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Tre voci ci raccontano le Marie Curie Actions

In occasione della Notte Europea dei ricercatori del prossimo 24 settembre questa settimana racconteremo alcune storie particolari, di scienza, di ricercatrici e di ricercatori.

Lo scorso 21 giugno la Commissione Europea ha annunciato i nuovi bandi a sostegno della formazione e dello sviluppo delle competenze e della carriera dei ricercatori nell’ambito del Marie Skłodowska-Curie Actions’ (MSCA), il programma faro dell’UE per il finanziamento di dottorati e formazione post-dottorato.

Cosa sono le MSCA

Inaugurato nel 1990 e rinominato ‘Marie Skłodowska-Curie Actions’ nel 1996, il programma contribuisce all’eccellenza della ricerca, stimolando l’occupazione, la crescita e gli investimenti, dotando i ricercatori di nuove conoscenze e competenze e fornendo loro esperienza internazionale e intersettoriale per essere così pronti alle future sfide della ricerca e del mondo del lavoro.

Tra il 2014 e il 2020 il programma ha sostenuto oltre 65000 ricercatori provenienti dall’Europa e da altri paesi, tra cui 25000 dottorandi. Ha poi finanziato più di 1000 programmi di dottorato internazionali e ha stimolato le relazioni tra il mondo accademico e l’industria, con la partecipazione di 4700 imprese. Nello stesso periodo, più di 8450 organizzazioni di oltre 130 paesi hanno partecipato alle azioni MSCA.

La linea di finanziamento si articola in quattro diverse azioni: le ‘Individual Fellowships’ sono rivolte ai ricercatori migliori e più promettenti, che abbiano già dimostrato l’eccellenza nel loro campo di studio. Poi ci sono le ‘Innovative training network’, destinate ai dottorati e ai ricercatori nelle prime fasi di carriera.

Le ‘Research and innovation staff exchange’ sono invece volte a sostenere la collaborazione intersettoriale e internazionale a livello europeo, attraverso scambi del capitale umano d’eccellenza, promuovendo così la creazione di una cultura condivisa della ricerca e dell’innovazione. E infine le ‘Co-funding of programmes’ che supportano i programmi di dottorato e fellowship cofinanziati a livello regionale, nazionale e internazionale.

La situazione italiana

“Da quanto è stato istituito 25 anni fa, il programma ha incoraggiato sempre più donne e uomini a intraprendere una carriera nell’ambito della ricerca, rendendo l’Europa una meta attrattiva per i migliori talenti provenienti da tutto il mondo” ha spiegato in una recente intervista la Commissaria per l’Innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e i giovani, Mariya Gabriel.
Un modello vincente insomma. Non a caso il PNRR italiano prevede un investimento di 600 milioni di euro proprio per progetti per giovani ricercatori. “L’obiettivo è consentire loro di maturare una prima esperienza di responsabilità di ricerca e offrire un’alternativa al trasferimento all’estero, che sempre più spesso i nostri ricercatori vedono come unica possibilità per proseguire la loro carriera”, ha detto il ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa.

Anche perché il nostro paese non se la cava male. Nel bando 2020 sono stati 234 i vincitori italiani di una borsa Marie Skłodowska-Curie Actions: la nostra è quindi la nazionalità più rappresentata tra i 1.630 ricercatori a cui l’Ue ha assegnato complessivamente 328 milioni di euro.

Senza dimenticarci poi di quei ricercatori stranieri che decidono di venire in Italia con la propria borsa: con l’ultimo bando ne sono arrivati oltre sessanta.

Dietro a progetti e finanziamenti ci sono ragazzi e ragazze

Le borse Marie Curie si traducono in progetti e idee ma dietro provette, manoscritti e biblioteche ci sono ragazzi e ragazze che hanno fatto della ricerca la propria vita. Per questo anche quest’anno SHARPER – Notte Europea dei Ricercatori darà ampio spazio a questi ricercatori con talk, seminari, dimostrazioni nei laboratori.

