, viene ampliata dal “drogaggio” del materiale, cioè l’inserimento nel reticolo cristallino di altri atomi che aumentano il numero di lacune presenti e favoriscono lo spostamento di elettroni e quindi la corrente nel materiale.

Nel caso invece dei materiali organici, gli scienziati si stanno concentrando sul fenomeno della singlet fission per ottenere una maggiore efficienza. Si tratta di un fenomeno fisico in cui nel materiale organico l’incidenza di radiazione porta alla produzione non di uno, ma di due eccitoni, cioè di due coppie elettrone-lacuna, in grado di trasportare così più carica e avere una migliore efficienza energetica.

La nuova tecnica per studiare i materiali col sincrotrone

A spiegarci le novità di questa tecnica per lo studio dei materiali delle celle solari che si avvale della luce di sincrotrone Elettra di Trieste è Martina Dell’Angela, ricercatrice del Cnr-Iom e autrice dello studio: “La nostra è una ricerca di base, non costruiamo celle solari ma studiamo nel dettaglio l’efficienza energetica dei materiali grazie alla luce di sincrotrone di Elettra. La novità della nostra tecnica risiede nel combinare l’uso dei laser e della luce di sincrotrone per studiare i materiali, come nel nostro caso il pentacene.

Generalmente, le misure che si ottengono con il solo utilizzo di luce di sincrotrone sono di tipo statico, quindi non vediamo il materiale durante l’eccitamento, cioè mentre sta cambiando, ma solo nello stato finale. Ad esempio, il semplice passaggio di corrente in un materiale ne provoca eccitazione, ma con la luce di sincrotrone non vedremo tutta l’evoluzione che produce, ma solo lo stato finale in cui il materiale viene osservato.

Una visione aerea del sincrotrone Elettra di Trieste (Credit: Elettra)

Oggi si usano tecniche che accoppiano due laser, dove un impulso è utilizzato per eccitare il materiale e l’altro per studiarne le caratteristiche chimiche. Questi impulsi hanno una energia molto bassa, quindi riusciamo a osservare solo la banda di valenza (cioè la struttura elettronica più “esterna”, con bande di più alta energia fra quelle occupate dagli elettroni, ndr), mentre con il sincrotrone possiamo studiare anche i livelli di core (cioè gli elettroni che occupano le bande più interne dell’atomo e non sono coinvolti nel legame chimico, ndr), permettendoci di ottenere informazioni dettagliate sulla chimica del materiale.

La nostra tecnica rappresenta una sorta di evoluzione “al contrario”, dato che oggi gli esperimenti di questo tipo sono condotti con i “free electron laser”, dove gli impulsi a raggi X sono molto corti in tempo, si parla di centinaia di femtosecondi (un milionesimo di miliardesimo di secondo, ndr), mentre nello studio da noi condotto sono sufficienti impulsi X molto più lunghi in tempo, cioè dell’ordine di centinaia di picosendi (un millesimo di miliardesimo di secondo, ndr).

La tecnica utilizzata dunque è simile, ma ci servono tempi diversi per studiare diverse dinamiche: nel caso quindi degli eccitoni nei materiali organici, l’uso del sincrotrone è più che adeguato”.

Dal silicio ai materiali organici: perché scegliere il pentacene?

La Dell’Angela spiega che, per studiare i materiali organici, è necessario scegliere a oggi quelli più semplici di cui conosciamo tutto, ma anche soggetti alla singlet fission: “Possiamo dire che il pentacene rappresenti uno dei materiali di “moda” degli ultimi 10 anni, dato che è soggetto al singlet fission, cioè una eccitazione in cui si formano due eccitoni, due coppie di elettrone-lacuna, che sono quindi in grado di trasportare più carica all’interfaccia. Questo implica una conversione dell’energia più efficiente.

Da una decina d’anni questo processo viene studiato a livello della ricerca di base, ma ancora non esiste un’applicazione nelle celle solari “reali”, dato che quelle a oggi più efficienti e in commercio sono a base di silicio. I nostri test di laboratorio sono eseguiti su celle solari realizzate con materiali organici, come appunto il pentacene, che potremmo definire “finte”, nel senso di non funzionanti, grazie a cui ne possiamo studiare l’efficienza, che può essere migliorata anche se non raggiunge ancora quella delle celle in commercio. A oggi possiamo dire però di essere a metà strada verso la scelta di un materiale organico che sia in grado, in futuro, di raggiungere l’efficienza delle celle solari a silicio.

