AMBIENTELIBRI

Storie di clima. Testimonianze dal mondo sugli impatti dei cambiamenti climatici

Per capire le conseguenze del riscaldamento globale dobbiamo andare oltre i grafici e ascoltare le storie di chi le sta già vivendo, dal quotidiano agli eventi estremi.

Lo si ripete da tempo: abbiamo sempre più dati, ma ancora ci manca una narrazione del cambiamenti climatici. Lo scrittore Amitav Ghosh lo ha detto chiaramente: la scienza da sola non basta, dobbiamo raccontare e raccontarci, perché quello che succede al pianeta ci riguarda tutti.

Qualcosa si sta muovendo. Lo stesso Amitav Ghosh ha scritto il saggio La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile (Neri Pozza, 2017), mentre l’italiano Bruno Arpaia ha scelto la climate fiction, scrivendo il romanzo Qualcosa, là fuori (Guanda, 2016), ambientato in un prossimo futuro. Sempre tra i narratori quest’anno si segnala l’uscita di Quando qui sarà tornato il mare (Alegre, 2020), dove il collettivo Moira dal Sito ha immaginato come cambierà il basso ferrarese, un territorio molto minacciato dall’avanzata del mare.

Un altro modo di comunicare

E la divulgazione? Purtroppo il tema dei cambiamenti climatici continua a essere scarsamente considerato, specialmente da questa prospettiva. Colgono la sfida Roberto Barbiero (climatologo e divulgatore scientifico) e Valentina Musmeci (giornalista e fotografa) con Storie di clima. Testimonianze dal mondo dei cambiamenti climatici (Ediciclo, 2020).

Il libro non contiene i grafici a cui siamo già abituati e, forse, un po’ assuefatti. Del resto l’Abc del surriscaldamento globale è, o dovrebbe essere, noto a tutti (persino ai negazionisti). Dopo la prefazione di Luca Mercalli, gli autori introducono il libro raccontando cosa è successo dall’accordo di Parigi di cinque anni fa a oggi e quello che c’è ancora da fare. Come per la pandemia, sia le cause che le conseguenze dei cambiamenti climatici non sono equamente distribuite. Dietro quelli che sembrano pochi gradi si nascondono lotte per la sopravvivenza che sono già in corso sul pianeta.

Nei capitoli successivi gli autori ci portano in giro per il mondo con una serie di interviste fatte a persone che, per geografia, scelta o professione, sono già sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici. Una lotta che, diventa chiaro nella lettura, va di pari passo con molte altre, dalla giustizia sociale alla difesa del territorio. Del resto “think global, act locally” è un motto storico dell’attivismo ambientale che ora è più che mai valido, visto che la mitigazione dei cambiamenti climatici e gli altri traguardi dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile richiede di considerare entrambe le dimensioni.

Le sentinelle del cambiamento

Conosciamo così, tra gli altri, uno biologo marino che in Sicilia spiega l’importanza delle praterie di Posidonia oceanica minacciate dal riscaldamento del mediterraneo, un piccolo mare in cui le fluttuazioni sono più marcate. Queste foreste, anche se ce lo dimentichiamo, sono un polmone dei mari, proteggono le spiagge dall’erosione, ospitano una parte del ciclo di vitale del 25% dei pesci commerciabili. E, al pari delle foreste sulla terraferma, sono serbatoi per lo stoccaggio di anidride carbonica.

Diversi agricoltori, dall’Italia all’America Latina, raccontano invece come è cambiato il loro lavoro man mano che le stagioni hanno cominciato a cambiare. Una constatazione comune è che il mercato ha imposto via via nei vari territori le coltivazioni più redditizie nel breve termine, ma siccità, inondazioni, nuovi infestanti ora costringono a cercare colture e modelli di coltivazione e vendita più resilienti e in grado di mantenere il lavoro remunerativo.

In Spagna invece una giovane giornalista racconta la precaria condizione delle braccianti stagionali marocchine, che lavorano in particolare nei campi di fragole spagnole. Sono 40.000 persone sottopagate e sfruttate senza le quali il settore non sopravvivrebbe, e i cambiamenti climatici in entrambi i paesi non fanno che esacerbare le disuguaglianze.

Anche Libano un’attivista dello Arab Youth Climate Movement spiega che nella sua regione gli impatti dei cambiamenti climatici sono molto evidenti. I flussi migratori provenienti dalla Siria sono dovuti anche agli effetti della tremenda siccità sui raccolti tra il 2007 e il 2010, che ha contribuito allo scoppio della guerra civile. Ma la siccità ha colpito anche il Libano, dove l’urbanizzazione ha accelerato a causa dell’abbandono dei campi. Qui come altrove l’accesso all’acqua è diventato un serio problema. Come se non bastasse, la nostra Eni rischia di destabilizzare ulteriormente la regione cercando gas naturale in un territorio conteso tra Israele e il Libano.

Il reportage fotografico a cura di Valentina Musmeci entra invece nelle terre dei Navajo e dei Sami. Territori e climi molto diversi tra loro, ma accomunati dalla volontà delle persone di mantenersi e mantenere gli ecosistemi che hanno sempre abitato.

Perché ci servono le storie

Diversa pubblicistica in circolazione sui cambiamenti climatici fantastica di pallottole d’argento, cioè soluzioni regalate dalla ricerca scientifica che dovrebbero risolvere il problema. Questa prospettiva non é né realistica, né storicamente solida. Basta pensare alla crisi generata da Covid-19. I vaccini sono sì un traguardo scientifico epocale, ma per guarire un mondo in recessione economica servirà molto altro. Il cambiamenti climatici causati dalle attività dell’uomo, così come le altre crisi ambientali del nostro tempo (se volete, chiamatelo pure Antropocene) da tempo non sono più teoria, e invertirne la rotta è una questione politica ed economia, non solo tecnico-scientifica.

Ma, come quando guardavamo spavaldi le immagini da Wuhan in lockdown, evidentemente non siamo particolarmente bravi a riconoscere le prime avvisaglie di cambiamenti epocali. Per questo le parole di chi sta già vivendo il cambiamento climatico sono importanti.

I lettori scettici potrebbero storcere il naso di fronte alle opinioni espresse in alcune interviste, per esempio quando un’agricoltrice tesse le lodi dell’agricoltura biodinamica. Gli autori le fanno presente l’assenza di prove scientifiche, ma per lei il metodo funziona. Per l’argomento di cui dobbiamo e dovremo discutere sempre di più, cioè il cambiamento climatico, la storia di questa agricoltrice trentina ha comunque valore. Non dobbiamo essere d’accordo al 100% con le posizioni espresse da ognuna delle diverse persone intervistate: non sarebbe possibile, né produttivo. Ma possiamo imparare ad ascoltare. E riconoscere che sul territorio molti movimenti si stanno organizzando, parlando di cambiamento climatico più di quanto abbiano mai fatti i nostri giornali. E magari potremmo partecipare, tenendo conto che le contraddizioni sono ovunque, persino nella scienza.


Leggi anche: Le notizie più importanti del 2020 per clima e ambiente

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, mi sono formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrivo abitualmente sull’Aula di Scienze Zanichelli, Wired.it, OggiScienza e collaboro con Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione. Ho scritto col pilota di rover marziani Paolo Bellutta il libro di divulgazione "Autisti marziani" (Zanichelli, 2014). Su twitter sono @Radioprozac