Per OggiScienza, mediapartner dell’evento, ne abbiamo incontrati tre, che rappresentano settori e mondi diversi.
Maria Bostenaru Dan dell’Università di Architettura e Urbanistica “Ion Mincu” che ha deciso di fare ricerca a Pavia, incentrando la propria indagine sulle possibili conseguenze dei terremoti sul patrimonio artistico italiano. Antonino Runci, che lavora all’università di Zagabria sui geopolimeri, e Angela Bernard, che all’università La Sapienza di Roma studia l’immigrazione copta in Europa.

Come è cambiata la vostra vita da ricercatori una volta ottenuto questo tipo di finanziamento?

Maria: Avevo già vinto una borsa Marie Curie ma in Germania. Quando sono arrivata a Pavia mi sono trovata invece in un ambito completamento diverso rispetto a quello tedesco, più internazionale, in cui gravitavano tante persone da tutto il mondo, ma non ho avuto tempo per dedicarmi a loro e alla città. Avevamo la possibilità di viaggiare certo, ma poi una volta in istituto finivo per dedicarmi esclusivamente ai miei studi.

Angela: Prima di ottenere la borsa Marie Curie avevo la sensazione che fosse una grande opportunità, ma anche un obiettivo irraggiungibile. Una volta vinta, mi sono resa conto che le possibilità che dava erano altissime: fondi propri, poter viaggiare, il sostegno di supervisor internazionali e soprattutto la grande opportunità di sviluppare i propri progetti di ricerca in piena autonomia. Senza dimenticare che nel panorama dei finanziamenti italiani ricevere dei fondi europei rappresenta una grande aiuto per chi fa ricerca. Il ministero della ricerca, in particolare sulle borse Global, consente la chiamata diretta dei vincitori come ricercatori: se superano l’abilitazione è un’opportunità di assunzione e carriera.

Antonino: Per me è stato un grande salto: da studente a ricercatore. Cambia la tua visione ma anche quella che hanno gli altri di te. Quando partecipi a una conferenza internazionale il fatto di non essere un semplice post-doc ma un borsista Marie Curie porta i colleghi a essere più attenti alle tue presentazioni. Poi, questo tipo di finanziamento incentiva il passaggio del know-how tra l’industria e gli enti di ricerca. Uno stimolo in più per il nostro lavoro.

Il valore aggiunto dell’esperienza all’estero, considerando che vivete tre momenti differenti. Antonio è un italiano all’estero, Maria invece dalla Romania è arrivata in Italia, mentre Angela fa ricerca all’estero ma lavorando nel nostro paese.

Maria: È strano. Faccio nuovamente un parallelo con la precedente borsa ottenuta in Germania e quella italiana. Nel primo caso, quando sono tornata in Romania non ho trovato opportunità per sviluppare i miei studi, mentre una volta rientrata da Pavia mi hanno subito offerto un dottorato per fare ricerca sul patrimonio artistico italiano e rumeno. Per un architetto, come me, riuscire a fare ricerca nel vostro paese è il massimo.

Angela: Il finanziamento Marie Curie consente di internazionalizzare la propria carriera. Appena vinto, sono stata contattata dagli Stati Uniti per mettere a punto nuovi studi. Strano ma bello: una borsa europea mi dato l’opportunità di andare a fare ricerca al di là dell’Atlantico.

Antonino: Prima della pandemia avevamo la possibilità di viaggiare molto e quindi di entrare in contatto con ricercatori di altissimo profilo internazionale. Poi, vivere e studiare in un paese straniero è uno stimolo sia dal punto di vista scientifico che, soprattutto, umano.

Come si vince una borsa Marie Curie?

Maria: Un po’ di fortuna non guasta, anzi. Di grande aiuto mi è stato sicuramente un corso di management seguito all’università. Mi hanno dato quelle basi per poter scrivere al meglio il mio progetto di ricerca da sottoporre alla Commissione europea.

Angela: Non si deve pensare la Marie Curie sia un obiettivo troppo difficile da raggiungere. Si vince con un mix di cose: contenuto e tecnica di scrittura.

Antonino: Non esiste la formula perfetta ma il mio consiglio è specializzarsi in un campo preciso e non perdere occasioni di fare esperienze lavorative all’estero.

di Angela Giorgi e Francesco Aiello


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Immagine: Pixabay

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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