CERVELLI ARTIFICIALI

Muoversi davanti allo schermo con l’exergaming

Il mercato dei videogiochi nei quali il giocatore deve muoversi attivamente è florido: tecnologie utili per motivare i più pigri a fare attività casalinga, mentre si divertono. Ma possono essere usate anche nelle cliniche, per ottimizzare le sedute di riabilitazione.

Il primo exergaming della storia, Dance Dance Revolution, funzionava a tempo di musica. Per ottenere punti si dovevano schiacciare con i piedi quattro frecce luminose su una pedana, seguendo le indicazioni del monitor collegato. Quegli improbabili balletti che andavano in scena nelle sale giochi di mezzo mondo tra la fine degli anni ‘90 e primi 2000, oggi sono considerati il preludio del filone di sviluppo di videogame collegati al fitness.

La motivazione è tutto

Il termine exergaming deriva dall’unione di “exercise” e “gaming” e indica tutti quei videogiochi che prevedono lo svolgimento di attività fisica. Funzionano grazie a diversi tipi di sensori, che registrano i movimenti compiuti dal giocatore e li riproducono nel gioco. La prima a portare la palestra nei salotti delle case è stata Nintendo con la Wii nel 2006, seguita poi da Microsoft Kinect (abbinato alla XBox).

La filosofia dietro a questi giochi era semplice ma al tempo stesso interessante: visto che la sedentarietà rappresenta una seria minaccia per la salute e che le persone trascorrono sempre più ore davanti allo schermo, si può provare a sfruttare questo tempo per fare esercizio fisico. 

L’intuizione si è poi rivelata vincente. Diversi studi hanno dimostrato effetti positivi sulla salute di chi li utilizza e la chiave del successo sarebbe da ricercare nell’aspetto ludico e motivazionale. In altre parole: siccome chi li usa si diverte e raggiunge degli obiettivi di gioco, sarà portato a giocare (e quindi a muoversi) con costanza e sempre di più. 

La pandemia ha dato un’ulteriore spinta. Come riportano i blog di settore, l’utilizzo di videogiochi è esploso durante il lockdown. Nella settimana più critica di marzo 2020, in Italia si è arrivati anche a un aumento di quasi il 180% delle vendite di giochi fisici.

Da gioco a strumento riabilitativo

Il fenomeno non poteva sfuggire al mondo della riabilitazione. “È stata una grande novità. Anche noi ricercatori abbiamo iniziato a guardare con interesse questo mondo fin dall’inizio”, spiega a OggiScienza Luca Marin. Marin è membro del Laboratorio di attività motoria adattata (LAMA) dell’Università di Pavia e coordinatore dell’area riabilitativa dell’Istituto di Cura Città di Pavia; utilizza gli exergaming ormai da molti anni e in vari contesti, dalla riabilitazione dopo un intervento chirurgico al supporto per la perdita di peso.

Il prezzo relativamente basso unito alla facilità di trasporto aveva reso la Wii protagonista assoluta dei primi studi: “All’inizio la usavamo tutti. Era stato coniato addirittura un nuovo termine, wii-habilitation”. 

Tuttavia, con il tempo sono saltati fuori tutti i limiti dell’uso medico di un oggetto pensato principalmente per fini ludici. “Il gioco non era strutturato per adattarsi al contesto e a volte costringeva il paziente a fare movimenti per lui troppo difficili o comunque non in linea con il percorso pensato dai riabilitatori”. 

Videogame in clinica

A un certo punto alcune aziende hanno iniziato a sviluppare videogame specifici per l’utilizzo clinico. Non più giochi rivolti a giovani adulti desiderosi di ritrovare la forma fisica senza uscire di casa, ma veri e propri strumenti di riabilitazione, pensati anche per persone anziane e con patologie croniche.

“In questo momento, per esempio, stiamo lavorando in ambito clinico con persone che hanno subìto interventi di protesi di anca e ginocchio e anche con pazienti affetti da scoliosi”, spiega Marin. Ma basta scorrere la produzione scientifica nell’ambito (che ormai è davvero molto ricca), per capire come gli utilizzi possano spaziare dai pazienti neurologici ai bambini con gravi problemi di obesità.

“Il vantaggio è duplice. Il paziente è più motivato ed ha maggiori probabilità di raggiungere i risultati sperati. Il ricercatore può seguire i traguardi raggiunti e misurarli per avere un riscontro oggettivo, perché queste tecnologie sono anche in grado di restituire dei dati, per esempio sul livello di ampiezza di un movimento”. 

Un fatto interessante è che l’approccio sembra non cambiare con l’età. “Ci siamo accorti che anche chi è scarsamente alfabetizzato nell’uso delle tecnologie riesce a utilizzare i videogiochi in autonomia senza troppe difficoltà”, conclude Marin.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Pixabay

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Viola Bachini
Mi occupo di comunicazione della scienza e della tecnologia. Scrivo su giornali e riviste, collaboro con case editrici di libri scolastici e con istituti di ricerca per la comunicazione dei risultati al grande pubblico. Ho fatto parte del team che ha realizzato il documentario "Demal Te Niew", finanziato da un grant dello European Journalism Centre e pubblicato in italiano sull'Espresso (2016) e in spagnolo su El Pais (2017). Sono autrice del libro "Fake people - Storie di social bot e bugiardi digitali" (Codice - 2020).