ATTUALITÀ

Il senso delle parole

Nel raccontare un fatto di cronaca come la morte di Davide Vannoni, bisogna pensare due volte alle parole usate (e rileggere quello che si è scritto)

Scienziato. Scienziato politico. Scienziato e politico. Comunicatore.

La morte di Davide Vannoni, avvenuta il 9 dicembre 2019, ha riportato alla ribalta la vicenda Stamina, con tutto il bagaglio di notizie, false speranze e aule di tribunale che si porta al seguito dal 2009 circa.

Che cos’è stato Stamina per una parte della stampa? Nient’altro che un “Di Bella 2.0”, il rilancio dell’idea che la cura miracolosa esiste ed è alla portata di tutti ma osteggiata da molti. Ha fatto notizia per molti anni e dopo la condanna per frode del 2015 e l’incarcerazione di Vannoni nel 2017 per aver ripreso le sue cure in Georgia, un po’ se ne erano perse le tracce. La notizia della morte del fondatore della Stamina Foundation ha scoperchiato di nuovo il vaso di Stamina.

Che cos’è successo ieri a poche ore dalla morte del protagonista della vicenda? Vannoni è stato definito in molti modi tra cui scienziato (politico), spero per la sola fretta di pubblicare la notizia della sua morte.

Ma proprio questo è il punto! La fretta di pubblicare la notizia non ha lasciato il tempo per informarsi sulla storia. Beninteso, non tutto quello che è stato scritto è sbagliato, ci mancherebbe, ma se una testata con un bacino di lettori importante esce con “Vannoni, scienziato politico” ha come conseguenza quella di generare una disinformazione enorme. Ultimamente abbiamo visto tante volte la scienza fare notizia quando ci sono in ballo questioni politiche e socialmente controverse, ma non bisogna dimenticare che la Scienza, e tutto ciò che la riguarda, non è un’ancella, una semplice e allo stesso tempo complessa cornice di veridicità e garanzia di sicurezza; è – per dirla con Leopardi – il modo migliore per spiegare il mondo e nell’epoca che viviamo, quella della post-verità, è di vitale importanza pensare al senso delle parole usate.

La velocità di uscita delle notizie non deve prescindere dalla sana e robusta ricerca delle informazioni che si vogliono far passare. Se ieri si è letto che Vannoni era uno scienziato, o laureato in scienze politiche (quando invece era laureato in Scienze delle comunicazioni!) il rischio che si è corso è stato di raccontare una parte della storia in modo fasullo, senza rendersi conto dei problemi annessi e connessi a raccontare cose non-vere di questa vicenda molto delicata.

Inutile raccontarvi che cos’è (o è mai stato) il metodo Stamina. Giusto per rispolverare la memoria basta un Bignami edizione Stamina: Vannoni e sodali (tra cui il pediatra del Burlo Garofalo di Trieste Marino Andolina) erano certi di poter curare centinaia di patologie, rare e non, con la semplice iniezione di cellule staminali, per la precisione staminali mesenchimali che opportunamente trattate con acido retinoico ed etanolo erano in grado di trasformarsi in neuroni e riparare i danni causati da malattie neurodegenerative. Fine. Nulla più e nulla meno di un coniglio nel cappello che è saltato fuori dopo che lo stesso Vannoni ha subìto un trattamento simile in Ucraina a seguito di una emiparesi facciale. Il problema era la totale mancanza di dati scientifici a supporto della tesi.

La vicenda balza agli onori della cronaca quando Le Iene mandano in onda, nel marzo 2013, un servizio sulla storia di Sofia, una bambina di tre anni affetta da leucodistrofia metacromatica, deceduta poi nel 2017. Nel servizio si parla di Stamina come di una cura compassionevole, un trattamento che non ha ancora ricevuto l’approvazione dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) perché ancora in fase di sperimentazione. Ma alla base di un trattamento terapeutico in fase di sperimentazione c’è tanta letteratura scientifica e tanti dati. Stamina non aveva ne’ dati, ne’ letteratura e tanto meno una sperimentazione regolare avviata.

E così parte il carrozzone mediatico. Personaggi dello show business che mettono la faccia e la voce per salvare la vita dei bambini, folle di familiari di pazienti e gente solidale che riempiono le piazze gridando di sbloccare la burocrazia e rendere il trattamento libero e accessibile a chi ne aveva bisogno.

Nel frattempo gli scienziati dicono la loro: (non) dati alla mano, il metodo Stamina è inefficace e potenzialmente pericoloso. Nel 2013 arriva anche l’inchiesta di Nature che accusa Vannoni e la sua Onlus di frode scientifica e plagio. Ma niente, si continua a parlare di Stamina e per la pressione dell’opinione pubblica nel maggio 2013, con la firma del decreto Balduzzi, si dà il via libera alla sperimentazione clinica, che per la mancanza di basi scientifiche non è mai partita. Tra il 2014 e il 2015, con l’incalzante comunità scientifica internazionale che demoliva il metodo Stamina e svariati procedimenti giudiziari, Vannoni, Andolina e altri cinque imputati vengono condannati per associazione a delinquere a scopo di truffa.

Stamina è solo una delle ultime vicende che costellano il panorama delle cure miracolose nella storia della medicina. Il già citato metodo Di Bella, basato sulla somministrazione di un composto di farmaci e vitamine per curare il cancro, ha anticipato di dieci anni il copione di Stamina più o meno alla lettera. Possiamo quindi dire che non abbiamo imparato nulla? Non mi sento di concludere in modo così pessimista. In fin dei conti, è vero che oggi è sempre più facile incappare in false notizie e bufale di ogni genere, ma ci stiamo anche costruendo una coscienza nuova per analizzare una notizia scientifica, con molti strumenti e voci che si mettono in gioco per evitare di nuovo l’isteria popolare che ha connotato Di Bella prima e Stamina poi.

Non nego però che la voce pessimista nella mia testa mi dice che c’è ancora molta strada da fare.


Leggi anche: Metodo Stamina: non è ancora finita

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Immagine: Robert M. Hunt / Wikipedia

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Serena Fabbrini
Storica della scienza di formazione, dopo un volo pindarico nel mondo della filosofia, decido per una planata in picchiata nella comunicazione della scienza. Raccontare storie è la cosa che mi piace di più. Mi occupo principalmente di storie di donne di scienza, una carica di ispirazione e passione che arriva da più lontano di quanto pensiamo. Ora dedico la maggior parte del mio tempo ai progetti di ricerca europei e alla comunicazione istituzionale.