Nanotubi di carbonio come sorgenti di terahertz
Uno dei problemi più impegnativi e ancora aperti della fisica contemporanea è riuscire a creare una fonte affidabile di terahertz. I nanotubi di carbonio sono strutture abbastanza promettenti in questo campo
I terahertz sono onde elettromagnetiche che occupano la parte di spettro compresa tra gli infrarossi e le microonde e hanno lunghezza d’onda attorno al micrometro. Hanno una serie di proprietà uniche e interessanti che li rendono molto promettenti nel campo della medicina, della bioingegneria, dell’astronomia, del monitoraggio ambientale e delle comunicazioni. Infatti, con i terahertz è possibile ottenere una risoluzione spaziale molto buona per il rendering di immagini di qualità, riescono a penetrare in un’ampia varietà di materiali (indumenti, carta, cartone, legno, muratura, plastica, ceramica) e sono innocui dal punto di vista biologico.
Tuttavia siamo ancora lontani dalla reale applicazione tecnologica e industriale della radiazione terahertz a causa della mancanza di sorgenti sufficientemente intense.
Stefano Dal Forno è a Singapore per studiare le proprietà di trasporto degli elettroni all’interno dei nanotubi di carbonio: l’obiettivo della ricerca di Dal Forno è riuscire a individuare un meccanismo efficiente per la produzione di radiazioni terahertz.
Nome: Stefano Dal Forno
Età: 32 anni
Nato a: Latisana (UD)
Vivo a: Singapore
Dottorato in: fisica (Londra)
Ricerca: Le proprietà del trasporto elettronico guidato dall’accoppiamento eccitoni-fononi in nanotubi di carbonio
Istituto: Nanyang Technological University (Singapore)
Interessi: fare sport (nuoto), leggere, musica, andare ai concerti, suonare la batteria
Di Singapore mi piace: il tempo, la gente è molto socievole, il cibo
Di Singapore non mi piace: lo shock culturale può essere molto importante
Pensiero: Chi cerca trova, chi ricerca ritrova.
Come si possono usare i nanotubi di carbonio per produrre radiazioni terahertz?
Attualmente non ci sono molti materiali né metodi o apparecchiature in grado di produrre queste radiazioni in maniera efficiente.
Una delle ultime tendenze nella tecnologia terahertz è quella di utilizzare i nanotubi di carbonio come elementi costitutivi di nuovi dispositivi ad alta frequenza. I nanotubi di carbonio sono oggetti monodimensionali di forma cilindrica con un diametro nell’ordine dei nanometri e una lunghezza di micrometri. Dal punto di vista molecolare, sono fatti da esagoni di atomi di carbonio ripiegati in forma di filamento ed è proprio questa combinazione a conferire una serie di proprietà elettroniche uniche e utili nella creazione di nuovi dispositivi nanoelettronici.
Recentemente si è scoperto che alcuni nanotubi di carbonio, in un determinato ambiente e illuminati in certe condizioni, riescono a generare terahertz a partire da luce visibile.
Il mio progetto di ricerca vuole descrivere, in maniera teorica, il meccanismo per cui da un laser ottico che colpisce i nanotubi possa uscire della luce terahertz. Per fare ciò, il primo passo è cercare di prevedere e descrivere come gli elettroni navigano all’interno dei materiali solidi e quali sono le proprietà di trasporto.
Che tipo di modello teorico usi?
In fisica della materia ci sono moltissimi modelli che descrivono il moto degli elettroni nei materiali e usano diversi gradi di approssimazioni a seconda del tipo di materiale preso in esame. Purtroppo ogni approssimazione è valida per quello specifico materiale e non funziona per gli altri, quindi ogni volta bisogna cambiare le funzioni di movimento degli elettroni.
Nella mia ricerca usiamo come modello l’equazione di Boltzmann che descrive come i portatori di carica si muovono all’interno di materiali complicati. È un’equazione molto generale che si può sfruttare addirittura per fare le previsioni del tempo ma, a seconda dei parametri che si inseriscono, si può ottenere un modello molto preciso e trovare soluzioni specifiche. Nel mio caso inserisco il tipo di nanotubi di carbonio, come sono fatti gli elettroni, il tipo di luce di partenza (visibile) e quella che deve uscire (terahertz) e uso l’equazione per fare piccole approssimazioni matematiche e prevedere come gli elettroni si spostano e possano produrre radiazioni.
Quali sono le caratteristiche dei nanotubi che inserisci nell’equazione?
Si tratta della loro struttura a bande, cioè dell’insieme di livelli energetici possibili o impossibili per gli elettroni in un certo materiale. Per calcolare la struttura a bande dei nanotubi si parte innanzitutto mettendo gli atomi di carbonio su strutture esagonali e valutando come si muovono i singoli elettroni all’interno di ciascun atomo. Poi si devono combinare tutti gli atomi nella loro geometria, mettendoli in fila a formare il nanotubo, e prevedere come gli elettroni si spostano dentro i singoli nanotubi. Dal movimento finale degli elettroni si ottiene la struttura a bande ed è questo parametro che inserisco nell’equazione di Boltzmann.
Anche con il parametro della luce faccio la stessa cosa: prendo i fotoni, so come si muovono nel vuoto e cerco di capire il loro moto all’interno del nanotubo. A questo punto inserisco la struttura a bande dei fotoni dentro all’equazione di Boltzmann.
Il tutto viene elaborato dal computer e, poiché i calcoli sono complicati e fatti da integrali che convergono molto difficilmente, ci vogliono macchine molto potenti e diversi giorni per ottenere un risultato.
Ci sono altri modi per produrre radiazioni terahertz?
Ci sono meccanismi che partono da diversi materiali bidimensionali incollati uno sopra l’altro e con un laser che illumina inizialmente uno di questi materiali e poi tutti gli altri. I terahertz si ottengono dalle correnti di spin degli elettroni presenti nei vari strati.
Per i nanotubi il meccanismo è completamente diverso e si basa sull’accoppiamento tra gli eccitoni, cioè coppie di elettroni eccitate dalla luce in ingresso, e i fononi, cioè le particelle di suono generate dalle vibrazioni dei nanotubi.
Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Risolvere l’equazione di Boltzmann è una cosa che fanno pochissime persone in tutto il mondo perché è davvero molto complicata; il mio laboratorio ha proposto un metodo promettente per farlo ma per momento sono ancora nella fase di individuare i parametri da inserire senza far “esplodere” il computer.
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