Tra i materiali organici in commercio, il pentacene è sicuramente quello più semplice per realizzare i campioni che vengono poi testati nel sincrotrone di Elettra a Trieste, e il prossimo passo è studiare la sua risposa chimica ed energetica in combinazione con altre molecole”.

Studio dei materiali organici: prospettive future e limiti della nuova tecnica

La ricercatrice del Cnr-Iom spiega quali sono le prospettive future della tecnica messa a punto dal suo team al sincrotrone Elettra di Trieste: “Osservando lo spettro del pentacene, abbiamo osservato un nuovo stato sulla soglia di assorbimento del materiale, che si verifica solo quando viene pompata la molecola. Quando combiniamo il materiale con un secondo di tipo diverso, effettuiamo lo stesso tipo di analisi e quello che ci attendiamo è che il picco compaia e scompaia seguendo una determinata dinamica, oppure di individuare altri picchi. Il vantaggio nel nostro caso è quello di avere la sensibilità chimica, cioè di essere sicuri che il picco osservato nei grafici sia riconducibile al pentacene nello stato di tripletto.

Accostando un secondo materiale, siamo così in grado di riconoscere e determinare a quale dei materiali appartenga l’eventuale nuovo picco osservato. Il passaggio successivo del nostro studio sarà quello di abbinare materiali diversi e osservare come l’eccitazione cambia tra un materiale e un altro.

La tecnica, però, presenta anche due limiti, che possono essere anche definiti “svantaggi”, come sottolinea la Dell’Angela: “Il primo riguarda i lunghi tempi di acquisizione delle misure, dettati dalla disponibilità di accesso alla beam line del sincrotrone, dato che i tempi per poter accedere sono molto stretti.

La seconda riguarda la difficoltà della crescita dei materiali, perché nella ricerca di base cerchiamo di ottenere delle interfacce ordinate di cui conosciamo tutto da un punto di vista strutturale. Si tratta di una grande differenza rispetto alle celle solari funzionanti, che vengono realizzate per soluzione e dove quindi non c’è un vero controllo sull’interfaccia e nel caso di studi spettroscopici non è facile modellizzare cosa accade nel materiale. Per questo motivo gran parte del tempo è dedicato alla preparazione dei campioni”.

Dalla ricerca di base alle celle solari del futuro

Il passaggio dalla ricerca di base svolta in istituti come il Cnr-Iom alla produzione di celle solari del futuro con materiali organici semiconduttori non è semplice, tantomeno sarà veloce. Tuttavia, sottolinea la Dell’Angela, i motivi per continuare su questa strada sono molti e validi: “Lo studio di materiali organici ha avuto un forte sviluppo negli anni 2000, poi è stato abbandonato per la scarsa efficienza energetica dimostrata.

La scoperta del fenomeno della singlet fission, che aumenta quindi l’efficienza e l’energia elettrica trasportata, ha riacceso l’interesse verso i materiali organici. Per questo motivo oggi diversi studi si basano sulla caratterizzazione di materiali organici, come il pentacene nel nostro caso o le perovskiti nel caso di altri studi, dove però i limiti della crescita del campione da analizzare sono paragonabili. Quel che è certo è che oggi l’interesse è grande e si investe molto su questi che possono essere i materiali del futuro”.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Veronica Nicosia
Aspirante astronauta, astrofisica per formazione, giornalista scientifica per passione. Laureata in Fisica e Astrofisica all'Università La Sapienza, vincitrice del Premio giornalistico Riccardo Tomassetti 2012 con una inchiesta sull'Hiv e del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Giancarlo Dosi 2019 nella sezione Under 35. Content manager SEO di Cultur-e, scrive di scienza, tecnologia, salute, ambiente ed energia. Tra le sue collaborazioni giornalistiche Blitz Quotidiano, Oggiscienza, 'O Magazine e Il Giornale.