Internet quantistica non hackerabile sempre più vicina
I ricercatori di Harvard e del MIT hanno trovato "l’anello mancante": un ripetitore quantistico che trasmette i qubit senza "perderli"
Inviare messaggi non hackerabili, aumentare la sicurezza dei sistemi GPS e abilitare il calcolo quantistico direttamente in cloud. Queste sono tre delle potenzialità che l’internet quantistica promette ai suoi utenti da oltre 20 anni, ma le difficoltà di trasmettere il segnale senza registrare perdite sulle lunghe distanze a oggi l’ha resa irrealizzabile.
Un passo avanti nella realizzazione di una rete internet quantistica che possa essere anche “pratica” e quindi liberamente fruibile viene dai ricercatori guidati da Mikhail Lukin dell’università di Harvard e del Massachussetts Institute of Technology (MIT). In uno studio pubblicato sulla rivista Nature, Lukin e colleghi mostrano il loro prototipo di nodo quantistico che è in grado di catturare, archiviare e trasmettere i qubit, cioè bit di informazione quantistica, che riceve.
Un ripetitore che rappresenta il vero e proprio “anello mancante” per il passaggio da un’internet quantistica di ricerca e una rete “pratica”, cioè utilizzabile da tutti gli utenti”, e che si sviluppa su lunghe distanze.
Lukin, professore di fisica George Vasmer Leverett e co-direttore dell’Harvard Quantum Initiative, ha spiegato: “Lo studio rappresenta una svolta concettuale che potrebbe estendere la portata delle reti quantistiche e permettere molte nuove applicazioni che al momento non sono possibili con le attuali tecnologie esistenti. Si tratta della realizzazione di un obiettivo che la comunità scientifica e ingegneristica insegue da oltre due decenni”.
Rete classica vs rete internet quantistica: il problema del ripetitore
Uno dei problemi principali dello sviluppo di una rete internet quantistica riguarda la propagazione del segnale. Pensiamo alle tecnologie di comunicazione, dal primo telegrafo fino alla moderna rete internet in fibra ottica: i segnali che vengono inviati si degradano e rischiano di andare persi durante la trasmissione su lunghe distanze.
Per questo motivo nelle reti sono presenti dei ripetitori, cioè dispositivi che ricevono e amplificano il segnale, correggendo quindi la degradazione e l’eventuale perdita. I primi ripetitori furono utilizzati già nella metà dell’Ottocento per i segnali telegrafici e ora sono una parte integrante delle moderne infrastrutture di comunicazione su lunga distanza.
Immaginiamo una rete classica, se invio un messaggio da Milano a Roma, questo viaggerà più o meno in linea retta seguendo i cavi della fibra ottica. Lungo il suo viaggio, il segnale passerà attraverso dei ripetitori dove sarà letto, amplificato e propagato dopo aver corretto le eventuali perdite dovute alla degradazione. Un processo che è vulnerabile in ogni nodo della rete, dove il messaggio può essere intercettato o hackerato.
Immaginiamo ora una rete quantistica. Per inviare il segnale da Milano a Roma si utilizzano delle particelle quantistiche di luce, ovvero singoli fotoni, sfruttando il fenomeno dell’entanglement che Albert Einstein chiamava “azione spettrale a distanza”, affinché i qubit siano correlati lungo ogni distanza. Sappiamo che, osservare un sistema quantistico implica cambiarlo, quindi il messaggio inviato da Milano a Roma non potrà essere intercettato e hackerato senza che l’osservatore ne cambi il contenuto. Le stesse leggi della fisica quantistica, quindi, garantiscono la sicurezza e sono alla base di applicazioni come la criptografia quantistica.
Se una rete quantistica è ultra-sicura proprio grazie all’entanglement, allo stesso tempo è limitante visto che i ripetitori “classici” della rete già esistente non sono in grado di propagare il fotone, perché “leggendolo” denigrerebbero il segnale perdendo le informazioni.
Un ripetitore quantistico per i fotoni
Ma come amplificare e correggere un segnale se non puoi nemmeno leggerlo? I ricercatori hanno iniziato a studiare i prototipi di un ripetitore quantistico che fosse in grado di creare una rete di particelle correlate tra loro attraverso il fenomeno dell’entanglement, e che quindi permettessero la trasmissione del messaggio.
Il risultato finale è stato lo sviluppo di un piccolo computer quantistico che ha uno scopo speciale, cioè quello di agire come un ripetitore quantistico. A ogni stadio della rete quantistica, il dispositivo deve essere in grado di catturare i fotoni, processare i qubit di informazione per correggere eventuali errori e archiviarli abbastanza a lungo da consentire al resto della rete di essere pronta per la trasmissione del segnale quantistico.
Fino a oggi ottenere un dispositivo che fosse in grado di raggiungere questi obiettivi è stato impossibile per due motivi. Il primo è che i singoli fotoni sono estremamente difficili da catturare. Il secondo è che le informazioni quantistiche sono fragili, quindi i metodi di processazione e archiviazione per lunghi periodi di tempo sono difficili da ottenere.
Proprio su queste due sfide si è concentrato il laboratorio guidato da Lukin, che ha collaborato con i ricercatori di Marko Loncar, professore di ingegneria elettronica ad Harvard, Hongkun Park, professore di chimica ad Harvard, e Dirk Englund, professore di ingegneria elettronica e informatica al Massachusetts Institute of Technology (MIT), per sviluppare una tecnologia che riuscisse a soddisfare entrambi i requisiti.
I ricercatori si sono concentrati su dei piccoli difetti della struttura atomica del diamante, chiamati centri di colore, che sono in grado di assorbire e irradiare luce e che regalano ai diamanti i loro colori brillanti. In particolare, si sono concentrati sui centri di colore del silicio vacante nel diamante: i ricercatori hanno lavorato per anni per comprendere e controllare questi “difetti”, per cercare di utilizzarli come dispositivi di memoria quantistica per singoli fotoni.
Sfruttando una cavità nanofabbricata nel diamante, i fotoni vengono confinati in essa e forzati a interagire con il singolo centro di colore che vi è contenuto. Poi, il dispositivo è stato posizionato in un refrigeratore a diluzione, che raggiunge temperature prossime allo zero assoluto, e i singoli fotoni sono stati inviati attraverso cavi di fibra ottica nel refrigeratore, dove sono stati catturati e intrappolati efficientemente nel centro di colore.
In questo modo, il dispositivo è in grado di immagazzinare informazioni quantistiche per tempi dell’ordine del millisecondo, cioè abbastanza a lungo affinché esse siano trasportate per migliaia di chilometri. La presenza di elettrodi nel ripetitore quantistico permette inoltre di consegnare segnali di controllo, processare e preservare le informazioni che sono immagazzinate nella memoria.
Dal prototipo all’internet quantistica
Il dispositivo sviluppato dai ricercatori di Harvard e del MIT è in grado di combinare i tre elementi più importanti per la creazione di un ripetitore quantistico: immagazzinare le informazioni in memoria per un tempo sufficientemente lungo, catturare le informazioni dai fotoni e processarle localmente.
Tre sfide che negli ultimi 20 anni sono state affrontate separatamente e che, per la prima volta, vengono combinate insieme, come spiega Lukin: “Il progetto combina le più avanzate tecnologie di nanofabbricazione, fotoniche e controllo quantistico a livello di sistema di cui oggi disponiamo e ci mostra i vantaggi che la comunicazione di informazioni attraverso i nodi di ripetitori quantistici può offrirci. Non ci resta che esplorare le nuove applicazioni, che sono uniche nel loro genere, che queste tecniche ci offrono”.
Ora che l’anello mancante della rete internet quantistica è stato individuato, il prossimo passo sarà quello di trovare un modo per implementare le memorie quantistiche in una rete reale e urbana, come ad esempio la già presente fibra ottica. In questo modo, sarà possibile creare una rete quantistica estesa che permetterà di esplorare le prime applicazioni per la vera e propria nascita di un’internet quantistica, che non è mai stata così vicina.
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Fotografia: Kris Snibbe/Harvard Staff Photographer